LA SCUOLA ITALIANA VIENE SUICIDATA

 

Da Bianca Fasano

Oggi sono a casa: in sciopero. Non mi faceva comodo: non mi piace mancare da scuola, avevo soltanto due ore in confronto ad altri giorni pieni e mi toglieranno del denaro dallo stipendio. Ma sono restata a casa lo stesso.                                                                                             Ieri nella mia istituzione scolastica in Napoli, come previsto dal Contratto Nazionale del Lavoro (comparto scuola) del 29/11/2007, abbiamo aderito all’assemblea sindacale indetta dal sindacato UIL SCUOLA, in orario di lavoro, per martedì 13 novembre 2012, durante le prime due ore di lezione.                                                                                                         E’ stato bello pensare che –finalmente!- i professori di tutta Italia, concordi, nelle identiche nostre ore, stessero discutendo e riflettendo sulla situazione della scuola Italiana. Più che un minuto di silenzio per il collega Carmine Cerbera, il professore di storia dell’arte di Casandrino (NA), che si è ucciso venerdì due novembre 2012, sono valse queste due ore che abbiamo dedicato a lui, a noi, alle nostre problematiche ed ai nostri studenti che le patiscono assieme a noi.                                                                                                      Cerbera, sposato e padre di due figlie, com’è oramai cosa nota, era un insegnante precario da molto tempo e quest’anno non aveva ancora avuto un incarico. Poco tempo fa aveva conseguito la laurea specialistica ma precisava su facebook “Profumo ci sta distruggendo il futuro. Siamo precari a vita, ammettendo di essere fortunati.” Ma è inutile prendersela con l’attuale Ministro: il problema scuola viene da lontano. Già da Letizia Moratti (Fi. Governo Berlusconi), che volle nel 2001 una riforma della scuola, inserendo (tra l’altro), l’INValSI, con il compito di valutare le conoscenze e abilità degli alunni, in modo indipendente dalle valutazioni dei docenti delle singole classi e di valutare l’offerta complessiva che viene fornita dalle singole scuole e la formazione obbligatoria degli insegnanti. La formazione aveva una logica: nella scuola dell’epoca diversi docenti erano stati immessi in ruolo senza aver terminato la scuola superiore, o perlomeno, senza una laurea. Ciò avrebbe provocato un notevole impoverimento culturale e formativo della scuola statale dal 1962 fino al 2001. Fatto sta che all’epoca gli allievi erano più bravi di oggi. Si richiese a tutti gli insegnanti, non solo una laurea di primo livello ma anche una laurea biennale specialistica e un successivo, adeguato, periodo di tirocinio, cioè insegnamento assistito,: Alla fine il futuro docente avrebbe acquisito l’abilitazione all’insegnamento. Poi è venuto Fioroni (PD. Governo Prodi), dal 2006 al 2008, il quale, a torto o a ragione, ha “scucito”, dopo cinque anni di Moratti, molto di ciò che era stato fatto: tra le principali “S”novità l’abolizione dell’ingresso anticipato per la scuola materna ed elementare (per cui si chiuse per le famiglie la possibilità di anticipare l’iscrizione alla materna a due anni e mezzo e a cinque per i bimbi delle elementari), l’abolizione della contestatissima figura del tutor, trait d’union tra la scuola, i genitori e gli alunni e del portfolio delle competenze, sorta di carta d’identità dello studente (facendo “rientrare” quindi, i moduli e le vecchie schede di valutazione).  Quel portfolio delle competenze che –ricordo bene- nel 2004 (anno in cui, alla bella età di cinquantaquattro anni, entrai in ruolo, per la classe A028, ossia educazione artistica, su Napoli -proveniente da Salerno – per ricevere in successione altre due cattedre sulle superiori –finalmente!-, su Salerno nel 2005 e su Napoli nel 2006), ci fece impazzire per comprenderlo e porlo in atto (tempo sprecato!), poi scomparso nel nulla. Vogliamo parlare anche di Mariastella Gelmini (Governo Berlusconi 2008/2011)? Dio ci perdoni se ciò che ricordiamo di lei è la “dichiarazione” (resa in onore al fatto che, per un esperimento compiuto dal Cern, sembrava che le particelle di neutrini fossero risultate essere più veloci della luce), riguardo ad “un tunnel che avrebbe collegato il Gran Sasso a Ginevra, cioè la bellezza di 730 km sottoterra, attraverso il quale avrebbero “sparato” il fascio di neutrini poi recepito nei laboratori del Gran Sasso.” Vabbè. E siamo noi insegnanti ad avere bisogno di formazione? Ma chi ce li mette questi Ministri della Pubblica (d) Istruzione al loro posto? Chi? Per quale oscura ragione? Per quali meriti specifici? Per quali occulte conoscenze del settore? Per quali scopi? Ed intanto, da tanto, da troppo tempo, si sta svolgendo una non molto oscura manovra per delegittimare il corpo insegnante italiano, per farci “conoscere ed apprezzare” quali incapaci, svogliati, dediti a tre mesi di vacanze estive, pagati troppo bene per poche ore di lavoro, quindi da disprezzare, delegittimare, sottopagare, licenziare, offendere… ecc. In che modo?  La psicologia insegna che la comunicazione del disprezzo si presenta ricca di sfumature verbali e non verbali che si manifestano in base al destinatario del disprezzo, poiché si presenta in maniera diversa secondo il contesto. Noi insegnanti rappresentiamo (ingiustamente), una popolazione fortunata che lavora poco, torna a casa presto, guadagna senza ragione e non è neanche troppo preparato nel suo mestiere. Niente di strano che diveniamo le vittime di vere e proprie aggressioni morali come l’insulto e la derisione. A quale scopo? Semplice!  Lo scopo evidente è quello di fare sì che venga aggredita sia l’immagine della persona cui sono rivolte, sia l’immagine che la persona ha di sé. Quello nascosto è di poterci massacrare con il beneplacito dell’opinione pubblica. Dagli all’untore! Poi ci meravigliamo se i nostri (i vostri) ragazzi, a scuola NON ci prestano attenzione NON ritengono necessario ascoltare le nostre lezioni, NON studiano e, addirittura, decidono di combattere ogni anno (strumentalizzati), le NOSTRE battaglie in favore della Scuola Pubblica, con mesi di occupazione scolastica, sfascio degli edifici, sfascio delle ore d’insegnamento, sfascio delle regole e chi più ne ha più ne metta. LORO, i VOSTRI figli, che ci affidate ogni giorno. Che affidate nelle mani di quegli stessi insegnanti che deridete apertamente, squalificate apertamente senza rendervi conto che tutto ciò avviene (visto che il contesto non consente un’aggressione aperta e palese), a mezzo di un’aggressione mascherata in cui ci si avvale della derisione. Derisione, sì, quella per cui se ci lamentiamo del fatto che ci paghino male, del fatto che vogliano portarci a 24 ore settimanali (con lo scopo di non immettere un insegnante per ogni tre professori, visto che -6×3= 18- tre prof. occuperebbero gratuitamente – appunto- la cattedra da affidare ad un collega precario come l’amico Prof. Carmine Cerbera: 48 anni, senza cattedra), ci ritroviamo a dover sopportare il sorrisetto ironico di turno. Derisione cui si rende complice lo Stato Italiano per il modo in cui viene trattata la scuola pubblica, usando (inconsciamente?), la stessa perversa metodologia con cui  Hitler istigava al disprezzo per gli ebrei per poterli distruggere. Psicologicamente, difatti il disprezzo (anche nascosto sotto l’ironia), ha lo scopo di svalutare in modo più grave dell’insulto e serve a comunicare all’interlocutore di non essere considerato pericoloso, togliendogli la forza per difendersi. Il dispresso e l’ironia attuano il distacco e il non coinvolgimento; perciò la figura dell’altra persona è ritenuta talmente insignificante da non essere presa in considerazione. E’ un gioco al massacro. Al massacro della Scuola Pubblica Italiana, che non è quella del falso spot del Ministro Profumo, girato in una scuola privata per ricchi, ma quella dei banchi e delle sedie rotte. Delle mura gocciolanti umido, Delle lavagne (NON interattive), vecchie, delle fotocopiatrici eternamente rotte etcc.. Termino con uno studio divulgato dalla UIL scuola nel quale vengono abbattuti alcuni falsi miti che sono di pertinenza dei docenti italiani. Uno di questi è la maldicenza che i docenti italiani lavorino poco, il secondo riguarda la retribuzione comparata alle poche ore di lavoro prodotte. I fatti sono diversi. Secondo i dati forniti dall UIL su dati Eurydice, la media delle ore settimanali d’insegnamento dei docenti italiani è più in alto rispetto alla media europea: nella scuola dell’infanzia con 22 ore contro 19,6 di media, nella scuola secondaria di I grado, uguale alla media con 18 ore e nella scuola secondaria di II grado con 18 ore contro le 16,3 di media. Questo chiarisce (e chi ha orecchie per intendere intenda!), che l’immagine del docente italiano poltrone, se raffrontata con il resto dell’Europa, non ha alcun presupposto. Prendiamo ad esempio la Finlandia, che perviene ad esempio quando si vuol porre in rilievo il ritardo dell’Italia nella preparazione degli studenti riguardo alle prove INVALSI, occorre precisare che il piccolo paese scandinavo ha anche altre caratteristiche che la stampa non ha mai inteso prendere in considerazione, quali le ore effettive di lavoro dei docenti che si attestano al di sotto della media, ma con una potenzialità di retribuzione che giunge fino ai 61 mila euro annui dopo 16 anni di servizio a differenza dei docenti italiani che potranno percepire un massimo di € 48.000 dopo 35 anni di servizio. Dato lordo, ovviamente.E’ sfatato quindi un altro motivo di “disprezzo/invidia” nei confronti degli insegnanti, che nasce dalla (errata) convinzione che gli stipendi bassi dei docenti siano misurati al loro impegno lavorativo. Dimostrata l’infondatezza dell’assunto diventa ancor meno giustificabile una retribuzione per docenti italiani al di sotto della media europea, con scarse possibilità di carriera che la pongono nella fascia bassa della graduatoria. Per non parlare del fatto che si “entra in ruolo” ad età impossibili (i precari hanno una media di età sui 40 anni ed oltre) e si pongono in atto concorsi a cattedra (dispendiosi!), per illudere masse di precari. Nella tabella sottosta nte la retribuzione dei docenti elaborata dalla Uil su dati Eurydice, convertite in dollari sulla base degli indici di parità di potere d’acquisto (PPA).

 

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