Ristagna la produzione industriale italiana, esiste una via d’uscita?

 

Filippo Ispirato

Sebbene sembri che l’abolizione dell’articolo 18 sia diventata l’unica priorità del nostro paese e la principale azione utile da mettere in campo per risollevare l’economia italiana, continuano ad arrivare cattive notizie sul fronte occupazionale e della produzione industriale.

E’ stato pubblicato ieri 10 Ottobre il dato Istat sulla produzione industriale italiana di agosto, che continua ad oscillare intorno ai livelli molto bassi registrati l’anno scorso. Nel 2014 si sono avute quattro variazioni mensili positive e quattro negative mensili di modesta entità’, confermando così un trend che va avanti da diversi anni, ovvero che la produzione industriale in Italia e’ in stagnazione dall’inizio del 2013 e si e’ riportata sui valori del 1986, con un balzo indietro di ben 28 anni”.

Gli indicatori della produzione industriale italiana non sono gli unici ad arretrare, il trend è comune anche ad altri indicatori dello stato di salute dell’economia del nostro paese; gli indici sugli investimenti nell’edilizia sono tornati ai livelli del 1967, quello sulle immatricolazioni di autovetture sono arretrati ai livelli del 1979, l’indice sulle compravendite di case al 1985 e quello sul reddito disponibile al 1986. Da questo quadro emerge con chiarezza il declino dell’economia del Paese, certificato anche dai dati sul Prodotto interno lordo pro capite che nel 2001 (anno precedente l’entrata del nostro Paese nell’euro) era per l’Italia superiore del 19% a quello medio dei paesi dell’Unione Europea e che nel 2013 e’ sceso dell’1% sotto questa media”, con la grande avanzata dei paesi dell’ex blocco sovietico, primo fra tutti la star dell’economia europea, la Polonia, che dal suo ingresso nell’UE, grazie anche all’utilizzo efficiente e corretto dei finanziamenti europei, è cresciuta ogni anno, compreso il difficile biennio 2008/2009.

Ma davvero l’unica soluzione, come si vede in questi giorni, per dare slancio all’economia italiana è l’affievolimento dei diritti contenuti all’interno dello statuto dei lavoratori e l’obbligo del rispetto dei parametri di Maastricht?

Anche la Germania, sebbene rimanga l’unica paladina a sostegno del rispetto rigoroso dei parametri di Maastricht, comincia, dopo anni di crescita, a segnare il passo. Il Governo della Merkel taglierà le stime di crescita della Germania intorno all’1,25% sia per quest’anno sia per il prossimo, dalle precedenti previsioni di aprile che si attestavano a +1,8% e a +2%. 

Trovare una soluzione che accontenti tutti non è semplice, tenendo presenti le azioni delle lobbies di potere presenti nel nostro paese, una pubblica amministrazione elefantiaca, farraginosa e fortemente autoreferenziale ed un apparato politico eccessivamente costoso, se paragonato a quello delle altre nazioni.

Di certo l’abolizione dell’articolo 18, secondo alcuni, potrebbe aiutare le aziende ad investire o a rimanere in Italia, in quanto si potrebbe licenziare con minori vincoli in caso di un calo della produzione o di assumere con più facilità in momenti di crescita. Ma siamo sicuri che serva solamente questo agli imprenditori italiani, al sistema aziendale del Made in Italy o quello della ricerca?

Non si rischierebbe di aumentare solo la precarietà presente nel nostro paese? Siamo sicuri che, una volta avviato il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti, sarà l’unica tipologia di contratto adottata o si continuerà ad assumere con le varie tipologie di contatti precari in vigore?

Non sarebbe meglio, al contrario, semplificare la burocrazia, tagliare in maniera seria e reale i costi della politica e della pubblica amministrazione e diminuire la tassazione sulle imprese invogliandole a rimanere o ad investire in Italia?

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