Il 2012: l’anno del Drago

Filippo Ispirato

L’anno che verrà secondo l’oroscopo cinese sarà l’anno del Drago. Il Drago rappresenta  l’onnipotenza, è il simbolo del potere e della ricchezza. La superpotenza economica e commerciale Cina rappresenta appieno le peculiarità del segno zodiacale orientale, che già da tempo, in maniera latente, sta acquistando parti d’Europa a prezzi da saldo.

La lenta avanzata cinese, ormai nota da anni in Africa, in particolar modo nelle ex colonie portoghesi dell’Angola e del Mozambico, sta cominciando ad avanzare anche verso il modo avanzato. Le prime mosse sono state già fatte in Grecia e in Portogallo: emblematico il caso del porto di Atene, il Pireo, il cui pacchetto di maggioranza è in mano al paese di Mao.

Come riesce il gigante asiatico a penetrare in Europa e ad acquisire, in maniera sempre più consistente, posizioni di rilievo nello scenario economico del Vecchio Continente?

Semplicemente sfruttando le debolezze interne dell’Unione Europea che, a causa di un obbligo di rispetto di determinati parametri economici e di una diversità di vedute tra i suoi paesi membri, non riesce ad uscire da una stagnazione dell’economia sfociata per alcuni paesi, tra cui l’Italia, in recessione.

Gli stati alle prese con un forte deficit e un elevato debito pubblico sono stati costretti ad avviare una serie di piani anticrisi e di manovre ad hoc per risanare i loro conti pubblici, gravemente colpiti dalla crisi generata a seguito dello scoppio della bolla dei mutui subprime del 2008. Lo scopo perseguito dalla maggior parte dei Governi è quello di far cassa: raccogliere la maggior parte di risorse possibili per rientrare nei target fissati dall’Unione Europea. Per raggiungere l’obiettivo di risanamento dei conti pubblici si procederà ad un aumento della tassazione generalizzato (sui depositi bancari, sui patrimoni immobiliari, sui beni di consumo attraverso l’Iva, sulla benzina e i tabacchi etc.) e attraverso la vendita di parte del patrimonio immobiliare dello Stato.

Sugli impatti negativi della tassazione se n’è parlato molto, soprattutto per quanto riguarda la riduzione dei consumi che inevitabilmente comporterà, ma sulla vendita del patrimonio dello Stato finora, a nostro parere, non si è posta la giusta attenzione. Vendere quote consistenti di aziende statali, di infrastrutture e beni immobiliari comporterà nel breve degli introiti per le casse asfittiche dello Stato ma nel lungo periodo l’Italia perderà il controllo dei propri beni a favore di altre nazioni, soprattutto la Cina, che stanno acquistando a prezzi da saldo infrastrutture strategiche nel bacino mediterraneo europeo. Una domanda, pertanto, nasce spontanea: fino a che punto sono giustificabili misure restrittive e vendite forzate dei beni statali per fare cassa, in ottica solo finanziaria e non economica, se poi questo, nel tempo comporterà una riduzione dei consumi e una perdita di potere, che passerà sempre più in mano cinesi?

 

 

 

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