L’alluvione del ‘54

Maddalena Mascolo

SALERNO – Tra le grandi alluvioni d’Italia, quella di Salerno del 25-26 ottobre 1954 fu tra le più gravi in termini di perdite umane. La catastrofe fu causata da precipitazioni di portata eccezionale, il cui impatto fu talora aggravato nelle aree interessate da disboscamenti dissennati, che favorirono alcuni movimenti franosi estesi e distruttivi. Una perturbazione che già aveva causato abbondanti precipitazioni in Liguria si spostò il 25 ottobre 1954 verso il Sud della penisola, raggiungendo nel primo pomeriggio la provincia di Salerno. La pioggia cominciò a cadere con moderazione fin dalle ore 13, divenendo più intensa verso le 17. Le precipitazioni aumentarono ulteriormente di intensità nella serata, assumendo carattere di nubifragio. Il periodo in cui la pioggia cadde con maggiore intensità fu tra le 20 e le 24, ma continuò a piovere forte per tutta la notte. In meno di 24 ore caddero più di 500 mm di pioggia. Fu una “alluvione lampo”, con i fenomeni intensi estremamente localizzati e gli effetti amplificati dall’orografia, sia in termini di esaltazione delle precipitazioni per effetto stau, sia per la brevità e la elevata pendenza dei torrenti che trasportarono a valle l’acqua e il fango. La zona maggiormente colpita fu quella della costiera amalfitana fino alla città di Salerno, e precisamente le località di Vietri sul Mare, Cava de’ Tirreni, Salerno, Maiori, Minori, Tramonti. Le devastazioni furono immense: frane, voragini, ponti crollati, strade e ferrovie distrutte in più punti, case spazzate via. I danni si calcolarono superiori ai 50 miliardi di lire dell’epoca. La furia delle acque causò estese frane, una delle quali, staccatasi dal pendio di un monte da poco disboscato, spazzò via il villaggio di Molina, distruggendolo completamente, ed un vicino ponte monumentale dell’acquedotto, chiamato “Ponte del Diavolo”. L’epicentro del disastro fu sui monti di Cava de’ Tirreni, da cui scendono i torrenti Bonea e Cavaiola. Dai fianchi delle montagne, infatti, i corsi d’acqua scesero impetuosi, trascinando un enorme massa di fango, detriti ed alberi abbattuti, i quali a loro volta furono catapultati violentemente sulle strade, sui ponti, sui centri abitati. Le acque si riversarono particolarmente impetuose dal monte San Liberatore che sorge tra Vietri e Salerno, che risultarono entrambe sconvolte. Il Bonea fu invece il responsabile della distruzione di Molina. La pioggia torrenziale provocò l’ingrossamento e lo straripamento di alcuni fiumi, a Salerno (Fusandola e Rafastia) e in provincia (Bonea, Reginna Maior, Reginna Minor), che provocarono gravissimi danni. A Salerno, le zone più colpite furono i rioni di Canalone, Annunziata, Olivieri e Calata San Vito, nella zona occidentale della città. 21 dei 107 morti non furono mai identificati. Ben 1712 famiglie persero la loro abitazione in città. In particolare, a Canalone morirono ben 41 persone. Qui il torrente Fusandola, che s’incunea nel terreno diventando un canale (da cui il nome del rione), s’ingrossò a causa della pioggia e delle frane su di esso cadute dal San Liberatore, travolgendo tutto ciò che incontrò sulla strada. La gigantesca mole di fango da qui si abbatté in Via Spinosa, dove crollarono alcuni palazzi e morirono 10 persone. Contemporaneamente, nel centro storico il Rafastia, che scorre al di sotto del manto stradale, s’ingrossò al punto da spaccare la strada (via Velia). Si creò nella zona un’enorme marea di fango, che corse in discesa per molti metri, distruggendo tutto ciò che si trovava davanti, fino a fermare la sua corsa davanti alla chiesa dell’Annunziata. Qui, i soccorritori videro uno spettacolo terrificante: un enorme ammasso di fango, alto fino alle insegne dei negozi, conteneva masserizie di ogni tipo e purtroppo numerosi cadaveri. Altri cadaveri furono ritrovati nella villa Comunale, altri ancora in mare, al largo di Santa Teresa, anche molti giorni dopo. Nel Rione Olivieri si assistette a un altro spettacolo orribile: una frana cadde dal costone roccioso e letteralmente divelse un intero palazzo (palazzo Mazzariello), che fu trascinato fino a mare. Si generò un incredibile enorme buco tra due alti palazzi, al posto del quale, prima, c’era il terzo palazzo. A Calata San Vito caddero alcune frane, provenienti dal Monte Carosello, su cui oggi sorge l’ospedale Da Procida, anche l’Irno straripò, travolgendo otto persone nel sonno. Il tutto avvenne di notte, rendendo ancora più problematici i soccorsi, che furono, in molti casi, eroici. Gli Ospedali Riuniti San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona di Salerno, all’epoca ubicati in Via Vernieri, si riempirono di feriti. L’ospedale si rivelò incapace di accogliere tutte le richieste sopraggiunte e fu proprio in quella circostanza che, per la prima volta, si ventilò l’ipotesi di creare un nuovo nosocomio a Salerno. I tempi burocratici fecero però slittare l’inaugurazione del nuovo ospedale di San Leonardo addirittura al 1980. Durante quella tragica notte, anche quando cominciò ad apparire evidente la gravità della situazione, la reazione delle istituzioni cittadine fu lenta a causa del fatto che Salerno era priva, in quel periodo, di una guida amministrativa. Il Consiglio Comunale era stato sciolto nel 1953 e il commissario prefettizio Lorenzo Salazar non risiedeva in città ma a Napoli. Inoltre, in Prefettura, vi era stato un cambio della guardia giusto il giorno prima dell’alluvione, con l’insediamento di Umberto Mondio. All’indomani della tragedia, Salerno si trovò ad affrontare il grande problema dei quasi diecimila sfollati. Molte case di Canalone, del centro storico e di Calata San Vito erano completamente distrutte. Fu a questo punto che l’Italia mostrò tutto il suo buon cuore, donando molti milioni in beneficenza, in vari modi, ma soprattutto attraverso la “Catena della fraternità”, organizzata da Vittorio Veltroni, speaker televisivo, padre del noto Walter, ex sindaco di Roma e leader del PD. Nei primi giorni giunsero a Salerno materassi, coperte e viveri necessari per gli sfollati. Ma, in seguito, arrivarono molti fondi, e anche il governo, presieduto dall’onorevole Scelba, elargì numerosi contributi per la ricostruzione della città. Fu in quel momento che cominciò la costruzione della nuova Salerno, quella a est della stazione ferroviaria. Gli sfollati furono sistemati dapprima in case popolari nella zona di Santa Margherita e Pastena (case ancora oggi abitate). In seguito, attraverso l’operato del sindaco Menna, si decise di costruire interi nuovi quartieri in queste zone. Oggi la zona orientale di Salerno è la più densamente abitata della città. (fonte MTG).

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