Modello Salerno: da Conte a De Luca

“ Modello  Salerno “

Dal laboratorio “contiano” al protagonismo “deluchiano”

Ovvero dal progetto al modello

di Aldo Bianchini

Il “progetto Salerno” nasce, storicamente, verso la metà degli anni ottanta dalla fervente attività progettuale di un manipolo di tecnici ed urbanisti chiamati a raccolta intorno all’idea, tutta laica e di sinistra, di rilanciare sul piano nazionale ed internazionale la città di Salerno che fino a quel momento non aveva potuto o non aveva saputo esprimersi al meglio sul piano commerciale, turistico ed industriale.

Era il momento delle grandi scelte strategiche per la necessaria pianificazione della destinazione urbanistica da dare non solo al centro urbano ma a tutto l’interland per spingerlo verso il sogno della famosa, e per certi versi famigerata, area metropolitana che potesse soltanto riequilibrare, e mai contrastare, il dislivello esistente e non facilmente colmabile con la più grossa e popolosa area metropolitana di Napoli.

Un antico sogno, quello dei salernitani; un sogno sempre castigato e costretto alla rapida ritirata sia dall’intrinseco strapotere di Napoli che dalle scelte miserevoli dei politici che fino a quel momento si erano affacciati sulla scena della nostra città e dell’intera provincia per allinearsi e sottomettersi rapidamente ai voleri dei napoletani prima e degli avellinesi poi.

Spunta, così, il laboratorio di sinistra che, grazie alle felici intuizioni di Carmelo Conte, novello leader salernitano, balza in poco tempo agli onori delle cronache nazionali.

Una stagione progettuale senza precedenti prende corpo nel capoluogo e nell’intera provincia e spinge verso la creazione dell’area metropolitana salernitana: geometri, ingegneri, architetti, urbanisti di fama locale e nazionale vengono letteralmente catapultati al centro di questa grande intuizione con le proposte più disparate e di grande qualità tecnica per il necessario rimodellamento non solo del capoluogo ma dell’intero territorio provinciale.

Dal 1987 al 1991 vengono incaricati ed impegnati progettualmente circa 230 tecnici tra architetti, urbanisti, ingegneri e semplici geometri. Solo per ricordarne alcuni: Mario e Vincenzo Adinolfi, Luigi Adriani, Franco Amatucci, Alberto Barbagallo, Giancarlo Barbaro, Silvana Genoveffa Buffo, Gennaro Calabritto, Augusto Cannella,Vincenzo Capaldo, Giovanni Carpentieri, Annibale Casilli,  Bruno Centola, Alfonso Coppola, Ennio Cocca, Alberto Cuomo,  Ciro Cuozzo, Gennaro D’Alessio, Mario Dell’Acqua, Ercole Di Filippo, Raffaele Di Giuda, Angelo Di Rosario, Gaetano Donadio, Emilio Fortunato, Raffaele Galdi, Anna Gallo, Carmine Gambardella, Nicola Massimo Gentile, Antonio Giannattasio, Roberto Giannotti, Vincenzo Iannizzaro, Domenico Immediata, Rosario Lambiase, Sergio La Mura, Vincenzo Lanzotti, Gianluigi La Rocchia, Giorgio Cesare Lucchese, Alessandro Macchi, Vincenzo Marone, Antonio Marra, Cosmo Mastandrea, Paolo Mazzucca, Carlo Mustacchi, Francesco Ottobrino, Marco Petillo, Enrico Petti, Alfredo Plachesi, Ciro Quazzo, Vincenzo Ranieri, Ernesto Ricciardi, Guido Roma, Paolo Santoro, Giancarlo Schiavone, Aniello Sessa,  Carmine Spirito, Giuseppe Tolve, Ciro Venturelli, Mario Villani, Armando Zambrano e Virgilio Zinno.

Manca un piccolo tassello per la definitiva attuazione dell’idea progettuale e per la successiva fase esecutiva di tutte le opere pubbliche necessarie.

Quel tassello passa alla storia con il nome di “delibera 71” approvata nel corso dell’anno 1989 dall’Amministrazione laica e di sinistra, con sindaco Vincenzo Giordano, che governa la città capoluogo. La delibera consiliare di fatto blocca all’istante il dilagare della speculazione edilizia che da troppi anni e senza alcun controllo sta devastando il territorio con una colata di cemento che non trova precedenti nella pur millenaria storia di Salerno.

Ma il blocco edilizio e la fissazione degli standard urbanistici cozza, inevitabilmente, con i corposi interessi economici delle cosiddette “grandi famiglie salernitane” che sono costrette a sottomettersi ad un progetto politico troppo laico che non ammette condizionamenti o compromessi di sorta.

Insomma i grandi investitori privati si trovano di fronte all’ineluttabilità di un progetto che non possono contrastare e neppure contribuire a realizzarlo; devono, cioè, soltanto investire o affogare.

Forse proprio in questo passaggio non secondario si annida l’unico grande e irreparabile errore dell’idea progettuale del leader socialista Carmelo Conte che esercita a tutto tondo un potere politico assoluto, potere che è cresciuto soprattutto e, forse, solo grazie al volere imprenditoriale senza il più vasto consenso popolare.

Ma il laboratorio ormai è partito, non si ferma e partorisce i grandi progetti di opere pubbliche.

 

Prima fra tutte la strada a scorrimento veloce denominata “Fondovalle Calore” che da sola doveva servire da raddoppio dell’A3 in un tratto difficilissimo utile per baipassare il tratto Eboli-Atena Lucana e che sempre da sola procurerà guai giudiziari impensabili fino a quel momento; si parla anche del riammagliamento stradale e autostradale dell’intera provincia, si vara il prolungamento della tangenziale fino all’Aeroporto di Pontecagnano e successivo tratto fino ad Agropoli con bretella verso San Nicola Varco per favorire la costruzione del terminale dell’alta velocità nell’ambito del cosiddetto “interporto” che doveva rilanciare in campo nazionale le quotazioni socio-economiche di tutto il nostro territorio.

Per la città di Salerno il piano progettuale è ancora più ambizioso: si progetta il trincerone ferroviario (tre lotti) per collegare il centro con la tangenziale in zona Sala Abbagnano, la lungoirno, la metropolitana, la cittadella finanziaria e quella giudiziaria, l’ampliamento del porto turistico, il nuovo lungomare, la nuova strada litoranea più a monte di quella esistente, l’ampliamento della Salerno-San Severino  e del collegamento in galleria e superstrada tra Mercato S.S. ed Eboli in modo da superare il nodo di Fratte ed allacciare direttamente la superstrada sia con l’A3 (Salerno_Reggio) che con la costruenda Fondovalle Calore.

Ma si pensa anche al risanamento del centro storico ed all’arredo urbano dell’intera città, senza dimenticare il Teatro Verdi, il ripascimento di tutto il litorale da Salerno a Paestum, senza trascurare la progettazione del nuovo mercato ortofrutticolo e di un polo agro-alimentare capace di servire l’intera area metropolitana di nuova concezione.

Si pensa anche al collegamento in galleria (due superstrade) tra il porto commerciale e la zona di Cernicchiara ed alla futura e possibile delocalizzazione dello stesso porto commerciale con ampliamento di quello turistico dalla foce dell’Irno fino alle Rocce Rosse.

E grazie alla delibera 71 garantire anche la vivibilità urbana con ampi spazi a verde e zone attrezzate.

 

Ma tutta questa enorme nuova concezione urbanistico-strutturale scricchiola e traballa; il progetto, difatti, incomincia subito ad incontrare le prime grosse difficoltà; le grandi famiglie temono di non poter più controllare lo strapotere politico socialista e si abbandonano all’abbraccio mortale di una magistratura che comincia a svegliarsi da un lungo letargo sotto la spinta della sirena nazionale chiamata volgarmente tangentopoli.

Fin dall’inizio del 1991 le grandi famiglie, desiderose di vendetta dopo l’offesa prodotta dalla delibera 71, incominciano a creare strane alleanze con magistrati e investigatori; alcuni imprenditori pur di salvare dal tracollo le loro imprese si dichiarano disponibili  a vuotare il sacco ed a lanciare accuse contro i politici in genere e soprattutto contro gli ispiratori della famigerata delibera.

Qualcuno si fa anche microfonare con microspie e prende all’amo altri imprenditori o semplici faccendieri carpendo confessioni sulle dazioni in danaro elargite al PSI ed alla DC in cambio di prebende ed appalti.               Arrivano a Salerno anche i servizi segreti, gli uomini del Secit e dello Scico; i verbali compilati da quegli uomini e secretati negli archivi vengono letteralmente succhiati dai computer della Guardia di Finanza e offerti agli inquirenti.

La stagione di tangentopoli parte nella primavera del 1992 con il sequestro dei due studi tecnici più importanti della città di Salerno i cui titolare Franco Amatucci e Raffaele Galdi vengono subito indagati.

Si arriva rapidamente al 19 luglio 1992 quando scattano i primi clamorosi arresti per le presunte tangenti legate alla progettazione della strada a scorrimento veloce Fondovalle Calore. Poi gli arresti si susseguono agli arresti. Tutto si dissolve, i lavori si fermano, le grandi opere restano incompiute e i finanziamenti vanno perduti.

Solo allora, forse, le grandi famiglie e gli investitori capiscono gli errori commessi; ma è troppo tardi, la matassa giudiziaria si è ingarbugliata a tal punto che molti esponenti delle stesse famiglie vengono parimenti arrestati.

Dal carcere di Fuorni un politico molto noto scrive al Presidente della Repubblica e denuncia tutto quanto fin qui, con questo articolo, abbiamo messo in evidenza.

E si ricomincia daccapo.

La classe politica decapitata cerca di ricompattarsi ma arranca, annaspa e si ferma; in un ultimo disperato tentativo trova la soluzione apparentemente più idonea a fermare l’azione della magistratura: nella notte tra il 22 e il 23 maggio 1993 il Consiglio Comunale elegge sindaco Vincenzo De Luca dopo una lunga gestazione e fibrillazione; manca un voto perché Michele Ragosta ha detto no; viene prelevato a casa Marco Siniscalco da poco uscito dal carcere e letteralmente tradotto in consiglio, forse con un’auto di servizio.

Nasce così l’epopea e il mito di Vincenzo De Luca.

Ma De Luca capisce subito che quel consiglio comunale, quei grandi elettori, quel voto di Siniscalco non hanno più un radicamento popolare ma promanano soltanto il nauseabondo odore degli affari e dei compromessi. Dopo poche settimana si dimette e chiede nuove elezioni in grado di legittimare l’azione politica e le grandi scelte che, comunque, la città dovrà adottare per ritornare nell’arena della grande competizione nazionale ed europea.

La gente comune, l’elettore medio, il grande elettore e il mondo industriale e imprenditoriale avvertono che la mossa strategica di De Luca può essere quella vincente. La nuova legge elettorale fa il resto e dopo il 5 dicembre 1993 il nuovo sindaco si trova a gestire un potere immenso che trova il suo radicamento nello sconfinato consenso popolare. Nei pochi mesi di commissariamento da parte di Antonio Lattarulo (indicato negli anni successivi come un uomo dei servizi segreti) accade di tutto e di più. Le coalizioni politiche si formano e si sfasciano ogni giorno; alla fine rimangono due grandi antagonisti con Pino Acocella (ex DC) da una parte e Vincenzo De Luca (PCI-PDS) dall’altra. Si va al ballottaggio perché Acocella pur vincendo le elezioni rimane al 23% contro il 19% di De Luca. Nel ballottaggio la destra salernitana storica con l’on. Nino Colucci in testa sceglie Vincenzo De Luca e per lui è un trionfo. La sera del 5 dicembre 1993 le bandiere rosse circondano De Luca che marcia verso palazzo di città e sale lo scalone centrale da trionfatore.   E’ facile, poi, per De Luca riconquistare l’appoggio delle grandi famiglie ma lo fa da un punto di forza dovuto al consenso popolare che è arrivato a sfiorare anche il 70% degli elettori; insomma il sindaco detta le regole e le grandi famiglie non possono fare altro che obbedire.

E’ forse tutta qui la differenza con il laboratorio socialista che doveva invece scendere a patti con le grandi famiglie non disponendo di un indiscusso consenso popolare; come dire che il 33% di Conte non ha nulla a che vedere con il 60% e passa di de Luca.

Infine c’è la differenza dell’apparato di potere. Quello di Conte, costruito male ed allargatosi troppo, si sfaldò al primo stornire di fronde; quello deluchiano, scelto alla perfezione e cementato nel tempo, ha brillantemente resistito e superato anche alcune clamorose tempeste giudiziarie.

Prima di chiudere è necessario rimarcare un altro concetto. Carmelo Conte lasciò incautamente ad altri il potere locale per cercare di entrare in quello nazionale sull’onda del successo del suo laboratorio. Vincenzo De Luca stava per commettere lo stesso errore ma, più freddo e calcolatore, è ritornato subito sui suoi passi spedendo a casa il suo sostituto (De Biase) e mandando a Roma il più pericoloso tra i suoi successori (Bonavitacola). Il quinquennio 2001/2006 di Mario De Biase e la sua epurazione ne sono la prova provata.

 

In pochi anni, dunque, si è passati dal laboratorio laico e di sinistra al progetto Salerno; in moltissimi casi le opere sono esattamente quelle stesse promosse da quella grande fucina progettuale. Insomma una torta  bella e pronta; sulla quale Vincenzo De Luca ha depositato la più classica delle ciliegine.

“Purchè la politica non diventi “sistema di protezione”, ha detto recentemente Amato Lamberti (già presidente della provincia di Napoli) dalle colonne del Corriere, e noi siamo perfettamente d’accordo con lui.

 

La nostra ricostruzione degli eventi che hanno toccato enormi interessi economici, che hanno scardinato i templi del potere, che hanno distrutto gli aspetti relazionali, affettivi ed umani di centinaia di persone, può apparire anche frettolosa e riduttiva; quello che è accaduto e che continua tuttora ad accadere è, comunque, sotto gli occhi di tutti ed ognuno, nell’ambito della propria sfera personale, può serenamente giudicare. Per parte nostra abbiamo cercato soltanto di fornire un contributo di chiarezza e niente altro.

 

Aldo Bianchini

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