Guariglia/4: tra malattia e guarigione … dalla visita della Masullo alla telefonata del 18 luglio.

Aldo Bianchini

SALERNO – <<Come si può determinare quando un paziente è guarito e, soprattutto, quando arriva il momento chi decide se il paziente può andare>> è questa la domanda inquietante che accompagna, o dovrebbe accompagnare, da sempre la psichiatria in generale e lo psichiatra in particolare. Purtroppo è una domanda alla quale da almeno un secolo a questa parte nessuno ha saputo o potuto dare una risposta compiuta e convincente. Ci hanno provato un pò tutti: scienziati, filosofi, psichiatri di chiara fama, medici e semplici studiosi; sono stati organizzati seminari, convegni, se ne è discusso a livello planetario ma il risultato è stato sempre lo stesso: i meandri oscuri e tenebrosi del cervello sono impenetrabili ed inesplorabili. Per risolvere, quindi, il problema serio posto dalla domanda ci si deve muovere sulla base e sulla scorta della casistica (generale o particolare che sia) che non dà, comunque, la sicurezza definitiva e risolutiva per una decisione finale ed irreversibile. Ovviamente questo non è un problema della stampa, neppure a livello divulgativo; si tratta di un problema essenzialmente scientifico che è necessariamente anche al di fuori della mia portata. Faccio il giornalista, però mi rendo conto che in qualche modo bisognerebbe cercare di aiutare tutti gli operatori, privati e pubblici, ad entrare nella psiche dei loro assistiti promuovendo inchieste, ascoltando la gente, proponendo soluzioni; credo che il giornalista debba anche impegnarsi in questa azione umanitaria e dallo sfondo sociale molto preciso. Non si può aspettare inerti la notizia, trattarla per qualche giorno e poi mettersi in attesa di successivi avvenimenti (avvisi di garanzia, nuove aggressioni, ecc.) per ritornare sull’argomento. Il problema è dilagante ed investe tutta la Città (per parlare solo di Salerno), dunque è un problema sociale che la stampa non può e non deve ignorare. La stampa può recitare un ruolo molto importante, anche di supporto sia per il mondo della psichiatria che per quello della magistratura. Prima parlavo della statistica ed in effetti è solo a quella che operatori pubblici e privati si riferiscono e si attengono per la risoluzione della domanda iniziale, dando sempre per scontato che ogni risoluzione può anche essere quella sbagliata. Non bisogna, però, trincerarsi dietro l’emblematicità della domanda e la stessa non deve servire da copertura con l’assunto che la mente umana è impenetrabile e che, quindi, non c’è alcuna responsabilità, né del tipo oggettivo e neppure soggettivo. C’è la statistica e ci sono le consuetudini cui possiamo riferirci e per cui chiedere conto e ragione a tutti gli operatori del settore delle malattie mentali. Ritorniamo ora la caso del presunto assassino Lino Renzi. Tutti sappiamo che da decenni non stava bene, che pochi mesi fa il sindaco di Prignano Cilento gli aveva indirizzato un TSO, che era stato ricoverato presso la struttura ospedaliera San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona e che, infine, era stato per ben 60 giorni in terapia presso la casa di cura La Quiete. Un percorso di tutto riguardo per un malato di mente. Sappiamo anche che dalla clinica La Quiete in data 31 maggio 2013 sarebbe partito un fax diretto all’ASL (bisogna capire a quale ufficio !!) con il quale i sanitari della casa di cura relazionavano sulle precarie condizioni psico-fisiche del paziente Renzi giudicandolo bisognevole di prolungamento del ricovero che stava per scadere il 5 giugno 2013. Dalla ASL, ovviamente, nessuna risposta. A questo punto, però entra in ballo la statistica che in verità è già corposamente conosciuta attraverso i ricoveri e il TSO e, forse, sulla statistica si sono bastai i medici della ASL. Ma dal momento delle dimissioni dalla clinica sembra essere calato il buio temporale sull’uomo Lino Renzi e sulla situazione ambientale in cui lo stesso viveva e si muoveva; la statistica in questo caso non suggeriva l’abbandono totale. Si dovrà capire che cosa è accaduto o meglio che cosa è stato fatto o non fatto in quei 45 giorni che intercorrono dal 5 giugno al 20 luglio, presumibile data dell’uccisione di Maria Pia Guariglia. Anche qui andiamo per tentativi avendo soltanto due certezze: uno – il 18 luglio un medico residente in Via Martuscelli ha chiamato telefonicamente i colleghi del DSM-UOSM per avvertirli del fatto che la situazione psichica del Renzi era divenuta insostenibile e poteva da un momento all’altro degenerare; due – qualche giorno prima del 18 luglio si sarebbe recata nell’abitazione dei Renzi l’avv. Rosa Egidio Masullo (allertata dai condomini nella sua ex veste di assessore ai servizi sociali o semplicemente  perchè “Rosellina” assiste come legale amministrazione condominiale ?. Due momenti significativi che smentiscono le incaute e pressappochistiche dichiarazioni di Nino Savastano, assessore ai servizi sociale del Comune di Salerno. Ma che cosa poteva essere fatto e non è stato fatto in quei 45 giorni ? Alla prossima.

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