L’esame di Bologna

Renato Messina  (renatomessina87@gmail.com)

Il 26 Maggio i cittadini del Comune di Bologna saranno chiamati al voto per il referendum consultivo sulle convenzioni che il Comune stesso intrattiene con le scuole d’infanzia paritarie, fornendo un contributo per il servizio prestato. Il quesito non riguarda quindi strettamente il discorso generale del finanziamento pubblico della scuola privata, ma non si può neanche nascondere che il quesito stesso ricada nell’ambito delle discussioni sull’impiego di soldi pubblici. I bolognesi  dovranno dare il loro parere e, che piaccia o meno, questo voto ha una valenza indicativa nazionale. Partiamo da un dato incontrovertibile, l’articolo 34 della Costituzione recita così: “Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato.” È forse meno chiaro che la dicitura “senza oneri per lo Stato” indica non un divieto (che sarebbe dovuto essere esplicito a mio avviso) a finanziare i privati, ma la non obbligatorietà dello Stato a sovvenzionarli. La questione comunque è aperta alle interpretazioni e quindi non è un buon punto di partenza. Per quanto possa sembrare strano anche se cominciassimo ad analizzare i numeri e le statistiche disponibili ci potrebbe essere qualche dato estratto in maniera diversa o interpretazione discordante delle cause, quindi eviterò di citare anche i numeri. Partiamo allora da dati assolutamente certi: c’è una parte di soldi pubblici che viene data a dei privati che forniscono il servizio di istruzione. Esistono due ordini di domande, una politica (se sia utile o meno) ed una etica (se sia giusto o meno). La prima chiede quindi se ci sia una “esternalità positiva” della sovvenzione, ovvero se gli aiuti forniti ai privati producano un risultato positivo per la società. La seconda domanda pone invece il dubbio sull’eventuale creazione di una diseguaglianza tra i cittadini e, di conseguenza, se ci sia qualcuno che viene illegittimamente avvantaggiato a scapito di qualcun altro. La problematica politica ricade decisamente in una risposta positiva. Infatti la sovvenzione assicura l’esistenza di una libertà di scelta che favorisce il cittadino, al quale infatti può essere fornita un’alternativa al sistema educativo tradizionale; in pratica si crea il vantaggio di “poter scegliere” e di non dover per forza ricorrere solo ed esclusivamente a ciò che ci viene fornito dal settore pubblico. Qualcuno potrebbe obiettare giustamente che le scuole private potrebbero provare a sopravvivere senza; questo è possibile ma bisognerebbe provarlo, e sicuramente le scuole private diventerebbero ancora più elitarie. La questione etica è più delicata; un cittadino che usufruisce della scuola pubblica potrebbe avere da ridire sul fatto che le sue tasse vadano a finanziare un servizio dal quale non riceve nessuna utilità, mentre chi ha la possibilità di pagarsi la scuola privata è avvantaggiato dal fatto che essa è sostenuta anche da soldi pubblici. La questione però presa così è molto fuorviante. Infatti tutti noi paghiamo gli ospedali ma se una persona rimane in buona salute per tutta la vita potrebbe non usufruirne mai; paradossalmente però sarà felice di aver pagato perché ha potuto avere sempre la certezza di poter essere curato. Sotto questo aspetto il discorso “istruzione” non differisce perché è vero sì che l’istruzione è obbligatoria per un certo periodo, ma allo stesso modo è davvero difficile non passare mai per un ospedale durante la propria vita per motivi propri o dei propri cari. Il tema invece del vantaggio dei più ricchi è davvero irrisorio; quantitativamente la percentuale del bilancio del Ministero dell’Istruzione che viene dedicata alla scuola privata è inferiore all’1% (dato del Ministero, “La scuola in cifre 2009-2010”), permettendoci però di assicurare un minima libertà di scelta nel modello di istruzione dei propri figli; mi sembra chiaramente un prezzo onesto.  Eppure questo seppur piccolo sviamento di risorse pubbliche potrebbe essere evitato se, al posto di ostinarci a far cadere dal cielo “pubblico” i soldi per la scuola senza nessun criterio meritocratico, implementassimo il sistema dei “voucher” e del premio che ne deriverebbe. Se infatti ogni studente valesse “1” e potesse essere assolutamente libero di scegliere tra qualunque tipo di scuola e, ogni scuola ricevesse finanziamenti in base al numero di studenti che la scegliessero, il problema sarebbe superato perché ci sarebbe la massima espressione della libertà di scelta. Se ogni scuola potesse cercare di attirare i professori che ritiene adatti per i suoi insegnamenti, noi saremmo davvero in grado di selezionare liberamente quale tipo di istruzione dare ai nostri figli e avremmo creato un incentivo naturale ad aumentare il livello di preparazione che ogni scuola fornisce, perché tutte cercherebbero di attrarre più studenti per avere più finanziamenti. In questo modo la scuola sarebbe sempre sovvenzionata da soldi pubblici ed accessibile a tutti, ma incentivata a migliorarsi. Per concludere sul discorso attuale del finanziamento pubblico alla scuola privata ritengo che, fino a quando non riusciremo a ispirarci a criteri più meritocratici, sia meglio dare una sovvenzione che ci assicura una libertà fondamentale, piuttosto che tenerci una eguaglianza puritana che ci renderebbe tutti un po’ più sudditi.

 (renatomessina87@gmail.com)

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