Riforme, piccole caste e privilegi.

di Aurelio Di Matteo

Che i problemi della scuola siano incancreniti, nonostante le cosiddette riforme introdotte negli ultimi anni, sia dal cacciavite del medico On. Fioroni sia dal pedagogismo adolescenziale dell’apprendistato dell’On. Gelmini. Sono incancreniti perché si ha il reverenziale timore di abbattere alcuni totem ideologici. Analogamente le Amministrazioni pubbliche elettive sono rimaste immutate con i loro sprechi e la conseguente proliferazione di Enti e Organismi derivati. Se qualcuno si azzarda a sussurrare, prefigurando qualche lieve modifica dell’esistente, ecco l’insurrezione di piccole e grandi caste, politiche o impiegatizie, a difesa di altrettanto piccoli o grandi privilegi. Per ultimo avviene per quella parvenza di riforma costituita dall’accorpamento – non eliminazione! – di alcune Province e per la proposta di adeguare l’orario dei docenti della secondaria a quello dei docenti della primaria. E pensare che nel programma del PDL e in quello del PD, partiti che oggi rappresentano la maggioranza che sostiene il Governo, era scritto a chiare lettere e come obiettivo prioritario proprio l’eliminazione dell’Ente Provincia, diventato inutile dopo il massiccio trasferimento di competenze all’Ente Regione. Analogamente i docenti, che hanno sempre rifiutato ogni tipo di valutazione, in ingresso e in itinere, sia delle competenze sia della produttività, oggi scendono in piazza e sabotano le attività d’integrazione, peraltro remunerate con costo orario superiore a quello di un qualsiasi altro dipendente di pari livello, pubblico o privato.  Un Ministro, On. Luigi Berlinguer, intellettualmente onesto e lungimirante, dovette cedere il Dicastero perché aveva osato introdurre la valutazione per Dirigenti e per Docenti e una progressione di carriera legata al merito e alla produttività. Anche allora vi fu la sollevazione trasversale della totalità dei Dirigenti e dei Docenti a difesa dell’insindacabilità del merito e della qualità delle prestazioni! Nell’altro campo, è irritante ascoltare da Presidenti di Provincia, sia del Nord sia del Sud, che in seguito ai tagli sono costretti a lasciare al freddo le aule scolastiche, a dismettere il personale con licenziamenti e mobilità, a imporre vacanze forzate agli studenti e annullare i servizi alla persona. E propongono ricorsi al TAR contro le decisioni della stessa maggioranza parlamentare alla quale appartengono. La difesa di sprechi e privilegi prescinde dalle divisioni geografiche o politiche! Per di più, ricordandosi solo oggi che esistono, rispolverando un’identità antropologica inesistente, appellandosi a un campanilismo becero e leghista, incitano alla sollevazione i cittadini ignari sol perché viene soppressa la “seggiola” sulla quale sono assisi. L’indignazione sarebbe stata credibile e sacrosantamente giusta se gli Enti Provincia avessero prioritariamente deliberato la revoca di tutti i contratti della frotta di consulenti esterni, la riduzione (almeno!) delle retribuzioni degli Assessori, dei Consiglieri, dei gettoni dei membri delle inutili Commissioni consiliari, dei componenti i Consigli di amministrazione delle Società partecipate e degli organismi derivati e così via. Analogamente la protesta dei docenti sarebbe stata accettabile se fosse stata preceduta dalla richiesta di una formale valutazione della qualità delle loro prestazioni, di una selezione e reclutamento basati non soltanto sull’anzianità ma su un curriculum documentato, di una retribuzione differenziata in base a località, merito e produttività e della possibilità di licenziamento per insufficienza, demerito o mancato raggiungimento degli standard formativi dell’Istituto e degli alunni. E non s’invochi l’Europa, dove queste condizioni sono costume e posizioni giuridiche acquisite da sempre, unitamente a maggiore prestazione e superiori carichi lavorativi in rapporto agli alunni. Tanto per esemplificare, il confronto andrebbe fatto non solo con le ore di insegnamento, ma sulla tipologia di contratto e sulla retribuzione oraria. Ci accorgeremmo che in Italia i docenti lavorano la metà e sono retribuiti il doppio! La prassi di considerare l’orario di lavoro degli insegnanti principalmente sulla base del numero d’ore d’insegnamento vige in soli due paesi, Belgio e Lussemburgo. Il resto dei paesi europei ha, invece, adottato il concetto di numero complessivo di ore di lavoro, comprensivo di tutte le attività, oltre quelle d’insegnamento in aula. In molti paesi il tempo di presenza a scuola degli insegnanti è specificato nel contratto di lavoro e nei contratti collettivi. In Svezia, sempre per esemplificare, il monte ore complessivo dei docenti è di 1767 ore, di cui 1360 devono essere svolte a scuola; nel Regno Unito agli insegnanti è richiesto di essere a scuola per 1265 ore l’anno, circa 32 ore settimanali che è considerato il monte ore minimo. La divisione tra ore d’insegnamento e non è stabilita dal capo d’istituto. Tale tempo non include la preparazione e la correzione dei compiti. L’Italia politica e impiegatizia, trasversalmente conservatrice, egocentrica e gelosa dei propri piccoli o grandi privilegi, è disponibile a essere una volta tanto veramente europea con profonde e adeguate riforme?

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *