Slovenia, dopo Cipro la nuova vittima della crisi finanziaria

 

Filippo Ispirato

In questi giorni l’attenzione dei media è rivolta alla situazione economica di Cipro, alle prese con una gravissima crisi del suo sistema finanziario e bancario e che ha portato letteralmente al collasso le casse pubbliche del Governo di Nicosia.

L’agenzia Standard & Poor’s  ha declassato il rating del paese a CCC, un livello molto prossimo all’insolvibilità e al default del paese.  Si dovranno attendere i nuovi sviluppi delle trattative tra Nicosia e Bruxelles, affinché si possano sbloccare delle nuove tranches di aiuti all’isola, visto che al momento la Russia non sembra sia intenzionata a fornire sostegno finanziario a Cipro. L’unica via d’uscita percorribile sarà probabilmente la vendita del suo sistema bancario, delle riserve di gas, scoperte al largo dell’isola nel 2011, e di parte dei suoi beni demaniali.

Diverso, ma non meno serio, è il caso della Slovenia, che potrebbe aver bisogno degli aiuti dell’Unione Europea e del Fondo Monetario Internazionale, per rivolvere le tensioni economiche e finanziarie che sta vivendo in questi giorni.

La Slovenia è stato il primo paese ad ottenere nel 1991 l’indipendenza dall’ex Jugoslavia di Tito, all’indomani della caduta del comunismo e del muro di Berlino. Da sempre è stata l’economia più ricca e dinamica tra le ex repubbliche jugoslave, tanto da entrare nell’Unione Europea nel 2004 e nell’area Euro nel 2007, e ad attrarre molti imprenditori del nord-est italiano, che hanno impiantato sul territorio diverse aziende manifatturiere grazie al costo della manodopera più basso rispetto all’Italia. 

I motivi della forte crisi che ha coinvolto il paese sono essenzialmente due:

–          l’alto livello di corruzione nel paese, che ha costretto alle dimissioni il primo ministro sloveno Jansa Bratusek alcune settimane fa, dopo che era stato scoperto che aveva nascosto al fisco ingenti cifre di denaro

–          l’elevato ammontare delle sofferenze nel sistema bancario per crediti deteriorati, che si aggirano attorno al 20% del Pil, una cifra seriamente preoccupante nel caso di un piano di salvataggio per i bilanci statali di Lubiana, che non ha ancora approntato un serio piano di ristrutturazione del suo sistema bancario, quasi interamente statale ereditato dal precedente regime comunista

L’economia del paese ha risentito in maniera pesante gli effetti della crisi finanziaria che ha colpito il nostro continente negli ultimi anni: il rapporto debito Pil è passato dal 16% al 59% nel giro di quattro anni, il tasso di disoccupazione ha superato il 12% nel 2012, il Pil è calato del 2,3% nell’ultimo biennio e le principali agenzie Standard & Poor’s, Moodys e Fitch hanno declassato il rating del paese negli ultimi mesi. Dati che non fanno ben sperare su un’uscita indolore dalla crisi.

Con molta probabilità c’è da aggiungere che l’ingresso della Slovenia nell’area euro è stato prematuro per il paese; l’adozione di una moneta europea forte ha reso l’export delle aziende slovene e l’offerta turistica meno concorrenziale rispetto ai paesi confinanti (Croazia e Bosnia Erzegovina in primis).

Sarà importante per il paese vedere quando e come riuscirà a salvare dal collasso il suo sistema bancario, che, sebbene di dimensioni inferiori per giro d’affari rispetto a quello cipriota, potrebbe aprire la strada alla richiesta di aiuti al fondo Salva Stati dell’Unione Europea dopo Portogallo, Irlanda, Grecia, Spagna e Cipro.  

Unico suo punto di forza, almeno per il momento, il rapporto Debito/Pil ancora a livelli bassi rispetto ad altri paesi membri, che potrebbe consentirgli di drenare la liquidità necessaria per un possibile salvataggio.

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