GIUSTIZIA/17: giustizia e potere … il magistrato tra solitudine e isolamento

 

Aldo Bianchini

 

SALERNO – La solitudine e il potere molto spesso vanno a braccetto; la stessa cosa può dirsi per la giustizia e il potere; assai differente é, però, il rapporto tra giustizia e isolamento. Il magistrato in genere, almeno così come lo vediamo noi in Italia, può essere il depositario giusto delle tre componenti la giustizia: potere, solitudine e isolamento. La vera solitudine é fuor di dubbio quella che conosce il magistrato in maniera quasi fisiologica perchè quando il magistrato decide deve decidere da solo. Gli stessi dovrebbero sempre decidere in piena umiltà ricordando che per quella persona che si é seduta davanti a loro sarà un giorno che non dimenticherà, forse, per tutta la vita. Purtroppo non é sempre così, in molti casi l’arroganza del magistrato tracima facilmente i confini della giusta e dovuta umiltà. C’é, invece, l’isolamento del magistrato che Luigi De Magistris (già magistrato ed attuale sindaco di Napoli) così descrive nel suo libro “Giustizia e potere” (pag.18): “”C’é invece l’isolamento del magistrato che é una cosa molto pericolosa, perché coniuga la solitudine con l’essere isolato, e là diventa pesante e in alcuni contesti pericoloso“”. Poi c’è il potere, perché quello di magistrato é un mestiere di potere, non c’è dubbio ed é anche inutile nasconderlo. E’ un mestiere che dà grande responsabilità ma anche grande potere, perché il magistrato può modificare completamente la vita di un essere umano. Ovviamente il magistrato esercita nella stragrande maggioranza dei casi il suo potere nei termini e nelle misure previste dalla legge, non dobbiamo però escludere casi in cui quell’esercizio non avviene secondo le regole dettate dalla deontologia professionale e neppure dalle regole scritte. Per cancellare gli effetti di tutte queste possibili derive dal sistema potere-giustizia dovremmo avere una classe di magistrati in grado di assicurare l’esercizio di una giustizia partecipativa in cui, in via astratta, non dovrebbe esistere la cosiddetta “solitudine del potere“. E per giustizia partecipativa non deve mai essere intesa una giustizia permissiva solo perché dialogante, ma una giustizia giusta che riesce anche a guardare caso per caso, tenendo conto del sociale e senza farsi da esso influenzare. Qualcuno dirà che questa é solo fantasia di uno che scrive e che non opera direttamente sul campo, sarà anche vero, ma ciò non toglie che qualche correttivo, anche se solo in termini di preparazione psichica e sociale, dobbiamo pur inserirlo in un pianeta che per certi versi é diventato intoccabile ed immodificabile per via dei tanti decenni vissuti dalla magistratura all’ombra del potere per il potere, a discapito della giustizia. Ma in definitiva il potere logora ? Il compianto grande Giulio Andreotti avrebbe sarcasticamente risposto che il potere logora chi non ce l’ha; ma sappiamo tutti che l’affermazione di Andreotti era più una provocazione che una verità assoluta; il potere può logorare anche chi ce l’ha e lo amministra in maniera errata e senza confronto alcuno. Forse per aiutare i magistrati ad essere meno soli e meno isolati nelle loro decisioni ci vorrebbe un minimo di regolamentazione di quel diritto, che per loro é intoccabile, del “libero convincimento“; ma questo é un argomento complesso e difficile che non può essere neppure sfiorato da un umile giornalista di provincia.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *