CICLISMO: da Simpson a Froome

 

Aldo Bianchini

SALERNO – Non so davvero come andrà a finire, ma una cosa è certa: il britannico Christopher Froome rimarrà nella storia, non fosse altro che per aver vinto il Tour de France n. 100 probabilmente contro ogni pronostico. Nelle settimane e nei mesi che verranno potrà, poi, accadere veramente di tutto in merito alle capacità psico-fisiche e tattico-tecniche di colui che ha sbaragliato tutti gli avversari dall’alto di un’assoluta padronanza sull’intero circo della “grande boucle”. Spero ardentemente che non si ripeta la famigerata “operacion puerto”, l’inchiesta spagnola antidoping che nel 2006  falcidiò decine e decine di corridori. Seguo il ciclismo dall’8 giugno 1956, cioè da quando il mitico Charly Gaul si impose nella tappa del Bondone sotto una bufera di neve andando a vincere il suo primo giro d’Italia. Per la storia ciclistica fu solo Gaul a tagliare il traguardo di quella tappa, per la classifica furono ammessi altri corridori, e il Giro continuò. Da quel momento ho seguito il ciclismo (Giro e Tour) fino al giorno 4 giugno 1999 quando Marco Pantani compiva la sua ultima vera impresa a Madonna di Campiglio e si avviava a vincere il suo secondo Giro consecutivo. Il giorno dopo fu escluso violentemente dalla corsa perché il tasso dei suoi globuli rossi era di pochissimo superiore al 50% previsto dalle norme in materia di doping; quello fu più un omicidio che un’espulsione da una competizione sportiva. Dopo il ’99 ho seguito a tratti le due grandi corse senza appassionarmi più di tanto alle pur epiche imprese di altrettanto grandi ciclisti, tenendomi sempre ben distante da Lance Armstrong quel mostro bionico creato in laboratorio dai francesi per dare lustro alla loro corsa e finito malissimo almeno nel ricordo di tutti gli sportivi. Dopo oltre mezzo secolo di passione sportiva per il ciclismo devo, però confessare di non aver mai assistito alla performance messa a segno da Froome il 13 luglio 2013 sul Mont Ventoux (arrivo in salita della 15^ tappa); prima di quel giorno non avevo mai visto fin dal 1956 un corridore operare a ripetizione quegli “scatti bestiali” al di là di ogni immaginazione umana. Seduto in poltrona guardavo la tappa e non esultavo, l’impresa che stava mettendo a segno il britannico non mi esaltava, piuttosto mi deprimeva, mi faceva rattrappire su me stesso, incredulo al cospetto di cotanta forza della natura. Quasi spaventato dal mio stesso pensiero mi chiesi chi o che cosa potesse dare quella forza sovrumana a quell’atleta che certamente esibiva un fisico eccezionale ma che, comunque, stava andando chiaramente e visibilmente al di là delle sue stesse intenzioni. Era incredulo egli stesso, ogni tanto si fermava sui pedali forse per chiedersi cosa stava accadendo, ma subito dopo riabbassava la testa e giù sui pedali verso la vetta, quella stessa vetta sulla quale esattamente 46 anni prima e nello stesso giorno del 13 luglio perse la vita il suo connazionale Thomas Simpson all’età di trent’anni per eccessivo uso di doping. Rimasi seduto in poltrona anche dopo la conclusione della tappa, mi interessava seguire i commenti dei cronisti che furono (ad onor del vero !!) tutti maliziosamente garbati sulla strapotenza del corridore britannico. Ho detto prima che seguo il ciclismo dal 1956, non ho assistito quindi alle stupende performance dei nostri Fausto Coppi e Gino Bartali (solo per citarne due tra i tanti); mi sono sempre chiesto in verità come facevano quei “miti del ciclismo” a incasellare o a recuperare distacchi da fantascienza; fortunatamente fino ad oggi, nonostante qualche tentativo, nessuno ha mai osato mettere in discussione quei risultati e spero davvero che ciò non avvenga mai. Per ritornare a Christopher Froome mi ha inquietato l’autodifesa troppo sparata che lo stesso atleta a subito evidenziato non appena qualcuno ha tentato di mettere in discussione quella tappa e quel modo sfrenato di vincerla. Non so, ovviamente, se alle sue spalle c’è qualcuno o qualcosa che gli sta preparando la leggenda, come fu per Armstrong; se è pulito la leggenda la merita e come e la storia delle prossime corse a tappe ci dirà tutta la verità, nient’altro che la verità. Per il bene di uno sport che sembra essere giunto, con grande tristezza, al suo traguardo finale.

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