don Nunzio/5: dalla beata Imelda a mons. Scarano

 

Aldo Bianchini

 

SALERNO – Sull’aereo che lo portava in Brasile Papa Francesco disse che <<don Nunzio Scarano non assomigliava alla “beata Imelda”>>, un modo molto elegante per dire che non è finito nei guai per la sua specchiata condotta. Un modo molto esplicativo per chiudere, forse per sempre, la <<pratica don Nunzio>> perché, probabilmente, don Nunzio non è nient’altro che una pratica da chiudere in fretta per il Vaticano; un modo come un altro per scaraventare il <<non beato Nunzio>> nell’oblio della <<insostenibile solitudine d’un monsignore di provincia>>. E’ proprio con questo titolo che Fabio Ciaramelli sul Corriere del Mezzogiorno del 24 gennaio 2014 apre il suo approfondimento sulla vicenda Scarano. <<Non è possibile che tutta la responsabilità dei gravi reati per i quali la magistratura sta indagando, e per lo stile di vita assai poco evangelico che essi presuppongono, ricada su questo ecclesiastico finora sconosciuto, dalla biografia un po’ ambigua, adatta a solleticare la pruderie moralistica dell’opinione pubblica, e perciò molto utile a sviare il discorso dalle ambigue coperture sistemiche che questa storia evidenzia. Torna di grande attualità l’antico proverbio che invita a distinguere il peccato dal peccatore, diventa però indispensabile capire che il peccato di cui qui si parla non sarebbe neanche possibile senza quelle che nel linguaggio ecclesiastico si chiamano “strutture di peccato”: in questo caso tutto il contesto economico, finanziario e mondano della Banca Vaticana, la sua mancanza di trasparenza, la sua spregiudicatezza, senza il cui insospettabile appoggio monsingor Scarano, per quanto fantasioso, abile e capace di moltiplicare i dividendi, non avrebbe potuto far fortuna. E’ dovrebbe essere questo il bersaglio delle critiche da parte di coloro, soprattutto di matrice e sensibilità cattolica, che giustamente si sentono offesi dai suoi comportamenti…. Ma coloro che stigmatizzano severamente i peccatucci d’un pretino, dovrebbero con altrettanta durezza criticare e condannare il marciume strutturale che consente la proliferazione e il successo delle patiche che ne hanno costituito la cornice; per esempio le finte beneficenze, il carrierismo ipocrita, l’uso della religione a fini mondani. In fin dei conti, il brodo di coltura del successo di monsignor Scarano non può essere opera del solo monsignor Scarano>>. Incredibile ma vero. Pensate un po’, nello stesso giorno del 24 gennaio 2014 due grandi quotidiani si interessano alla vicenda Scarano per dire più o meno le stesse cose; da un lato don Alfonso D’Alessio con la lettera a Il Mattino parla di <<peccati e di contorno ancora più stupefacente della sostanza>>, quasi a voler dire che bisogna sempre distinguere il peccato dal peccatore e profetizza il pentimento con l’atto di spogliarsi come Francesco; dall’altro il giornalista del Corriere del Mezzogiorno che spara a zero senza ritegno sui <<peccati da distinguere dal peccatore>> in un sistema, quello della Chiesa, che favorisce le cosiddette <<strutture di peccato>> e pone l’interrogativo sulla reale colpevolezza solitaria di  monsignor Scarano per tutto quanto è accaduto; in mezzo il giovane Andrea che candidamente sbandiera l’antico detto che <<voi preti usate la talare per imbrogliare>>, che sarà anche un detto popolare e qualunquista ma che potrebbe essere indicativo di una realtà che trova ampia sedimentazione nell’immaginario collettivo. Una inquietante casualità di concomitanti giudizi tra D’Alessio e Ciaramelli o questa indicata dai due commentatori è l’unica strada da seguire nel lungo e difficoltoso percorso di ricerca della verità che mi sono posto come obiettivo della mia inchiesta. E come ho già detto nelle precedenti puntate una prima ed ancor timida risposta la fornisce lo stesso don Nunzio Scarano quando, dopo 77 giorni da quei commenti pubblici e dal commento dell’arcivescovo sempre del 24 gennaio, per rispondere verosimilmente a tutti e tre (D’Alessio, Ciaramelli e l’arcivescovo Moretti) con un fil di voce ripete allo stranito giornalista de Il Mattino (Ragusa): <<Io un cattivo esempio ? Ho solo servito la Chiesa>>. E convinto aggiunge per spiegare meglio il concetto della sua affermazione : <<Non ho mai avuto dubbi sulla mia chiamata, e Dio mi ha scelto. La finanza è un angolo della Chiesa che non ha mai contrastato la mia vocazione, anzi l’ho vissuto e servito proprio con animo sacerdotale. Ho servito la Chiesa e non mi sono servito della Chiesa>>. Affermazione ancora più forte, se volete, ma il giornalista non affonda, preferisce passare ad altro argomento, purtroppo. Non chiede, ad esempio, come la chiamata di Dio gli sia arrivata ed attraverso quale personaggio; perché lascia la banca dove è avviato verso una promettente carriera per entrare nei novizi, perché lascia una fidanzata e indossa l’abito talare ? Perché insieme a lui anche altri giovani e promettenti professionisti salernitani imboccano la via della fede ? Forse c’era un progetto ispirato e preparato da altri ? Ma prima di arrivare a questo cercheremo di analizzare anche cosa ha detto monsignor Luigi Moretti in quella intervista del 24 gennaio 2014 per porci anche una domanda: <<Ma Nunzio Scarano è colpevole o innocente, ovvero è colpevole solo lui ?>>.

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