Comma/2: libertà d’informazione

Pietro Cusati

L’informazione, libera e corretta, è alla base della democrazia di un Paese e misura la civiltà di un popolo, più un paese è evoluto più il mondo dell’informazione è libero. Con internet, i blog, i social network, le varie forme di televisione diviene sempre più forte la necessità di tutelare la riservatezza, la identità e la dignità delle persone e ciò che ormai vale per ogni aspetto della vita sociale, vale anche per l’informazione. L’attività giornalistica è chiamata a fare i conti con questa esplosione di strumenti comunicativi e, insieme, con la necessità di tutelare  la privacy  cioè il rispetto della dignità delle persone. Talvolta la diffusione di informazioni di ogni tipo arriva a punte di cattivo gusto e di violazione della dignità delle persone che vanno oltre ogni norma deontologica o giuridica. Un accanimento che mira piuttosto a sollecitare la morbosità del pubblico, specie nell’ambito della cronaca rosa o scandalistica. La legislazione Italiana e prima ancora quella europea riconoscono che l’attività giornalistica e più in generale la libertà di manifestazione del pensiero, comprese le diverse forme di espressione letteraria e artistica, devono essere contemperate con il diritto alla riservatezza. Con il decreto legislativo, 30 giugno 2003 n.196, il testo unico in materia di protezione dei dati personali, meglio conosciuto con il nome di codice della privacy, l’ordinamento giuridico italiano ha compiuto un salto di qualità di grande profilo,uno dei provvedimenti che ha più influenzato la vita quotidiana dell’uomo comune. E’ cresciuta, infatti, la tutela dei diritti e il rispetto della dignità della persona umana, valori che animano la nostra costituzione. Si tratta, in buona sostanza,  della prima difesa da parte dello Stato di diritto alla riservatezza e all’identità personale. Il Codice della privacy statuisce all’art.1: ’’Chiunque ha diritto alla protezione dei dati personali’’. In tal modo viene ad essere tutelato il diritto di ogni soggetto direttamente dalla legge, come i tradizionali diritti della personalità, al nome, all’immagine e alla riservatezza. L’art.4 distingue chiaramente i dati ordinari da quelli sensibili. Sono sensibili i dati personali idonei a rivelare l’origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche, politico o sindacale, nonché i dati personali idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale. I dati che non rientrano in questa definizione vengono ritenuti ‘’ordinari’’. La tutela della dignità della persona deve essere sempre garantita. Coloro che esercitano una funzione pubblica o che sono comunque noti al pubblico, hanno una aspettativa di privacy limitata. Fa parte della notorietà o della funzione svolta esporsi ai riflettori dei media, spesso anche esibendo, volenti o nolenti, aspetti della propria vita privata. Il Codice in materia di protezione dei dati personali, decreto legislativo 30 giugno 2003 n. 196, prevede peraltro che tutto ciò che viene reso noto dall’interessato, direttamente o attraverso propri comportamenti in pubblico, può essere liberamente trattato dal giornalista. La vigente legge sul diritto di autore stabilisce che non si deve chiedere il consenso per pubblicare immagini giustificate ‘’dalla notorietà o dall’ufficio pubblico ricoperto’’. Il Garante della privacy  ha chiarito che la notorietà non necessariamente può ripercuotersi sui congiunti del personaggio, non coinvolti nei fatti, in particolare se minorenni. Per il resto il Codice deontologico segna un confine assai netto, la sfera privata delle persone note o che esercitano funzioni pubbliche deve essere rispettata con riferimento alle sole informazioni che ‘’non hanno alcun rilievo sul loro ruolo o sulla loro vita pubblica ‘’. Inoltre viene spesso lamentato che le pubbliche amministrazioni giustificano la propria decisione di non fornire informazioni ai giornalisti dietro una supposta applicazione della legge sulla privacy. Al riguardo è stato più volte evidenziato anche dallo stesso Garante per la protezione dei dati personali che la legge n. 675/96, prima, e ora il Codice della privacy non hanno inciso in modo restrittivo sulla normativa posta a salvaguardia della trasparenza amministrativa e che, quindi, la disciplina sulla tutela dei dati personali non può essere in quanto tale invocata strumentalmente per negare l’accesso ai documenti, fatto comunque salvo il peculiare livello di tutela assicurato per certe informazioni e, in particolare, per i ‘’dati sensibili’’. Le difficoltà per il giornalista di accedere a determinati documenti in possesso di uffici pubblici deriva non tanto dalla disciplina sulla protezione dei dati personali, quanto dalla normativa sull’accesso ai documenti amministrativi, legge 241 del 1990 che, laddove il documento non è segreto, impone comunque di valutare l’eventuale necessità di tutelare la riservatezza di un terzo, ma prima ancora prescrive che chi richiede il documento debba dimostrare la necessità di disporne per la tutela di un interesse giuridicamente rilevante e  concreto. Il giornalista può  quindi  chiedere di acquisire le informazioni detenute dalle pubbliche amministrazioni utilizzando gli strumenti previsti dall’ordinamento giuridico, presentando istanza in conformità a quanto previsto dalla legge 241 del 1990 o da leggi speciali o, più semplicemente, consultando albi, elenchi, quando la legge ha previsto un siffatto regime di pubblicità. Rimane poi affidata alla responsabilità del giornalista l’utilizzazione lecita del dato raccolto e quindi la sua diffusione secondo i parametri dell’essenzialità rispetto al fatto d’interesse pubblico narrato, della correttezza, della pertinenza e della non eccedenza, avuto altresì riguardo alla natura del dato medesimo.

 

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