“L’ANGELO D’O CARCERATO”: anche il detenuto è una persona che può cambiare

da Concetta Tenuta (psicologa-pscicodiagnosta-psicoterapeuta)

VALLO della LUCANIA – Non tutte le persone sono uguali …  Spesso c’è la tendenza a credere che alcune categorie di persone sono irrecuperabili, come, per esempio, i detenuti, ma fortunatamente non è così. Pensiamo a coloro che sono ristretti nelle carceri, consideriamo il detenuto come una persona che ha sbagliato e che sta pagando il suo sbaglio con l’annullamento di una delle condizioni primarie e importanti della vita che è la “libertà”.

Non bisogna permettere che la permanenza nelle carceri possa essere solo un parcheggiare la loro vita: essi hanno tanto tempo a disposizione perché non sono impegnati dalle incombenze della vita quotidiana, è indispensabile quindi utilizzare il loro tempo per aiutarli a intraprendere un lavoro di introspezione e di riflessione sui reati commessi ed avviare una strategia di recupero, perché solo cosi potremo ridare alla società un uomo diverso e migliore, con una probabilità in più di non delinquere ancora. Far si che la pena che si sconta non sia del tutto inutile, utilizzando questa sua condizione per predisporre la persona al miglioramento, è essenziale per la società tutta, che, altrimenti, non ha fatto altro che buttar via i propri denari, dal momento che la detenzione non ha offerto che vitto e alloggio, ed il detenuto come è entrato nel carcere cosi ne uscirà, senza nessun cambiamento positivo, anzi, a volte, può capitare il contrario:  arricchito ancora di più nel  delinquere, grazie al contatto con altri tipi di devianze.

Anche sulle parafilie si può lavorare. Anche i pedofili possono ottenere cambiamenti considerevoli dopo un lavoro certosino con un’attenta osservazione e un trattamento efficace di psicoterapia. Con i detenuti sex-offender si sono raccolti tanti risultati che hanno permesso di donare speranza a loro stessi,  realizzare l’auspicio di non ritrovarsi mai più in queste situazioni e nello stesso tempo di non continuare ad essere un pericolo pubblico.

Tra i condannati per questo reato, molti hanno una storia familiare travavagliata, una scolarizzazione molto bassa, provengono da un ceto sociale molto modesto,  alcuni hanno vissuto nella piena promiscuità, dove tutto era normale, anche lo sporco/l’illecito, tutta la famiglia si poneva allo stesso modo e mai nessuno fino ad allora li aveva resi coscienti della loro devianza. Chi pensava che non c’era nulla di male in quello che faceva, anche perché i  padri lo avevano commesso su di loro ed essi  continuavano a perpretarlo sui propri figli. Tutto era “normale”, non avevano fatto nulla di male,  sono “innocenti”, ciò che hanno fatto è tanto familiare, dal momento che non avevano altri parametri per capire i propri errori.

La carcerazione li ha fermati.  Solo attraverso un lavoro di riflessione ed elaborazione  si può interrompere questa catena, questo circuito vizioso, in modo che la storia familiare non continui a ripetersi ancora, perché  l’impegno serio e costante prima o poi darà sempre i giusti risultati. La psicoterapia in carcere  utilizza questo ciclo di vita per farli riflettere e non lasciare  che rimangano a pascolare e parcheggiare. Ebbene  durante i momenti di dinamica di gruppo psicoterapica in cui  nei laboratori di emozioni emergono tante espressioni di rabbia, di tristezza, insieme a tanti altri malesseri, si affacciano anche quelle di speranza: del cambiamento, del migliorarsi, del crescere sempre di più. Questo ha permesso ai detenuti di dare un senso anche alla loro carcerazione, perché la speranza gli dava sempre di più un volto nuovo, una luce diversa che li portava sempre di più in alto verso il cambiamento e il comprendere cosa avessero fatto, cosa avessero distrutto, e quanto male avevano lasciato nelle loro vittime e nella loro anima.

Non tutti ci riescono, purtroppo alcuni continuano a rimanere nel loro fango, nel loro sporco, nella loro rabbia, con la  convinzione di essere innocenti e nella mancanza di consapevolezza, che costituisce il primo vero gradino che porta al cambiamento; altri invece continuano a porsi da vittima, piangono e si disperano e continuano a rimanere nell’autocommiserazione,  ciò che li ferma in un possibile cammino di recupero,  li rende solo tristi e non gli dona nulla, se non la depressione di un luogo triste dove c’è solo solitudine morale.

Altri invece chiedono di fare la “domandina” per parlare con la psicologa del carcere dott. Concetta Tenuta, perché sentono che è arrivato il momento di cercare di capire e cambiare stile e sistema di vita, risalire ancora dal buio e dal tunnel che ad un certo punto li opprime e, quanto più sentono il bisogno di liberarsi dal loro malessere,  più crescono e diventano adulti, uomini grandi e non più bambini che miravano solo ai bisogni primari “mangiare, dormire, e soddisfare i desideri/perversioni sessuali”.

Ascoltare le loro riflessioni profonde consente di percepire il frutto e la dimostrazione quindi di una vera crescita. La poesia di un detenuto ci mostra uno squarcio della loro vita quotidiana e la consapevolezza delle conseguenze che le loro azioni hanno prodotto.

“L’Angel d’o carcerat”

O’ carcerat è nomm c’ha sbagliat e va purdunat,

o ha accis o ha arrubbat,

ma si vo ben nun accir e si fatic nun arrobb.

O’ carcerat  sape fà tutt e nun bò fà nient,

è pulit e zuzzus, ordinat e sciaurat, è tirchio e scialacquone, sap lavà, sap cucinà,

sap fà tutt e nù bò fà nient.

O’ carcerat te rà o’ cor, o’ ben, l’anima, tutt,

ma nun o piglia p cul, ca te fà passà nu bruttu quart’ror.

O’ carcerat è nomm ca soffre, s’o ten’ a ‘ind, nun ‘o fà verè,

e soffre semp’ chiù assai. 

Rind a na cell e sett metr: tre purzun,

io facc’ o’ ben’ a te e tu fai o’ ben’ a me,

io facc o’ mal’ a te e tu fai o’ mal’ a me, 

senza sapè ca stamm suffrenn tutt’ e tre.

O’ carcerat è curius, vò sapè chi ven allà … allà, d’a libertà;

“Corra’, chi è a chest’ ora? C’hà fatt? E rò è?”

“ Nun ‘o saccio Antò”

” … Peppi … ma c’a fatt?”

“  Antò, ricen’ c’a ha fatt na violenz a’ na criatur e trirece anni.”

“Marò! Tu che stai ricenn! l’Angelo nun si tocc’!

ce pienz a chella mamma che l’è fatt’, le distrutt; e mò priega a Dio ca te perdon!”

“No! cumpa’, m’a creder’, almeno tu! Nun so’ stat’io, so’ innocente.”

“Innocente, che bella parola, si foss’ verità, ma sol’ Dio t’ pò giudicà.

E nun so’ stat’io a te purtà cà, è stat o popol’, ha vist’ … e ha saput’, e cà t’han’ purtat,

e mò giustizia farrann.

Ma l’Angelo nun s’ tocc!,  o’ dolor è tropp’ forte! e chella croce ca s’ port.

E mò priega a Dio ca te perdon’, pecchè sul tann’ tu può capì ch’è fatt …

si chill’ Angel era figl’ a te?” 

                                                                                                    A. I.

( L’ Angelo del carcerato.                                                             

Il carcerato è un uomo che ha sbagliato e va perdonato,

forse ha ucciso forse ha rubato,

ma se vuole bene non uccide e se lavora non ruba.

Il carcerato sa fare tutto e non vuol far niente

è pulito e sporco, ordinato e disordinato, è tirchio e spendaccione, sa lavare, sa cucinare.

Sa fare tutto e non vuol far niente.

Il carcerato ti dà il cuore, il bene, l’anima, tutto;

ma non prenderlo in giro, perchè ti fa passare un brutto quarto d’ora.

Il carcerato è un uomo che soffre, se lo  tiene dentro, non lo fà vedere

 e soffre sempre di  più.

Dentro una cella di sette metri: tre persone;

io faccio il bene a te e tu fai il bene a me; io faccio il male a te e tu fai il male a me,

senza sapere che stiamo soffrendo tutti e tre.

Il carcerato è curioso, vuol sapere chi viene di là … di là, dalla libertà;

Corrado chi è, a quest’ora? Che ha fatto? Di dov’ è?

Non lo so, Antonio … Peppino, ma che ha fatto?

Antonio, dicono che ha fatto una violenza ad una creatura di tredici anni.

Madonna! Tu che stai dicendo! “l’Angelo, non si tocca”,  ci pensi a quella mamma che l’ ha fatto, l’hai distrutta! E adesso prega Dio che ti perdoni.

No, compagno mi devi credere, almeno tu!  Non sono stato io, sono innocente.

Innocente!, che bella parola, se fosse verità, ma solo Dio ti può giudicare.

Non sono stato io a punirti, è stato il popolo, ha visto e ha saputo e qua ti ha portato e adesso giustizia faranno.

Ma l’Angelo non si tocca! il dolore è troppo forte! e  quella croce che si porta.

E adesso prega  Dio che ti perdoni, perchè solo allora puoi capire cosa hai fatto …

se quell’ Angelo fosse stato figlio a te?

  Il lavoro di psicoterapia condotto sul detenuto A.I. è riuscito a donargli una nuova visione della     realtà ed un valido  punto di partenza verso la reintegrazione sociale. Questi esprime la propria maturazione tramite la redazione di questa poesia.

Solo chi impara attraverso la psicoterapia ad osservare i problemi senza scappare o negarli, o cercare di risolverli con palliativi (farmaci, amici, chiacchierate, etc.), ce la può fare, perché i problemi sono come i debiti, più se ne hanno più aumentano, l’unico modo per risolverli  è  affrontarli il più presto possibile. Quando si ha il cancro lo si combatte non ignorandolo, ma  curandolo e anche quando si ha il cancro nell’anima bisogna curarlo con analisi approfondite di psicoterapia, essa fa riflettere, aiuta a crescere chi vuol crescere. Non bisogna raccontarsi favole e credere che quasi per magia tutto si risolverà senza investire nessun tipo di sforzo o sacrificio, perché altrimenti si continua a rimanere nell’illusione. Il malessere non è magico e quindi non scompare per magia, esso è reale, e realmente bisogna affrontarlo e curarlo con serietà e impegno.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *