“Il Clandestino”: una vita al limite, una storia commovente !!

 

 

Da Daniela Lombardi

 

MILANO – Lolly, pseudonimo di Pierina Berto, è nata a Jesolo (VE) e vive a Roma. Prima di “Il Clandestino”  è stata autrice di romanzi, sceneggiature e testi teatrali.

PRESENTAZIONE

Caro Lettore

A soli vent’anni Ivan lascia la sua famiglia, prigioniera della povertà e della guerra che sta devastando la Jugoslavia nei primi anni novanta. Entrato in Italia da clandestino, cerca disperatamente un lavoro a Roma per aiutare i familiari, ma i pregiudizi, la fame e una serie di incontri sbagliati lo fanno sprofondare in una condizione di sconforto e terrore.

Un giorno però, durante un’esibizione in un ristorante con la sua inseparabile fisarmonica, Ivan nota lo sguardo di Lisa, una ragazza della Roma bene che sta facendo i conti con un mostro tanto terribile come la depressione. L’attrazione è immediata, tra i due è amore a prima vista, ma i loro mondi sembrano viaggiare su binari paralleli, destinati a non incontrarsi mai.

BUONA LETTURA…

IL CLANDESTINO

1 Capitolo

“Smonta” disse l’uomo. Ivan, che per tutto il tempo del tragitto aveva sonnecchiato, strabuzzò gli occhi per vedere cosa stesse succedendo: l’uomo al volante del camion aveva la stessa espressione di quando erano partiti. “Smonta che siamo arrivati” disse, stanco e nervoso per la notte passata a fissare la striscia bianca dell’autostrada. Il giovane raccolse le sue cose – una vecchia valigia e la sua fisarmonica – e, prima di scendere, salutò l’uomo, ringraziandolo per averlo caricato ad Ancona senza alcun timore.

“ Da dove vieni?” gli aveva chiesto l’uomo la sera precedente, quando aveva accettato di dargli il passaggio. “ Da Jugoslavia” gli aveva risposto Ivan, con la paura che lo scaricasse immediatamente. “ Dove vai?” “Roma.” Si erano scambiati poche parole, poi l’uomo si era concentrato nella guida e Ivan, stremato dalle difficoltà e dal viaggio, si era addormentato. “ Una gran brava persona” pensò, seguendo con lo sguardo il camion che spariva in lontananza.

Un vento gelido gli sferzò il volto. Era autunno e a quell’ora del mattino faceva freddo. Il buio della notte svaniva, lasciando il passo alle prime luci dell’alba. I lampioni della città rilasciavano ampi fasci di luce, formando ombre scure sull’asfalto. Con gli occhi rossi dalla stanchezza, si guardò intorno, disorientato. Cosa c’era di meglio, a quell’ora, di una tazza di latte caldo e di un comodo letto? Nulla.

Aveva viaggiato tanto e non sapeva dove andare. Erano passati quindici giorni da quando, a causa di quella maledetta guerra scoppiata senza alcun preavviso, aveva abbandonato il paese d’origine, lasciandosi alle spalle una situazione grave e il pericolo di morire di stenti. Era partito con il consenso dei suoi genitori. “ Vai e trova lavoro, sei il più grande, devi aiutare la famiglia. Io da solo non ce la faccio. Che Dio ti assista!” Queste furono le ultime parole pronunciate da suo padre sull’uscio di casa.

Legato alla famiglia e ai luoghi in cui aveva trascorso l’infanzia e l’adolescenza, Ivan era partito con la disperazione nel cuore, trovandosi ad affrontare la vita in prima persona, viaggiando da clandestino senza il visto d’espatrio, senza sapere dove andare, terrorizzato al pensiero d’essere scoperto e rimpatriato. La fisarmonica gli pesava al collo, alzò il bavero della giacca e s’incamminò. Vide davanti a sé degli archi e li raggiunse. Quell’area illuminata da quarzi bianchi aveva un aspetto particolare, le alte mura celavano storie antiche.

Quante volte aveva sognato di recarsi a Roma, di vedere tutte quelle meraviglie e divertirsi! Aveva addirittura vagheggiato di avere una ragazza italiana. Ecco. Il suo sogno stava diventando realtà. Il sonno e la stanchezza s’impadronirono del suo corpo. Un brivido di freddo gli attraversò la schiena. Si sedette su un pietrone, traccia evidente dell’Impero Romano, e guardò avanti: aveva la vista annebbiata e la mente vuota. “ Un uomo senza destinazione…” si definì mentre attraversava piazza di Porta Maggiore. Si trovò davanti a un hotel dalle luci sfavillanti e si fermò a guardarlo, affascinato. Sarebbe entrato volentieri in quel luogo accogliente per chiedere al portiere un letto e un pasto caldo. Sospirò, proseguendo tristemente.

Costeggiò bar, ristoranti, pub, gelaterie con le serrande abbassate. In giro non c’era un’anima. Chi poteva trovarsi per le strade della città a quell’ora? Solo i disperati come lui, le prostitute e i nottambuli in cerca d’ebbrezza e di forti emozioni. Le persone fortunate se ne stavano al caldo nei propri letti. Di tanto in tanto una macchina sfrecciava via velocemente. Si fermò in un largo piazzale davanti a una gelateria i cui tavoli e sedie erano legati a una robusta catena. Si liberò della fisarmonica che gli aveva procurato un gran dolore al collo e, sedutosi, la posò accanto alla valigia e si addormentò.

* * *

2 Capitolo

Improvvisamente Ivan si ritrovò in mezzo a un caos assordante. La strada era divisa in due corsie: una per le auto e l’altra per la circolazione dei mezzi pesanti, che faticavano a far manovra, tant’era stretta. Si udivano stridii di pneumatici, suoni di clacson, urla isteriche e bestemmie. Le auto, accalcate una dietro l’altra, sembrava volessero scavalcarsi. Grossi camion paralizzavano completamente il traffico. Sotto i portici della piazza, la gente camminava frettolosamente per gettarsi nella metropolitana o per saltare sul primo bus e raggiungere in breve tempo il centro della città. I conducenti dei veicoli erano inferociti.

Drappelli di uomini facevano colazione nei bar bevendo bicchierini di roba forte; indaffarati, davano disposizioni ai garzoni per lo scarico delle merci. Ivan scavalcò con cautela la barriera dello spartitraffico e attraversò la strada. Aveva fame e non sapeva dove andare. I pensieri che gli si presentavano nella mente erano molteplici. Strinse la fisarmonica al petto e proseguì.

L’autunno si faceva avanti con la sua aria fredda. Ivan, infreddolito, si strinse nel giubbotto leggero che indossava. I banchi del mercato aprivano i battenti e gli operatori, indaffarati a sistemare le merci, le esponevano in bella vista per attirarel’attenzione dei passanti. Vendevano frutta di ogni qualità: mele, pere, mandarini, arance, kiwi, ananas; in quella stagione si trovavano ancora i meloni bianchi, esposti in evidenza, per la gioia dei ristoratori della città, della provincia e dei privati. I banchi delle carni sfoggiavano pezze di vitello rosato, tenero come il burro, e grossi pezzi di manzo di un brillante rosso sangue, mentre quelli di generi alimentari erano provvisti di formaggi di ogni tipo e di salami tanto invitanti da far venire l’acquolina in bocca.

Ivan, attratto da tutto quel ben di Dio, indugiò, reprimendo i morsi della fame. Un profumo di pane appena sfornato gli entrò nelle narici. Come poteva resistere dall’afferrare una pagnotta e morderla? Come trattenersi? Qualcuno, passando, gli diede uno spintone. La folla cominciava a fluire: donne e uomini ridevano e parlavano a voce alta coi vicini di banco, gridando frasi incomprensibili. Ora il cuore del mercato pulsava con tutta la sua vitalità Era piazza Vittorio Emanuele II, il luogo frastornante in cui Ivan era capitato. Superò i banchi esterni, giungendo infine di fronte ai cancelli della piazza, che a quell’ora erano aperti. Che fare? Non sapeva come comportarsi e si chiedeva quale sarebbe stato il suo destino.

Possibile che, con tutto il ben di Dio esposto su quei banchi, dovesse digiunare? Pensò che qualcuno o qualcosa si dovesse muovere in suo favore. Varcò i cancelli costeggiando il muro di cinta. La piazza, una grande casa abitata da alti pini i cui tronchi anneriti dallo smog denunciavano il traffico del luogo, si presentò bellissima e accogliente: i bei platani troneggiavano con le loro grandi foglie, le palme svettavano allungate nel cielo, le magnolie, le gaggie e altre specie di piante e di alberelli fungevano da arredamento al grande pratocoperto da  una verde erbetta bagnata di rugiada.

Stanco e indebolito dai patimenti, Ivan si lasciò scivolare sull’erba. Alle sue spalle, oltre l’inferriata, vi era un banco di generi alimentari che stimolava l’appetito e, data la vicinanza, avrebbe potuto facilmente allungare un braccio e impadronirsi di un pezzo di pane, di un pezzo di formaggio, di un salame o di qualcos’altro, e mangiarli. Ivan però era un ragazzo timido e onesto, non avrebbe mai compiuto simili azioni. Un cane correva sull’erba, annusando qua e là. Ivan si sentì simile a quell’animale: un bastardo che non aveva nemmeno il diritto di mangiare.

Accarezzò i tasti della sua fisarmonica e alcune note disperate si dispersero nell’aria. I passanti tiravano dritto per la loro strada senza prestargli attenzione, solo un pezzente si affacciò ai cancelli della piazza, trascinando il suo corpo affaticato. Ivan lo osservò con tristezza, pensando che avrebbe fatto la stessa fine, mentre la fame gli mordeva lo stomaco.

A un tratto qualcosa lo colpì sulla testa e lo fece sobbalzare per lo spavento. Cos’era quella pioggia di proiettili che gli stava cadendo addosso? Un uomo, dall’alto dell’inferriata, senza preoccuparsi di chi vi fosse sotto, aveva svuotato una cassetta di frutta di scarto sulla sua testa. Con grande meraviglia, Ivan vide cadere dal cielo tanti frutti colorati, il suo cuore oppresso dalle difficoltà si rinfrancò e, come un disperato che si lanci in un’impresa eccezionale, si precipitò a raccattarne il più possibile e iniziò a mangiarli con voracità, ingoiandoli quasi interi. Divorò mele, pere, arance e altri frutti, assaporandone i diversi gusti. Una volta sazio, si guardò intorno e, avvistato un albero i cui rami spioventi sfioravano il terreno, lo raggiunse e vi si infilò sotto per riposarsi.

* * * 

” IL CLANDESTINO ” di Lolly Berto – Editrice Libro/Mania –

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