Cava: e frà Gigino tuonò … ancora !!

Aldo Bianchini

CAVA de’ TIRRENI – L’appuntamento era ed è di quelli molto importanti. Sabato e domenica prossimi, 17 e 18 dicembre 2011, l’intera Cava de’ Tirreni si mobiliterà per la “due giorni di solidarietà” pro convento di San Francesco. L’occasione dell’annuncio è altrettanto significativa: l’altare maggiore della Chiesa Maggiore di San Francesco, annessa al convento. Sull’altare, al momento dell’omelia, arriva lui “frà Gigino”, al secolo padre Luigi Petrone, il cappuccino o meglio l’uomo che ne ha per tutti i gusti e per tutte le stagioni. La straripante platea di fedeli è tutta sua, si ferma un attimo, respira profondamente e poi, nel silenzio ovattato e carico di spasmodica attesa, parte lancia in resta.  Sa benissimo che lì, su quel pulpito, nessuno lo può fermare, neppure i confratelli che ormai sono abituati da tempo alle sue roboanti esternazioni. I toni sono quelli giusti per le grandi occasioni, parte da lontano da grande comunicatore, prima incanta la platea richiamando tutti alla necessità di sostenere la mensa dei poveri proprio mentre ci si avvicina al Natale con tutte le tavole imbandite a crepapelle. La massa dei fedeli quasi avverte un senso di difficoltà di disagio alla parole di sfida dell’impavido cappuccino, in tanti sanno di poter fare qualcosa peri poveri ma non lo hanno mai fatto. Poi il frate si gira verso la sua destra impercettibilmente, quasi come  se guardasse il vicino ospedale e giù durissime critiche, con parole più da politico che da francescano, verso i maggiorenti della Città che non fanno niente per salvarlo e per riportarlo agli antichi fasti, così come bacchetta brutalmente l’amministrazione comunale di Marco Galdi rea dello stato di abbandono e di degrado di Piazza San Francesco. Ammette, il buon frate, di essere stato spesso criticato per le sue esternazioni, anche da alcuni esponenti del clero cavese, ma non si ferma e con fare sprezzante li sfida a venire allo scoperto ed a rivolgersi direttamente a lui che non vede l’ora di coinvolgere i suoi detrattori nelle opere di beneficienza ed assistenza che egli stesso porta avanti da tempo immemorabile. Non segue un clichè, fisso e neppure uno schema da discorso in politichese, il suo messaggio arriva dritto dritto al cuore dei fedeli, lui lo sa e riparte all’attacco dei politici. Sostiene che una parte del cuore di Cava de’ Tirreni è proprio nel convento di San  Francesco, nella Chiesa e nella piazza antistante; proprio da lì parte il centro storico che spesso i politici evocano per poi dimenticarsene subito. Finalmente l’omelia si avvia al termine, frà Gigino è quasi esausto, in una decina di minuti ha concentrato una moltitudine di sentimenti, di rivendicazioni, di proteste e di accuse mirate. Non scatta l’applauso a scena aperta, come sarebbe accaduto in un altro luogo, siamo in chiesa e i fedeli sanno che devono continuare a pregare. O fanno con compostezza mentre il frate rivoluzionario riprende fiato e riprende soprattutto il suo ruolo di comando andandosi a sedere per qualche attimo tra gli esterefatti confratelli. Le reazioni, almeno quelle ufficiali, non arrivano; i laici preferiscono attendere tempi migliori e non intendono dividere ulteriormente le coscienze della gente tra fede e laicità. Le difficoltà di vivibilità esterna, anche in quella che fu la “piccola Svizzera italiana”, sono ormai evidenti a tutti e per lenirle certamente non sono sufficienti le esternazioni di un francescano che, spesso, va oltre le righe del buon senso. La rabbia, la foga, l’energia che “frà Gigino” ci mette nelle sue pur seguitissime omelie sono tutti elementi aggiuntivi e non catalogabili rispetto ad una omelia normale. Accetta il rischio e si mette sempre in gioco, frà Gigino, questo glielo si deve riconoscere, sempre e comunque, anche se spesso non condivido il contenuto delle sue rampanti esternazioni. Evidentemente non gli è bastata la vicenda legata al “bambinello”, vuole andare oltre.

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