SIMONETTA: quel maledetto 29 maggio 1982

Aldo Bianchini

Cava de’ Tirreni – Dieci anni fa, il 29 maggio 2002, vent’anni dopo la barbara uccisione di Simonetta Lamberti per opera di mani ignote della camorra, il prof. dr. Alfonso Lamberti scriveva testualmente: “Ti rivedo, amor mio, rispuntare dalla strada: il cappotto bordeaux troppo corto, i tuoi biondi capelli così splendenti, il fagotto di libri troppo pesante; la mano tesa dell’addio.” Con questa semplice ma splendida poesia Alfonso Lamberti, vent’anni dopo, salutava la sua bambina uccisa sotto i suoi occhi in quel maledetto pomeriggio del 29 maggio 1982. Una poesia semplice, dicevo, ma assolutamente significativa per spiegare lo stato d’animo di un uomo, di un valente magistrato che da quel pomeriggio di fuoco ha perso tutto: famiglia, lavoro, dignità. Conosco troppo bene il prof. Lamberti, meglio conosciuto negli ambienti giudiziari con il nomignolo di “Fonz ‘a manetta” per via delle sue azioni giudiziarie travolgenti contro tutti e tutto, per non comprendere il suo stato d’animo, la sua profonda rabbia, il suo dolore immenso, il suo sconfinato amore per quell’angelo biondo che troppo presto è volato in cielo. Tutto accadde mentre il prof con la figlioletta tornava dal mare verso Cava de’ Tirreni, all’altezza del trincerone ferroviario la tragedia. Una macchina affianca quella del procuratore e la blocca, rapida l’azione di fuoco, il magistrato viene colpito alla testa, una pallottola (una soltanto!!) penetra di rimbalzo nel cranio della bambina. Il giudice viene portato nell’ospedale di Cava con una pallottola ferma nella testa dietro l’orecchio sx, la piccola Simonetta viene trasportata d’urgenza a Napoli dove muore poco dopo. Dei veri assassini, dei veri mandanti non si è saputo mai nulla. Alfonso Lamberti da quel momento cambia, gira la propria vita a trecentosessanta gradi, scombussola la sua esistenza e quella della sua famiglia, corre all’impazzata alla ricerca degli assassini e dei mandanti, si incontra con i camorristi più efferati, dorme sotto un capanno tra topi ed altri animali, distrugge tutto quello che incontra sul suo cammino, viene accusato di collusione con la camorra, viene arrestato due-tre volte, conosce la vita del carcerato, perde tutto quello che aveva costruito, finisce con il rimanere da solo abbandonato da tutti, anche dai familiari più cari, la moglie Angela e i figli Serena, Stefano e Francesco si allontanano da lui, forse per sempre. Ho conosciuto il professore Alfonso Lamberti (ordinario di procedura penale presso l’università di Salerno) in una rigida e brulla mattina del gennaio del 1983, lo andai a trovare con un amico presso la procura della Repubblica di Sala Consilina dove lui era il capo. Pianse a lungo, singhiozzando, tra le braccia di quel mio amico (ora defunto) e con il petto preda di sussulti emotivi raccontò quanto era accaduto quel maledetto pomeriggio di qualche mese prima. Ci regalò il suo primo libro su Simonetta, poi negli anni successivi ho seguito sempre e con molta attenzione la sua vicenda umana ed ho letto tutti i libri, numerosi, che ha scritto sulla sua bambina. Quella mattina lasciai la Procura di Sala Consilina convinto di aver conosciuto un uomo, un uomo vero, con tutti i difetti e i pregi degli uomini veri. Sono rimasto fermo a quella convinzione nonostante negli anni sia accaduto di tutto e di più. E’ dei nostri giorni la notizia della riapertura delle indagini sulla morte di Simonetta da parte del pm Vincenzo Montemurro della procura di Salerno. Vedremo!! Mi piace trascrivere qui quello che il professore Lamberti ha scritto in apertura del libro “Cara Simona” del 2002: “Con questo volume intendo riprendere il mio colloquio con Simonetta, interrotto il 29 maggio 1982. E’ passato un altro anno, il ventesimo, Simonetta è cresciuta; capelli più lunghi, viso più roseo, corpo più slanciato. Ma è rimasta fragile: bersaglio indifesa dei killers, vendicatori del padre magistrato anticamorra. La bambina cerca di far scudo a suo padre, urla disperatamente il suo terrore. Ma non regge all’orrore di belve  con sembianze umane; poi un gorgoglio flebile, un lamento impercettibile: papy, pà ….. Sogna! E sogno anch’io con lei. Sogno di accompagnarti a scuola”, sogno la festa dei tuoi diciotto anni; sogno di esserti vicino e di accarezzarti; sogno di abbracciarti forte! … ma svanisci, come un sogno, breve.”

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