Piccoli Comuni: interviene Alfonso Andria

“La complessità della manovra che il Consiglio dei Ministri ha approvato ieri sera per il recupero di 45,5 miliardi nel prossimo biennio teso al pareggio di bilancio nel 2013, l’ iniquità che secondo alcuni la caratterizza, la sua inutilità o inefficacia a giudizio di altri osservatori malgrado si tratti di un provvedimento “cruento”, consigliano approfondimenti adeguati piuttosto che analisi frettolose.

Su una cosa, però, mi sento di intervenire subito e con nettezza: la previsione dell’accorpamento di 1970 Comuni al di sotto dei mille cittadini residenti. Il decreto anticrisi in modo inappropriato nella fase preparatoria ha associato questo tema ai “costi della politica”, tanto da meritare una prima pregiudiziale correzione del Quirinale che suggerisce di parlare a tal proposito della “riduzione dei costi degli apparati istituzionali”. Ritengo particolarmente grave parlare di un accorpamento di 1970 Comuni, ovvero circa il 25% degli 8094 esistenti in Italia. Qui non si tratta soltanto di rivendicare la tutela di quella che talvolta anche con spunti retorici, è tuttavia considerata a buon titolo una delle vere grandi ricchezze del Paese, in grado di preservare e valorizzare i segni identitari. Non è nemmeno soltanto la sacrosanta sottolineatura dell’ente locale come presidio di civiltà e baluardo di democrazia. Ma è importante capire fino in fondo le conseguenze di un provvedimento del genere: che tipo di risparmio si realizzerebbe e se quel risparmio (presunto!) non produca poi pericolosi fenomeni di disaffezione, di abbandono, di spopolamento e quali strumenti poi lo Stato appresti per fronteggiarli. In una realtà come quella della Campania, che annovera 551 Comuni, decine e decine di Comuni soprattutto nelle province interne hanno  popolazione inferiore a 1000 abitanti. In particolare la provincia di Salerno tra i suoi 158 Comuni ne ha 30 al di sotto dei 1000 residenti (27 al Sud  del capoluogo e 3 in Costiera Amalfitana). In tante di queste realtà nel tempo più recente si sono già sofferte privazioni notevoli, a causa della riduzione dei servizi (esempio: presidi sanitari, uffici postali, scuola a seguito della razionalizzazione della rete scolastica provinciale). Qualora si procedesse all’accorpamento paventato, di fatto sopprimendo quelle autonomie locali, si porrebbero le condizioni di una ulteriore e definitiva demotivazione dei cittadini di quei territori. Il che è tra l’altro esattamente il contrario di una certa impostazione, talvolta anche demagogica, tesa ad invogliare i giovani a restare, a scoraggiare le fughe dei cervelli, a costruire opportunità di crescita e di sviluppo locale, oltre ad essere del tutto incoerente con le azioni e perfino con i presupposti legislativi volti alla valorizzazione della cosiddetta “piccola grande Italia”: l’Italia dei piccoli Comuni. Altri Paesi dell’Unione Europea, anch’essi da tempo impegnati ad affrontare la crisi economico-finanziaria globale, non hanno certamente fatto ricorso a provvedimenti del genere. La Germania non ha toccato i suoi 13.000 Comuni, la Francia ha lasciato intatti i suoi 37.000! Evidentemente ci si è resi conto che non è quello lo strumento più adeguato per far cassa. A maggior ragione non lo è in una realtà come quella italiana in cui per giunta le Regioni e gli Enti Locali hanno già subito insopportabili tagli nei trasferimenti che hanno posto e pongono seriamente a rischio l’attuazione del federalismo fiscale. Allora semmai i problemi da affrontare con serietà sono due: uno è quello della necessità di un riordino sistematico e razionale dell’assetto istituzionale periferico, per esempio evitando duplicazioni di competenze e di attribuzioni; l’altro è di promuovere vere economie di gestione attraverso strumenti, peraltro già esistenti, come l’Unione dei Comuni per erogare servizi in forma associata. Per non parlare poi dei problemi che si aprirebbero in ordine alla ricollocazione dei dipendenti degli Enti Locali, e cioè comunque di soggetti deboli. Per quanto mi riguarda  mi adopererò perché in Aula alcune vistose incongruenze del decreto anticrisi, come quelle che qui ho commentato, possano essere eliminate attraverso modifiche ed emendamenti”.

 

Alfonso Andria

Senatore PD

 

 

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