Storia di una croce: chiesa di Sant’Egidio

di Gregorio Soldivieri

L’alba nel borgo è particolarmente dolce, il rumore delle auto non fa da colonna sonora e il sonno, anche se è un grande amico, mi toglie tempo… così quella mattina mi ero alzato presto. La giornata era splendida, il mare in lontananza brillava, quasi  si potevano distinguere le onde.

Era martedì, 29 Dicembre 2009, si stava avvicinando la  fine dell’anno. Come al solito, andavo in giro per il borgo, fidandomi del mio passo mi trovai a contemplare la bella facciata della Chiesa di S. Egidio che pochi giorni prima aveva finito di decorare il mio amico Tudor, restauratore di Roma.

La chiesa stava rinascendo lentamente, i lavori iniziati nel gennaio del 2000 erano arrivati quasi alla fine, mancava ancora la campana, anche questa con una bella storia alle spalle…. ma più della campana mancava la croce posta sul campanile. Dopo il crollo era rimasto solo uno spezzone di croce ricurvo, anche quello disperso durante la ricostruzione.

Avevo già da tempo pensato di  rimettere la croce al suo posto e Tudor  aveva provveduto trovando una bella croce in ferro battuto del 1700. Ma ancora stava lì, e per metterla se ne sarebbe parlato nel nuovo anno che oramai stava dietro l’angolo.

Quando, da solo,  mi trovo in un luogo a me familiare mi capita di isolarmi dal contesto e con i pensieri tornare indietro nel tempo così da poter rivivere quel mondo che, data la mia età, ho appena sfiorato.

Pioveva oramai da almeno un mese, ininterrottamente. Quella mattina mio padre stava a casa giù nel portone cercando di spaccare  con l’ascia una vecchia radice di ulivo, l’inverno era stato, oltre che piovoso molto rigido, e il fuoco scaldava quelle stanze che, oramai diventate fredde, stavano lì aspettando il dolce tepore della primavera, che tardava a venire.

Il portone principale si aprì con una certa violenza, il lucchetto tirato dalla corda non aveva emesso il solito rumore ma era stato secco, inespressivo, “non aveva parlato dicendo chi lo apriva”, mio padre  si voltò, era il suo amico Don Ciccio con il volto rammaricato e scuro come le nuvole che oramai erano di casa lì sul villaggio. Qualcosa di grave era successo, don Ciccio non era abitualmente portatore di brutte nuove, anzi era un amico allegro e spensierato.

Quella  notte si era spenta Mariannella, viveva da sola e i suoi parenti l’avevano trovata la mattina quando erano andati a farle visita. Mio padre si cambiò velocemente e si recò alla casa di Mariannella, come facevano tutti gli abitanti del borgo quando capitavano questi eventi: il paese era piccolo e fin da sempre la morte di qualcuno, anche se dolorosa, consolidava e univa il villaggio.

Questa morte  così silenziosa  aveva sorpreso un po’ tutti, Mariannella era stata una donna sola e rispettata da tutto il villaggio. L’ultima volta che mio padre l’aveva vista era venuta a casa a prendere” il criscito” ( un piatto con dentro un impasto di farina ed acqua che lasciato senza cuocere serviva per la lievitazione naturale del pane fatto in casa ).

Quel piatto passava di casa in casa, ( con quello strano odore così forte ed intenso che una volta arrivato al naso non lo dimentichi più), girava tra le famiglie, e dopo un mese ricordandosi chi per ultimo aveva fatto il pane si andava a riprenderlo per poi re-impastarlo con la farina e l’acqua … era una festa…, le fascine di ulivo nel forno  scoppiettavano e  accompagnavano il fumo che lentamente ti entrava in casa e già incominciavi ad assaporare il pane caldo  anche se ancora ci voleva tempo per essere pronto.

L’odore del fumo delle fascine come il lievito sono cose che restano impresse nella memoria ,  fanno parte della tua vita, si inseriscono nel tuo” dna” , ti accompagnano e, quando nel mese di Marzo i contadini potano gli alberi di ulivo e bruciano le fascine, quel fumo ti arriva nelle narici e la vita, come per incanto,  per un attimo ti riporta indietro.

La casa di Mariannella  era molto vicina alla Chiesa di S. Egidio dove quella sera si era tenuta dagli uomini del villaggio una riunione della congrega. Da molto tempo in quella  chiesa non si teneva più messa, era  fatiscente, quella crepa che partiva dall’architrave del portone di ingresso e saliva fino al campanile sembrava si fosse allargata, anche il muro laterale si era leggermente staccato dal pavimento. La chiesa era messa male e per aggiustarla ci sarebbero voluti molti soldi. Non era tempo di spese… gli abitanti si leccavano ancora le ferite dell’ultima guerra e chi non aveva un parente all’estero che mandava i propri guadagni non se la passava bene.

Le famiglie  tentavano di andare via dal villaggio. Le case nuove costruite a valle avevano

l’acqua in casa, potevano lavare i panni con la lavatrice, i bambini andavano  a scuola senza farsi la collina  a piedi.  Nel  frattempo  la  chiesa principale  era  diventata  quella  in  piazza,  dedicata  a S. Leone era li che il villaggio aveva più residenti,  e proprio quella  notte Mariannella se ne era andata così come era vissuta: senza dare fastidio a nessuno.

I paramenti sacri, che servivano ad addobbare l’ingresso  della casa della defunta, si trovavano nella congrega di S. Egidio, così mio padre insieme al suo amico Don Ciccio  si avviò verso la chiesa, mise la chiave nella toppa del portone che la sera prima aveva chiuso,  fece un primo  giro con la chiave, poi un altro e… come succedeva spesso, dopo la seconda mandata il  portone si sarebbe dovuto aprire  quasi da solo verso l’interno…ma  ultimamente si chiudeva con difficoltà. L’umidità e l’acqua dell’ultimo periodo avevano lasciato il segno sul vecchio infisso in castagno che di anni ormai ne contava circa trecento. Ma quella mattina era tutto il contrario: nonostante la spinta data verso l’interno il portone non si apriva…… così controllò se le mandate erano tutte, si ricordò allora che quel portone aveva solo due mandate, tentò con l’aiuto del suo amico di spingere il portone verso l’interno sperando così di aprirlo, ma non ci fu niente da fare non si muoveva di un millimetro.

Qualcosa non andava, ci mancava anche il problema del portone pensò ad alta voce. Il pensiero andò verso la pioggia che era caduta copiosa nei giorni passati, ma non riusciva a capire perchè il portone non si aprisse, forse  l’acqua era penetrata all’interno ed aveva  ingrossato il legno… questo pensiero lo consolò!

Mentre Don Ciccio aspettava davanti alla chiesa, mio padre si allontanò pensando di chiamare qualcuno per farsi aiutare, lui e il suo amico non bastavano, si incamminò verso la casa di Mariannella, lì c’erano i suoi amici che avrebbero potuto aiutarlo. Fece alcuni passi allontanandosi dalla chiesa, istintivamente si girò a guardarla … “ come mai non si era lasciata aprire” pensò. C’era qualcosa che non andava,  era la solita facciata con la campana posta li in alto, il portone dipinto di verde, l’edicola che oramai aveva perso il suo affresco con S.Egidio e la

sua cerva, il rosone centrale che il sole, durante i tramonti, lo attraversava andando ad illuminare l’altare. Colse tutto questo in pochi attimi, non riuscendo a capire,. . .  ma il rosone perché non era scuro come doveva essere?

Era invece  plumbeo, i suoi occhi andarono verso il cielo per cercare la differenza di colore ma non la trovò. Come mai si vedeva il cielo attraverso il rosone della chiesa? Tornò verso la chiesa correndo, si abbassò, guardò attraverso la toppa del portone, sobbalzò, tirandosi indietro. La chiesa era crollata, si intravedeva solo la parte absidale con l’altare e tante macerie che quasi ostruivano la toppa della chiave.

Si affacciò a lato della chiesa, il muro che guardava a valle era crollato trascinando tutta la volta della navata centrale senza toccare ne l’altare ne l’abside, la facciata principale era intatta.

Quella pioggia che per giorni si era accanita sul villaggio insieme agli eventi passati avevano portato al crollo della chiesa.

La chiesa di S. Egidio crollò nel 1959.

Mi risvegliai da questi ricordi, tornai sui miei passi allontanandomi dalla piazzetta.

Nel mio girovagare per il Borgo verso mezzogiorno incontrai Enzo, il geometra della ditta che stava ricostruendo la chiesa, ci salutammo e mi invitò ad  andare con lui in Chiesa, dissi che quella mattina ci ero già stato e che era inutile ritornarci, ma lui insistette chiedendomi di accompagnarlo, così ci incamminammo, entrai nel cantiere e da lì ci trovammo proprio di fronte alla Chiesa. Fu un momento emozionante, gli operai avevano montato in mattinata la croce, era perfetta e ben dimensionata. Proprio la croce, così maltrattata negli ultimi tempi quel giorno aveva suggellato la rinascita di quella chiesa che così tanto aveva dato al piccolo borgo di Terravecchia.

Era  ancora il 2009, la chiesa era crollata 50 anni prima.

 

9 thoughts on “Storia di una croce: chiesa di Sant’Egidio

  1. Che bel racconto!
    Sembra di sentire davvero l’odore del ‘criscito’ e delle fascine di ulivo che bruciano…..
    Spero di ritrovare ancora qualche altra storia ambientata nel borgo incantato tra le pagine di questo quotidiano!
    Un sincero ‘grazie’ all’autore!

  2. La suggestione delle immagini create ad arte dall’ autore, mi ha fatto rivivere tutto il calore
    di un mondo ormai lontano nel tempo….
    quando ancora le cose più semplici regalavano a tutti noi profonde emozioni .
    Grazie !

    1. Una storia più che raccontata, sussurrata ai lati di un camino. Un mondo che assomiglia sempre più a un punto lontano all’orizzonte che d’incanto rivive grazie alla struggente sensibilità e meraviglia dell’Autore

  3. Questa storia, proprio perchè vera e sentita, travolge e coinvolge il lettore, che viene calato in un mondo passato e tuttavia ancora capace di emozionare. Proprio bravo.

  4. La memoria e un qualcosa che purtroppo, di questi tempi, la nostra società stà perdendo. Mentre la memoria in senso generale, è stato sempre un bagaglio necessario, antropologicamente parlando, a tutte le società e civiltà. E’ un patrimonio che si va sempre più disperdendo, perchè? Sarebbe lungo disquisire dell’argomento, anche se utile. Voglio solo, esprimere compiacimento per la bella “storia” raccontataci con buona capacità e sensibilità dal ‘nostro’ Gregorio. I miei complimenti.

  5. complimenti Greg non conscevo questa tua vena di delicato narratore, una bella storia, uno spaccato delicato di un ricordo lontano legato all’attualità dek restaura della Chiesa del Borgo

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