Draghi lascia i tassi invariati

Filippo Ispirato

La Banca Centrale Europea, nella riunione tenutasi ieri 9 Gennaio a Francoforte, ha lasciato invariati i tassi al loro minimo storico cosi’ come previsto dagli analisti e dai mercati finanziari.

Il tasso di rifinanziamento sulle operazioni principali rimarrà allo 0,25%, quello sui prestiti marginali allo 0,75% ed il tasso dei depositi overnight a zero.

Il numero uno dell’Eurotower, Mario Draghi, ha affermato la ferma intenzione della Banca Centrale Europea di mantenere ancora bassi i tassi di interessi senza escludere ulteriori ribassi in futuro, qualora la situazione economica dell’area Euro dovesse richiederlo.

A motivare questa linea d’azione è in particolare il tasso di disoccupazione di Eurolandia che, seppure stabilizzatosi negli ultimi mesi, è arrivato a superare il 12% (con punte di oltre il 20% in Spagna e del 15% in Portogallo e Grecia); una cifra piuttosto alta se si considera che solo la Germania attualmente presenta dei dati lusinghieri ed un tasso di disoccupazione  attorno al 6,9%.

A Francoforte si e’ pronti a prendere in considerazione tutti gli strumenti di politica monetaria disponibili a supporto della ripresa economica europea; ci sono ancora diversi strumenti che possono essere utilizzati, tra cui gli incentivi ai prestiti per il settore privato, che restano ancora troppo deboli da parte del sistema creditizio.  Secondo le previsione dell’ufficio studi della Bce l’economia dell’Eurozona dovrebbe aver chiuso anche il quarto trimestre del 2013 in crescita, ma la ripresa rimane lenta e dovrebbe essere così ancora per tutto il 2014 ed il 2015. Secondo Mario Draghi ci sono ancora diversi rischi carattere finanziario, economico, geopolitico e politico.

Onde evitare, quindi, di arrestare la ripresa sul nascere si rendono necessarie le misure sopracitate. Mantenere i tassi così bassi non rappresenta al momento una minaccia né per la ripresa dell’inflazione, che ancora per tutto il 2013 si è mantenuta ancora al di sotto dei livelli di allarme, né per il rischio di deflazione, come capitato al Giappone negli anni ‘90, in quanto comunque si prevede una crescita dei prezzi al consumo bassa ma non negativa.

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