Grecia: high tech e turbolenze

Dalla bolla high tech al rischio insolvenza Grecia: storia e motivazioni di dieci anni di turbolenze

Filippo Ispirato

Crisi del debito sovrano, insolvenza della Grecia, recessione terminologie entrate a far parte del nostro vocabolario quotidiano, fino a poco tempo fa semplici sconosciuti, divenuti oggi sinonimo di una crisi che ci attanaglia da almeno tre anni; una crisi che è comunque stato il leit motif  degli anni duemila a partire dallo scoppio della bolla high tech fino ad arrivare ai giorni nostri. Anni di predominio dell’ingegneria finanziaria a scapito dell’economia reale, favorito anche dalle politiche eccessivamente liberiste di Clinton, prima, e Bush, poi. Da dove è nata la profonda crisi e come si è arrivati fino ad oggi? Per semplicità possiamo partire dal 2000, anno dello scoppio della bolla delle aziende del settore tecnologico, dei software e dell’informatica, dopo un biennio di forti crescite da parte di tutte le borse mondiali. In quei tempi i mercati finanziari, eccessivamente euforici, chiudevano le sedute di borsa con rialzi anche a due cifre, e qualunque titolo di borsa si scegliesse voleva dire cospicui e facili guadagni. Da Marzo questo sistema “drogato”, come si definisce in gergo finanziario, si interrompe, le cose cambiano, cominciano a chiudere le prime aziende del comparto e gli indici si raffreddano, tanto da condizionare pesantemente tutte le borse per un periodo molto lungo che culminerà con il crollo delle Torri Gemelle avvenuto a Settembre del 2001.  Le borse continueranno nella veloce corsa al ribasso fino al 2003 anno della Seconda Guerra del golfo in Iraq; ad inizio 2003 viene deposto il regime di Saddam, che porterà un’iniezione di fiducia e ripresa grazie anche all’opera di ricostruzione da avviare in quel paese. A ciò si era affiancata una politica monetaria espansiva di Greenspan che aveva portato i tassi di interesse a livelli molto bassi, per stimolare l’economia. A tal punto il governo Bush decise di avviare la politica “Everyone Home owner”, che prevedeva di coronare il sogno tanto a lungo inseguito da milioni di americani di acquistare casa, di diventare proprietario (cosa data quasi per scontata in Italia, ma meno usuale negli Usa). Tale obiettivo, favorito da un periodo di tassi di interesse particolarmente bassi, poteva essere realizzato attraverso una massiccia concessione di mutui anche a quei nuclei familiari monoreddito, che normalmente non avrebbe avuto facile accesso al credito; questa tipologia di mutui era comunemente chiamata Subprime, ossia ad un livello di “affidabilità” inferiore ai Prime, ossia quelli con maggiori garanzie. A partire dalla fine della Seconda Guerra del Golfo, con la ripresa economica la Banca Centrale Americana, la Fed, decise per il rialzo dei tassi; tale aumento ha comportato anche l’innalzamento delle rate dei mutui. Non tutti i mutuatari furono in grado di pagare le rate, molti di questi mutui subprime andarono impagati e le case furono pignorate. Era finito il sogno, l’illusione tutta americana della Everyone Homeowner. Cosa ha scatenato in poco meno di cinque anni la tempesta finanziaria del 2008, per la quale subiamo tuttora le conseguenze? E’ stato il massiccio ricorso alla cartolarizzazione dei mutui, ossia l’operazione grazie alla quale il debito nei confronti delle banche veniva impacchettato sotto forma di obbligazioni, e collocato da parte delle Banche di Investimento sotto forma di investimenti assicurativi, fondi, gestioni patrimoniali e bond, che godevano del buon rating delle banche emittenti, nonostante sotto ci fossero dei crediti verso dei mutui di difficile esigibilità. Con l’aumentare delle insolvenze da parte dei titolari dei mutui subprime, i vari prodotti finanziari che le contenevano sono diventati con il tempo carta straccia innescando una reazione a catena che ha, addirittura condotto al fallimento la Banca Lehman & Brothers e portando al tramonto il mito delle banche d’affari. Il fallimento della Lehman & Brothers è ancora vivo nei ricordi di tutti noi, a partire da quella data si innescò una sfiducia nei confronti del sistema finanziario senza precedenti; grandi realtà finanziarie quali Freddi Mac e Fannie Mae, Aig, Merill Linch e Morgan Stanley, si trovarono in serie difficoltà rischiando anch’esse il fallimento. La fine dell’investment bankig portò ad una serie di perdite su tutto il sistema e ha generato l’inizio di un periodo di recessione in varie parti del mondo. L’area più colpita dalla crisi è stata l’Europa, la cui economia era particolarmente incentrata sulla finanza, in particolare l’Irlanda e Islanda il cui sistema bancario è andato al collasso.  A causa della contrazione dell’economia tra il 2008 e il 2009, generata dai mutui subprime, l’economia già fragile di alcuni paesi come la Grecia ha avuto il colpo di grazia; il paese ellenico si reggeva da tempo grazie ad un equilibrio precario, favorito anche da alcuni dati di bilancio truccati e falsati, con la recessione in atto in quegli anni i problemi finanziari si sono acuiti a tal punto da rischiare addirittura lo stato di insolvenza come in Argentina nel 2002. Il resto, compresa l’evoluzione del debito sovrano di altri paesi, tra cui l’Italia, è storia di questi giorni.

 

 

 

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