COSENTINO: da “Nick o’ mericano” al “Padrino”, quale giustizia ?

Aldo Bianchini

SALERNO – In apertura confesso che nei confronti dell’on. Nicola Cosentino non ho mai nutrito grossa stima né tantomeno mi è stato in simpatia. Non mi contraddico, però, se insisto col dire che i tempi e le opportunità della politica consigliano sempre e comunque di scegliere al meglio l’offerta dei personaggi che emergono dalla base. Io, in tutta sincerità, non avrei mai scelto un  personaggio chiacchierato e dal nomignolo “Nick ‘o mericano” che è tutto un programma; così non è stato e Nicola Cosentino, spinto dalle capacità economiche del padre Silvio che aveva fatto fortuna in America e girava in Rolls Royce per le vie di Casal di Principe, in pochi anni ha scalato tutte le tappe della politica che conta, approdando addirittura alla corte dell’altro Silvio, quello nazionale. Da umile consigliere comunale di Casal di Principe è divenuto sindaco di quella cittadina, poi consigliere provinciale, poi consigliere e assessore regionale, poi deputato, infine vice ministro e coordinatore regionale del PdL. Io ho scritto in passato queste cose ma mi sono sempre ben guardato dallo sponsorizzare le devastanti accuse dei PM di Napoli che avevano descritto Nicola Cosentino come un “fiancheggiatore della camorra”. Pensate soltanto al fatto che quei PM avanzarono una richiesta di arresto contenuta in ben 600 pagine di accuse al vetriolo ed a quelle pagine si aggiunsero altre 200 del Tribunale del Riesame. Già la Cassazione, in verità dopo aver letto e riletto le 800 pagine aveva evidenziato numerose discrasie ed aveva rinviato gli atti. Tutto fumo al vento, tutto naufragato dinnanzi ad un solo magistrato, un GUP di Napoli che ha cancellato tutto rinviando a giudizio Cosentino  per “corruzione in relazione ad un concorso in falso ideologico”. Un’accusa allucinante ed ai limiti del parossistico. Anche perchè sembrerebbe che in tutti gli atti non ci sia “un solo fatto, diverso da illazioni o deduzioni, che potesse ritenersi indizio”. Dunque Nicola Cosentino va a giudizio, diciamo, abbastanza felice. Però su questa vicenda è stata montata una struttura accusatoria senza precedenti che ha segnato, ricordiamolo, la effettiva motivazione della caduta del governo Berlusconi; anche se poi la Camera fu chiamata a votare soltanto in data 12 gennaio 2012 per il “non arresto” del deputato con 309 voti contro 298. Soltanto 11 voti di scarto con l’aiuto determinante dei 6 deputati radicali e una Lega scossa da forti tensioni tra Umberto Bossi e Roberto Maroni. Molto diversa era stata la prova di forza contro i magistrati il 10 dicembre 2009 quando Cosentino venne salvato da ben 360 deputati contro 226. Verrebbe, oggi, da chiedersi dove sono finiti i quattro pentiti che lo accusavano, dov’è finito Domenico Frascogna che lo aveva indicato addirittura come “il postino della camorra” al servizio di Carmine Schiavone cugino del famigerato Francesco Schiavone, meglio noto come Sandokan. Dov’è finita la grintosa aggressione di Mara Carfagna contro il camorrista Cosentino, dov’è finito il dossier della P/3 per screditare il governatore Stefano Caldoro, dov’è finita la truculenta azione distruttiva di Vincenzo De Luca che, comunque, nel 2006 aveva accettato il patto elettorale con quello che sarà poi indicato come il vero “Padrino” della camorra. E cosa sarebbe successo, amici lettori, se Cosentino fosse stato arrestato già nel 2009. Non oso pensare al martirio fisico e morale che tutti gli avremmo inflitto. Da anni vado dicendo, ovviamente inascoltato, che i pentiti e le loro dichiarazioni vanno prese col contagocce e la ricerca dei riscontri deve essere accurata e al di là di ogni ragionevole dubbio. I magistrati che si lasciano portare per mano sono essi stessi ostaggio dei delinquenti abituali. Come si fa ad imbastire 600 pagine di accuse senza che “un solo fatto, diverso da illazioni o deduzioni, possa ritenersi indizio”; lo ha scritto la Cassazione e non uno qualsiasi. Certamente Cosentino ha delle colpe, ma alla luce del pronunciamento del GUP dobbiamo pensare a colpe di natura essenzialmente politica. Non c’è dubbio che ha esercitato i suoi vari ruoli forse con arroganza e con distacco dal mondo reale, come se tutto gli fosse stato dovuto, ed è giusto che paghi per questo suo modo di fare politica, ma da qui a buttare le chiavi della sua cella ce ne corre di acqua sotto i ponti. La caccia alle streghe, la moda di fare politica con la magistratura, l’utilizzo strumentale dei pentiti, sono tutte cose che dovrebbero essere bandite dal nostro lessico quotidiano. In caso contrario rischiamo seriamente di perderci tutti.

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