IL PACCO

Michele Ingenito

ROMA – Ormai la strategia è chiara. Man mano che il tempo scorre, il duello a distanza tra governo e maggioranza tende ad indurirsi. Sostegno sì, ma sempre più condizionato. Da che cosa, poi, non si capisce bene. Crescono i distinguo, i “si, ma”, messaggi subliminali che tanto subliminali non sono, in base ai quali, un giorno sì e uno no, qualcuno (i soliti) ricorda a Monti che il suo è solo un governo a tempo. Detto in breve, appena la sfornata di misure durissime sarà stata irrorata, il potere politico risalirà in carrozza per riprendere la marcia irresistibile del potere. Monti, accusato di orrendi crimini (economici) contro il popolo, sarà ‘giustamente scaricato e tutti (la casta) vivranno felici e contenti. Tutti, proprio tutti: classe politica dirigente, governo, opposizione.  Con cotanto alibi – nessuna responsabilità diretta per le sofferenze degli italiani  – il risentimento popolare per un sostegno comunque determinante dei partiti diluirà tra la gente e “chi ha dato ha dato, chi ha avuto ha avuto”. In fondo, non sono stati loro a mettere la museruola alle tasche del popolo, ma il cinico professore della Bocconi ed i suoi luogotenenti tecnici. Superata la terribile rogna delle misure critiche adottate per colpa altrui, riprenderà la giostra di sempre. La passione politica di parte, meglio la fessaggine degli idealisti del voto comunemente chiamati elettori, si riapproprierà del proprio ruolo, tifo, partigianeria, e ognuno segnerà in cabina la croce che, nonostante tutto, ancora una volta lo attira. Sempre gli stessi simboli tradizionali di questo o di quel noto partito.  Il che va bene. Molto meno bene, invece, anzi malissimo, dovere riconfermar sempre gli stessi leader, gli stessi dominatori della scena politica nazionale e locale, i soliti noti del potere. Viene per caso in mente ai nostri governanti che gestione e rappresentanza della cosa pubblica non possono e non devono essere una questione di carriera assegnata all’infinito?  La democrazia, così, si indebolisce, perde la propria essenza naturale di alternativa e di cambiamento in prospettiva dei migliori, si arena tra le sabbie mobili dell’interesse di parte, viola la propria identità, sconfina ritrosa all’indietro, nel tempo e nella storia, posizionandosi sulle tracce di un Medioevo lontanissimo, baronale, per quanto – ironia della sorte – vituperato ed offeso proprio dai moderni democratici imbevuti di pseudo cultura e di ancor più pseudo morale. La beffa del pulpito risuona, cos’, monotona e dannosa, inutile ed offensiva.  Prepariamoci, dunque, al crollo di Monti e soci. Non subito, ovvio. Ma subito dopo che il cappio sarà stato stretto definitivamente intorno al collo degli italiani. Quando, dinanzi alle urla pietose di molti, arriverà finalmente la cavalleria, “i nostri”. Con tanto di pacco post natalizio a Monti e soci.  Se si fosse andati alle elezioni subito nella prospettiva di misure così dure da assumere, il governo-Berlusconi avrebbe beccato una mazzata storica. Avrebbero quasi certamente vinto Bersani e soci. Ma con quale prospettiva? La stessa. Adottare subito dopo misure impopolari e affatto ‘socialiste’. Con conseguenze imprevedibili e probabile crollo immediato del governo. Ci ha pensato San Giorgio al Quirinale a dipanare la intricata matassa. E’ stato inevitabile. E’ facile, infatti, urlare contro le misure draconiane. Ma qualcuno doveva pur prendere l’iniziativa. L’Europa, panzer-Merkel in testa, ci era alle calcagna; così come quelle forze invisibili e reali della finanza mondiale.  Tagliare la testa al toro è stato conseguente. Un seggio di senatore a vita, le dimissioni di Berlusconi, l’incarico a Monti. Questo il capolavoro del Presidente Napolitano (ispirato dal fidatissimo Consigliere Marra). Con tanto di patate bollenti sul tavolo del candidato-Premier già imbandito di tasse, tagli e chi più ne ha più ne metta. Va tutto bene. Tranne i privilegi, però. Gli italiani saranno pure abituati alle angherie, alla rassegnazione, all’adattamento: fino a racimolare, sia pure con dignità, – loro, piccola borghesia un tempo autosufficiente –  il cibo nei grossi contenitori delle strade (il lunedì pare sia il giorno migliore secondo una recente, amarissima inchiesta tv ).  Ma si rinnovi almeno la democrazia. Si approvino leggi in base alle quali i mandati parlamentari, regionali, provinciali, di sindaci e amministratori pubblici durino non più di due mandati. Come in tutti i paesi civili e dalla consolidata democrazia del mondo.  Perché, come ha scritto il filosofo Aldo Masullo in un suo recente messaggio augurale, “una nuova virtù civile produca le condizioni della privata gioia.” E perché – osiamo aggiungere – quella “privata gioia”, ispirata dalla “nuova virtù civile”, produca, a sua volta, le condizioni di una pubblica gioia.

 

 

 

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