GENOVA, L’INDECENTE. OSSIA, DELLA BUROCRAZIA!

 

di Michele Ingenito

E’ risaputo che, dal binomio linguistico greco-francese kratos (potere)-bureau (ufficio), deriva l’ormai odioso termine di burocrazia. Come a dire, in una società evoluta, l’organizzazione di persone e risorse incaricate di conseguire un interesse pubblico in maniera corretta concreta e, soprattutto, imparziale e disinteressata.

Già ai tempi di Claudio, nel I° secolo a.C., i Romani dettero vita ad un sistema efficace, nel tentativo di decentrare dal potere politico quello di natura amministrativa. E, benché inizialmente, a quei cosiddetti liberti non parve vero di spaziare tra immoralità e malcostume, disonestà e corruzione, la novità introdotta si sviluppò in maniera concettualmente rivoluzionaria nel tempo, fino ad identificarsi, grazie ai processi di democratizzazione dei secoli successivi, nei principî di onestà e rettitudine elaborata molti secoli più tardi. Non più burocrati imperiali autorizzati ad esercitare il potere a vita in maniera rigida e complicata, lenta e inefficace, cavillosa e pedante in virtù di un odioso bizantinismo e “con animo di schiavi” (Tacito), dunque, bensì burocrati moderni autorizzati ad esercitare il potere in maniera totalmente opposta e, perciò, ‘con animo democratico’ nell’interesse popolare. Ciò allo scopo di regolamentare ogni minimo aspetto della vita quotidiana per il progresso individuale e collettivo dell’umanità.

Fu la grande vittoria dell’era pre-moderna e di quella moderna di Napoleone Bonaparte (limitatamente alla sua personale esperienza, male imitata dalla successiva Restaurazione, casa Savoia in testa), che riuscì  ad introdurre una burocrazia bene organizzata, con un ruolo determinante svolto dai prefetti grazie ad un sistema agile e perfettamente operativo. Allorquando personalismo, arbitrio e dispotismo nella gestione della cosa pubblica e nell’esercizio individuale del potere furono messi al bando rispetto alle macchine farraginose degli Stati, a tutto vantaggio del progresso e del bene civile e pubblico.

Nell’età contemporanea e, ancor più in epoche recenti, l’evoluzione dei processi democratici, culturali e sociali ha accelerato una sensibilità ulteriore nei cittadini di più realtà nazionali, in un processo aggregativo in grado di avvicinarli ad una burocrazia a sua volta sempre più distaccata dal potere politico. Con conseguenti ridimensionamento e innovazioni del cosiddetto “potere degli uffici”.

Ciò è accaduto in molti di quei paesi a regime democratico. Tranne che in Italia, purtroppo, eccezione negativa da sempre, dove il peso odioso della burocrazia continua a tenere le distanze da quelle di Paesi veramente evoluti come la Francia ed altri.

I 36 milioni di euro da tempo stanziati e non spesi a Genova per porre qualche rimedio ante e non post i nuovi disastri ambientali e paesaggistici di questi giorni testimoniano a sufficienza il peggio di una burocrazia tornata ai tempi di Pallante, Narcisso, Callisto. Ossia di quei liberti dell’Imperatore romano Claudio divenuti, nella peggiore delle ipotesi, sinonimi di malcostume, prepotenza, collusione, intrigo, e perfino delitto (benché, oggi, ridotto al ‘rango’ di “colposo”!); o, nella migliore di quelle stesse ipotesi, di un bizantinismo sinonimo di incomprensibilità, minutezza, pignoleria, guazzabuglio (TASI docet, et analoghi!), in riferimento alla burocrazia ed alle sue procedure. In poche parole, l’esatto contrario di una burocrazia sinonimo di quella onestà, moralità, integrità e incorruttibilità che, da noi almeno, resta mera idea, idealizzazione, mito, perché mai effettivamente concretizzatasi ed evolutasi in ciò che realmente conta/no: i fatti!

 

 

 

 

 

One thought on “GENOVA, L’INDECENTE. OSSIA, DELLA BUROCRAZIA!

  1. Chi non vede “anche” nell’alluvione i motivi del fallimento della macchina burocratica genovese elude e non afferra la vastità del baratro entro il quale,dal 2001 ad oggi, “la chiusura corporativa degli ordini professionali e “lo strapotere paralizzante di una politica vecchia e corrotta ha portato ad una netta separazione dei concetti di fede pubblica e bene comune da quello di Democrazia; non comprende,inoltre ,che la causa ultima del livellamento d’ogni principio di buona amministrazione va ricercata,proprio,nel progressivo svuotamento degli ideali che avrebbero dovuto sostenere ,anche nel caso dell’alluvione, la classe dirigente genovese. Tale situazione rispecchia in pieno il modo di fare di quelle associazioni a delinquere, composte da quei colletti bianchi che con gli svuotamenti dei conti societari di grande società ( “crack Festival” 2004), gli svaligiamenti delle grande banche locali(Carige 2013),le appropriazioni indebite nelle casse dello Stato, la farraginosità amministrativa e l’impunità ottenuta si propongono tutt’oggi in Italia come elementi di novità nella giostra di potere che governa a Genova .
    Stante il valore che assume la sua riflessione,proprio perché svolta in maniera chiara ed estranea ad un regime chiuso come quello genovese,in cui vige il silenzio e si ha paura di parlare”,potrebbe svolgere uno studio che sappia rimediare alla mancanza di riflessione istituzionale su cosa è stata Genova nel periodo 2001-2008,e cosa ha prodotto per il sistema italia, la sua classe dirgente posta ai massimi vertici delle isttuzioni statali. Potrà scoprire che , come nel caso dell’alluvione ,non è mai esistita la demcorazia e che a pagare il conto della burocrazia sono sempre i cittadini buoni ed onesti .
    Solo dall’esterno di Genova , si può liberare la città e tutto il sistema politico italiano dal quel progetto di involuzione autoritaria ed oligarchica avviato da Genova dal 2001 in poi e che,oggi, impedisce e minaccia tuttora il rafforzamento,non solo dello Stato di Diritto, ma anche del progresso della nostra Demcorazia

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