Gambino/14: “corruzione politica”, un’altra invenzione !!


Lunedì mattina è stata depositata l’ordinanza del Riesame sul caso Gambino. Spunta il reato di “corruzione politica” previsto da una legge del 1957.

Aldo Bianchini

A ben leggere le 62 pagine dell’ordinanza, con cui i giudici del Tribunale della Libertà (Giuseppe Stabile, Vito Di Nicola e Ubaldo Perrotta) hanno mandato ai domiciliari Gambino e gli altri, si percepisce in maniera molto netta la difficoltà di giudizio dei tre navigati magistrati che in un colpo solo avrebbero potuto, se avessero avuto un po’ più di coraggio, cancellare un’inchiesta giudiziaria che non ha né capo né coda. La prudenza, la serenità e forse il doveroso senso di appartenenza hanno, invece, spinto il Collegio giudicante alla ricerca di un qualsiasi cavillo giuridico pur di salvare capre e cavoli. In questo difficile esercizio di equilibrismo, per non bocciare drasticamente l’operato della Procura (Montemurro) e del Gip (Sgroia) e per non santificare definitivamente l’azione difensiva di Michele Tedesco e Giovanni Annunziata, i tre magistrati salernitani sono stati addirittura più bravi del mitico “pool mani pulite” di Milano che spopolò negli anni ’90 in fatto di invenzione di reati dal colore politico-affaristico da contestare agli indagati. I nostri hanno rispolverato una vecchia legge elettorale del 1957, la n. 361 del 30 marzo, che all’art. 96 recita esattamente così:  “”Art. 96 – 1. Chiunque, per ottenere a proprio od altrui vantaggio la firma per una dichiarazione di presentazione di candidatura, o il voto elettorale o l’astensione, offre, promette o somministra denaro, valori, o qualsiasi altra utilità, o promette, concede o fa conseguire impieghi pubblici o privati ad uno o più elettori o, per accordo con essi, ad altre persone, è punito con la reclusione da uno a quattro anni e con la multa da lire 600.000 a lire 4.000.000, anche quando l’utilità promessa o conseguita sia stata dissimulata sotto il titolo di indennità pecuniaria data all’elettore per spese di viaggio o di soggiorno, o di pagamento di cibi o bevande o remunerazioni sotto il pretesto di spese o servizi elettorali. 2. La stessa pena si applica all’elettore che, per apporre la firma ad una dichiarazione di presentazione di candidatura, o per dare o negare il voto elettorale o per astenersi dal firmare una dichiarazione di presentazione di candidatura o dal votare, ha accettato offerte o promesse o ha ricevuto denaro o altra utilità””. Ogni lettore può, leggendo attentamente, ricavare una propria personale convinzione, per questo ho estratto e pubblicato il testo integrale dell’articolo. Pensate solo per un attimo se questo articolo venisse severamente applicato a tutti e per tutte le inchieste, e pensate solo per un attimo se i giudici di “mani pulite” avessero scoperto e applicato la predetta legge: sarebbero finiti in galera tutti i politici della prima repubblica anche se, ad onor del vero, l’articolo in questione non parla di carcerazione preventiva ma solo di reclusione e di multe, probabilmente dopo la sentenza definitiva. Premesso che nel “caso Gambino” gli arresti preventivi sono scattati principalmente per il reato di “associazione camorristica” e tenuto conto che detto reato è stato ritenuto insussistente dal Riesame sarebbe stato conseguentemente logico “revocare i mandati di cattura”. Per farlo ci voleva, però, un po’ più di coraggio che purtroppo i tre componenti il Collegio non hanno avuto. Dando fiato a questa nuova tipologia di reato, più frutto delle battaglie intestine delle varie correnti politiche esistenti negli anni ’50 in Parlamento che di una vera consapevolezza della enorme sciocchezza che veniva votata con quella legge, il Riesame di Salerno ha di fatto spalancato le porte al collegio difensivo (sia di Gambino che degli altri) di disintegrare completamente l’immaginaria accusa. Ma c’è di più. Lo stesso Collegio ha stabilito che il “voto di scambio politico mafioso” non può sussistere perché esso è vincolato alla dazione di danaro, di conseguenza dovrebbe trattarsi soltanto di “un sistema elettorale” poco ortodosso fondato sull’erogazione di piaceri in cambio di voti. Arduo per l’accusa sostenere un simile reato, facilissimo per la difesa picconarlo brutalmente. E c’è, infine, nell’ordinanza pubblicata lunedì mattina un altro aspetto che non va trascurato, quello relativo alla posizione dell’imprenditore Amerigo Panico che non si sarebbe mai realmente opposto alla “presunta imposizione” di assunzioni se non dopo molti anni. Facile, quindi, pensare ad una vendetta dello stesso imprenditore per qualcosa non andata per il verso giusto che ad una imposizione politico-affaristica. E qui è il caso di fare un’osservazione che potrebbe anche essere utile alla difesa. Fino al giorno dell’arresto e per decenni il consulente del lavoro della ditta Panico è stato il rag. Giuseppe Santilli (anch’egli arrestato con Gambino come il cervello della banda). Sfido chiunque a dimostrare che una ditta non si avvale dell’operato del suo consulente anche nella scelta, e semmai nella formazione, dei dipendenti che di volta in volta decide di assumere. Questo è un fatto assolutamente consolidato in ogni realtà economico-industriale ed è strano come questi aspetti (che possono anche apparire di secondo piano) non vengano tenuti nella giusta considerazione dagli inquirenti prima di sparare a zero. La battaglia giudiziaria, ovviamente, prosegue ed approderà tranquillamente in Cassazione che dovrà decidere anche sulla pedissequa applicabilità di una legge (quella del ’57) usata rarissimamente come grimaldello nelle inchieste di chiaro stampo politico.
 

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