LAVORO: da Schroder a Renzi … la riforma Hartz

 

Aldo Bianchini

 

ROMA – Le recenti affermazioni di Matteo Renzi in materia di lavoro fanno subito ripensare al rapporto sempre molto intenso ed anche contrastato tra Germania e Italia; un problema storico che si acuisce di più quando il nostro premier afferma che dobbiamo copiare il modello tedesco per rilanciare il lavoro. Premesso che quando si parla della Germania, noi italiani ci ritroviamo spesso a discuterne per stereotipi, preda di emozioni irrazionali, forti e contrastanti. <<Sono tedeschi !!, anche solo il suono della parola provoca un’emozione. Sono per qualcuno rigidi, puntuali, senza fantasia, noiosi, arroganti, aggressivi, dittatoriali, egoisti, ma sono anche forti, vincenti sul piano economico, producono cose che tutto il resto del mondo vuol comprare … ma il luogo comune più diffuso, e anche più corretto, quando si tratta di tedeschi, è che sono superdisciplinati …>> (così scrive Alan Friedman nel suo “Ammazziamo il gattopardo” – ed. Rizzoli). Una descrizione ovviamente precisa e puntuale che, sotto certi aspetti fa anche rabbia, per tutto quello che noi “italiani” potremmo essere e non siamo. Ma cosa è il <<modello tedesco>> per il lavoro che Renzi vorrebbe imitare se non proprio copiare. Diciamo subito che con questo modello Angela Merkel non c’entra assolutamente nulla, la Cancelliera ha trovato il cocco già bello e pronto. Nel lontano 2003 (lontano per il mondo dell’economia che vola come un razzol !!) l’allora cancelliere Gerhard Schroder (uomo di centrosinistra alla guida di un governo di socialdemocratici) fu combattuto e contestato anche dal suo stesso partito; c’era una disoccupazione fortissima e Schroder lanciò la   cosiddetta <<riforma Hartz>>, la riforma più odiata e poi più apprezzata in Germania. La riforma toccava quattro diverse aree del mercato del lavoro: 1) Semplificazione delle procedure di licenziamento e di assunzione; in pratica quando un’impresa riceve commesse assume, quando calano le commesse licenzia; 2) Trasformazione dell’ufficio di collocamento in <<job center>> con un sistema eccellente di centri per l’impiego; oggi in Germania il 13% dei richiedenti trova un posto di lavoro, in Italia appena il 3%; 3) Taglio massiccio del cuneo fiscale per lavoratori e imprese abbassando notevolmente le spese militari e dei trasporti; 4) Rimodulazione delle tipologie di svariati contratti di lavoro per introdurre il <<mini-job>> e il <<midi-job>> con paghe comprese tra i 450 e gli 850 euro, sono contratti esentasse per il lavoratore e contribuzioni molto ridotte per i datori di lavoro. Inoltre la riforma tedesca ha posto vincoli insuperabili di 12 mesi per i sussidi di disoccupazione, con prolungamento fino a 18 mesi per gli over 50. Ma la riforma tedesca, ovviamente, non si è fermata qui; ha indebolito il potere contrattuale dei sindacati ma ha anche dato a loro una maggiore capacità di discussione nella strategia delle grandi imprese. Ha cambiato il sistema di trattative collettive, introdotto maggiore meritocrazia (quella vera e non quella da tempo solo annunciata e mai realizzata nel nostro Paese) e salari più alti per performance più elevate. La Germania ha anche avuto il coraggio con la riforma Hartz di ridurre, almeno per una parte di lavoratori, il salario reale. All’inizio sembrava una bestemmia, alla fine il modello tedesco ha tagliato il livello della disoccupazione che oggi in quel Paese è davvero basso. Ma chi era l’ideatore da cui la riforma prese il nome. Peter Hartz era il direttore delle risorse umane della Volkswagen che era riuscito ad attivarla nella sua azienda con risultati davvero eccellenti. Quasi come dire che in Italia dovremmo mettere in atto tutte le strategie di Sergio Marchionne, a.d. della Fiat, per risolvere tutti i nostri problemi. Sarà capace il premier Matteo Renzi di attuare un simile modello di rivoluzione del mondo del lavoro, economico e sindacale ? La risposta potremo averla soltanto nei prossimi mesi. A proposito, dimenticavo di dire come finì in Germania dopo l’avvio della riforma, passata alla storia come il <<piano Hartz>>, finì che Gerhard Schroder perse le elezioni e fu spedito a casa, e poco dopo al suo posto arrivò la Merkel per raccogliere i frutti di quel rivoluzionario lavoro. Era il 22 novembre 2005. Anche questa è politica. Infine solo per precisare il mio pensiero, e non per rispondere al mio buon censore Domenico che in uno degli ultimi commenti sul precedente approfondimento dedicato all’art. 18 ha sapientemente criticato il mio scritto, mi corre l’obbligo di chiarire che non dovrebbe soltanto essere abolito l’art.18 ma l’intero Statuto dei Lavoratori che è stato scritto da Gino Giugni nel 1970, esattamente 44 anni fa. Negli altri Paesi, cosiddetti civili ed avanzati, una legge sul lavoro non dura più di qualche stagione e, spesso, viene radicalmente cambiata anche nel giro dello stesso anno. Noi siamo troppo vincolati alla filosofia del discorso, che per carità è senza dubbio istruttiva e culturalmente valida ma è  lunga e laboriosa e non produce posti di lavoro e, soprattutto, non invoglia le imprese ad investire nell’immediato.

One thought on “LAVORO: da Schroder a Renzi … la riforma Hartz

  1. Bravo!10 e lode direttore aboliamo tutto lo statuto dei lavoratori! Per sostituirlo con cosa? Per un attimo voglio assecondare la sua affermazione ed essere ancora più estremista di lei dicendo copiamo il modello tedesco non solo economico ma anche fiscale, costituzionale. Crede in questo modo che risolviamo il problema del lavoro in Italia e a cascata anche gli altri problemi? un ultima cosa lei cita la riforma Hartz un toccasana, bene allora pubblichi in che modo in Germania all’atto del licenziamento di un lavoratore come viene tutelato dallo stato tedesco. poi lo applichi ai 3 milioni di disoccupati di italiani e vediamo cosa ne potrebbe uscire.
    La verità se la si vuol scoprire non è difficile trovarla.

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