ANCE: consumo di suolo in Campania, persi 1.136 km2 L’analisi ha rilevato che a livello regionale risultano alterati oltre 8.696 km2 (63,72%). Il presidente Lombardi: «Tutelare il territorio valorizzando maggiormente l’edilizia di qualità»


La redazione
SALERNO – In Campania sono stati consumati 1.136 km2 di suolo (8,3% della superficie). Ma la porzione di territorio alterata dal consumo di suolo ha raggiunto l’entità di 8.696 km2 (63,72%). È questo il dato saliente che emerge dal rapporto sul consumo di suolo 2015 presentato nei giorni scorsi a Milano dall’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) ed estrapolato dal Centro Studi ANCE Salerno.
Se si scende nel dettaglio delle singole province è l’area del Napoletano a guidare questa graduatoria con 34.794 ha di suolo consumato (29,5%). Seguono la provincia Salerno (31.430 ha, 6,4%); Caserta (21.235 ha, 8%); Avellino (15.341 ha, 5,5%); Benevento (10.795 ha, 5,2%).
La media complessiva di suolo consumato in Campania è pari all’8,3%: circa tre punti percentuali in più della media Italia (5,8%). Ne consegue che anche la percentuale di suolo non consumato (91,7%) è superiore alla media Italia (94,2%). Complessivamente il suolo consumato in Campania incide per il 6,5% sul totale Italia.
Tra le Regioni Obiettivo è la Sicilia a guidare la graduatoria con 1.369 km2, seguono: Puglia, 1.303 km2; Campania 1.136 km2 e Calabria 584 km2. Ma dal punto di vista del suolo consumato la percentuale più alta rispetto alla superficie complessiva regionale appartiene alla Campania: 8,3%. Dietro la Campania si collocano: Puglia, 6,7%; Sicilia, 5,3%; Calabria, 3,9%.
Devono, inoltre, far riflettere le dimensioni delle superfici regionali alterate dal consumo di suolo. In questo caso è in Sicilia che si riscontrano maggiori problematiche con un’area interessata pari a 15.362 km2. Seguono: Puglia, 13.459 km2; Campania, 8.696 km2 e Calabria, 6908 km22.
In termini percentuali è la Puglia a risentire della superficie alterata dal consumo di suolo più ampia, il 68,88%. Percentuali superiori al 50% anche in Campania (63,72%) e Sicilia (59,77%). Chiude la Calabria con il 45,76%.
«Nella classifica delle regioni più consumate – si legge nella nota diffusa dall’ISPRA – si confermano al primo posto Lombardia e Veneto (intorno al 10%), mentre alla Liguria vanno le maglie nere della copertura di territorio entro i 300 metri dalla costa (40%), della percentuale di suolo consumato entro i 150 metri dai corpi idrici e quella delle aree a pericolosità idraulica, ormai impermeabilizzate (il 30%). Tra le zone a rischio idraulico è invece l’Emilia Romagna, con oltre 100.000 ettari, a detenere il primato in termini di superfici. Monza e Brianza, ai vertici delle province più cementificate, raggiunge il 35%, mentre i comuni delle province di Napoli, Caserta, Milano e Torino oltrepassano il 50%, raggiungendo anche il 60%. Il record assoluto, con l’85% di suolo sigillato, va al piccolo comune di Casavatore nel napoletano».

IL CONTESTO GENERALE
L’ISPRA ha segnalato che l’Italia nel 2014 ha perso ancora terreno «anche se più lentamente: le stime portano al 7% la percentuale di suolo direttamente impermeabilizzato (il 158% in più rispetto agli anni ’50) e oltre il 50% il territorio che, anche se non direttamente coinvolto, ne subisce gli impatti devastanti. Rallenta la velocità di consumo, tra il 2008 e il 2013, e viaggia ad una media di 6 – 7 m2 al secondo».
Le nuove stime «confermano una perdita prevalente di aree agricole coltivate (60%), urbane (22%) e di terre naturali vegetali e non (19%)». L’ISPRA lanciato anche l’allarme: «Stiamo cementificando anche alcuni tra i terreni più produttivi al mondo, come la Pianura Padana, dove il consumo è salito al 12%. Ancora, in un solo anno, oltre 100.000 persone hanno perso la possibilità di alimentarsi con prodotti di qualità italiani».
Preoccupano anche i valori di consumo di suolo pro-capite. «Fino al 2013 – è sempre l’ISPRA ad evidenziarlo – il valore pro-capite ha segnato un progressivo aumento, passando dai 167 m2 del 1950 per ogni italiano, a quasi 350 m2. Le stime del 2014 mostrano una lieve diminuzione, principalmente dovuta alla crescita demografica, arrivando a un valore pro-capite di 345 m2». Tra le principali cause delle dinamiche di degrado del suolo rientra la realizzazione delle strade che nel 2013 hanno rappresentato circa il 40% del totale del territorio consumato: strade in aree agricole il 22,9%, urbane 10,6%, il 6,5% in aree ad alta valenza ambientale.
Tra le informazioni contenute nel report ISRPA che più destano preoccupazioni rientrano quelle riferite alla linea di costa: «Quasi il 20% della fascia costiera italiana – oltre 500 km2 – l’equivalente dell’intera costa sarda, è perso ormai irrimediabilmente. È stato impermeabilizzato il 19,4% di suolo compreso tra 0-300 metri di distanza dalla costa e quasi e il 16% compreso tra i 300-1000 metri. Spazzati via anche 34.000 ettari all’interno di aree protette, il 9% delle zone a pericolosità idraulica e il 5% delle rive di fiumi e laghi. Il cemento è davvero andato oltre invadendo persino il 2% delle zone considerate non consumabili (montagne, aree a pendenza elevata, zone umide)».

IL COMMENTO DEL PRESIDENTE ANTONIO LOMBARDI
«I dati del rapporto dell’Ispra – ha dichiarato il presidente di ANCE Salerno Antonio Lombardi – aggiungono un’ulteriore conferma al quadro già noto di criticità relative alle condizioni di larghissime porzioni del territorio nazionale. È chiaro che occorre arginare il consumo di suolo e, nello stesso tempo, mettere in atto tutti gli interventi possibili per il recupero di margini di sicurezza sostenibili. D’altro canto – ha continuato Lombardi – non si può fare finta di nulla di fronte a percentuali sempre più inquietanti: il dissesto idrogeologico, il rischio sismico, la necessità di evitare che aree fondamentali per la produzioni di cibo vengano assorbite da processi di espansione urbanistica sono priorità che vanno additate a riferimento centrale per l’azione dell’intera filiera istituzionale».
«Questo non significa precludere percorsi di sviluppo – ha concluso Lombardi – al settore dell’edilizia. Perché attraverso la riqualificazione e la rigenerazione urbana si offrono nuove opportunità alle imprese di costruzioni che più hanno investito in questi anni di crisi nella propria capacità di elevare il livello qualitativo della propria capacità produttiva. Gli interventi di efficientamento energetico e le ristrutturazioni basate sull’uso di materiali eco-compatibili sono due directory operative in piena sintonia con l’esigenza di recuperare l’equilibrio ambientale molto spesso compromesso negli anni scorsi».

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