Ellis Island: i luoghi della vergogna fino a Lampedusa

 

Aldo Bianchini

SALERNO – Tra i ricordi più dolorosi che ho da bambino un posto d’onore lo detiene il racconto di mia nonna relativamente alla sua emigrazione negli USA agli inizi del 1900. Mia nonna Brigida Barbieri, giovanissima sposa, insieme al marito, mio nonno, Felice Bianchini emigrò verso gli Stati Uniti d’America nel dicembre del 1913. Era la mattina del 23 dicembre di cento anni fa quando i due giovanissimi coniugi Bianchini-Barbieri si imbarcarono sulla nave da Napoli verso New York (che allora non era ancora conosciuta come la “grande mela” ma come la terra promessa per i tanti contadini lucani, co9me del resto lo erano i miei nonni). Quella fu una vera e propria  “apocalisse sociale”; l’emigrazione è uno dei capitoli più dolorosi della storia lucana. Il periodico d’intonazione democratico-socialista «L’Operaio», fondato a Lagonegro per sensibilizzare l’opinione pubblica contro lo sfruttamento dei lavoratori, già nel 1884, con toni deamicisiani, la descriveva come un’apocalisse sociale, mettendo in dubbio, tuttavia, come altri avrebbero fatto in futuro, che tutto fosse effetto di un vero bisogno e non, invece, del cosiddetto miraggio dell’altrove che spingeva masse di persone a lasciare gli affranti luoghi di origine attratti da presunti mondi di ricchezza. Ricordo che agli inizi degli anni ’50 mia nonna Brigida, da me adorata, mi raccontava spesso della prima visione, quasi da spettacolo lunare, di New York dai ponti della navicella con la quale aveva solcato l’Atlantico. Mi descriveva le fasi dell’attracco e quelle della discesa a terra ma poi il suo racconto si interrompeva come se avesse qualcosa da nascondere. Ogni tanto le dicevo di raccontarmi l’America ed era sempre lo stesso, si interrompeva sempre lì. Poi un giorno, finalmente, andò oltre e mi disse tra le lacrime cosa aveva provato e cosa aveva dovuto sopportare in quel capannone industriale dove era strada rinchiusa appena messo piede a terra insieme al giovane marito e ad altri muresi. <<Caro Aldo –mi disse- ci fecero entrare in un capannone freddo ed umido insieme ad un centinaio di altre persone che non conoscevamo e lì rimanemmo in quarantena per diverse settimane. Ogni tanto ci passavano del cibo e l’acqua in abbondanza. La cosa più brutta la dovetti subire e sopportare qualche giorno dopo il nostro arrivo in America. Nel capannone arrivarono diverse soggetti che sembravano dei soldati con tanto di elmetto ed armati. Ci costrinsero a spogliarci tutti e con della pompe ci spruzzavano addosso della polvere bianca. Nudi e tutti imbiancati dovemmo rimanere per diverse ore; io volevo morire per la vergogna, non mi ero mai spogliata in pubblico ma tuo nonno fu così comprensivo che mi tenne stretta abbracciata a lui. Eravamo sposati da pochi mesi e quello era il nostro viaggio di nozze oltre che della speranza. Verso sera uno per volta, sempre nudi, ci fecero passare in un lungo corridoio che spruzzava acqua calda da tutte le parti; io e mio marito Felice ci lavammo per bene e poi ci diedero delle tute tutte uguali che dovemmo indossare senza avere la possibilità di asciugare i nostri corpi che, di fatto, si asciugarono dentro quelle tute che forse erano state già utilizzate in precedenza da altri. Poi ci fecero andare in un altro capannone dove, per gruppi, incominciammo a trovare le nostre valigie e finalmente ci sentimmo un po’ tutti più rilassati. Dopo circa quaranta giorni potemmo, finalmente, uscire liberi fuori di  quel ghetto per abbracciare i nostri cari che ci aspettavano in America>>. Ovviamente mia nonna mi raccontò tante altre cose dell’America e della sua breve permanenza negli USA; difatti insieme al marito rientrò a Muro Lucano agli inizi del 1915 dopo poco più di un anno di vita a New York dove, comunque, nacque il loro primo figlio Salvatore che divenne, così, cittadino americano e potette ritornare negli USA subito dopo la prima guerra mondiale. Ho raccontato questo episodio, del tutto riservato e familiare, per mettere ancora più in evidenza quanto è stato oltremodo schifoso ed oltraggioso per la privacy di quei migranti che nel ghetto di Lampedusa sono stati costretti a spogliarsi per essere disinfettati proprio con spruzzi di polvere bianca così come avveniva in America agli inizi del ‘900. Ma la civilissima America non si fermò a quegli anni con lo scandaloso sistema di maltrattamento degli emigranti italiani; per la cronaca va detto che quella nazione, che è il simbolo della civiltà e della libertà, ha chiuso Ellis Island (i luoghi della vergogna) soltanto nel 1954, poco più di cinquant’anni or sono. La disumanità dimostrata da quei negrieri di Lampedusa impallidisce, forse, al cospetto di quanta ferocia ci mettevano gli americani per mortificare e schiavizzare noi italiani del primo ‘900. La storia, come dire, si ripete ed è sempre la stessa, anche se dai fatti testè raccontati sono passati esattamente cento anni. Bene ha fatto il ministro Alfano a sbattere fuori dal sistema di accoglienza quei lerci e squallidi individui che hanno con violenza abusato di poveri esseri indifesi. L’immagine che più mi ha colpito è stata quella di quell’individuo che butta dei gomitoli di calzini con rabbia e con schifo verso un povero migrante. Vergogna, quell’uomo dovrebbe condannarsi da solo se avesse un po’ di coscienza; la società dovrebbe epurarlo con fermezza e senza pietà.

One thought on “Ellis Island: i luoghi della vergogna fino a Lampedusa

  1. Sottoscrivo per i medesimi ricordi di famiglia che conservo dei miri bisnonni e quindi del mio nonno materno Aniello Basso.Abbiamo trovato da un sito il biglietto di viaggio,la nave è…addirittura i dollari di cui disponevano per espatriare nella Grande Mela.Per il resto…gli stessi amari ricordi

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