MIGRANTI: la gioia del mare

Aldo Bianchini
SALERNO – Invece di temerlo quasi lo amano. Parlo del mare che hanno dovuto attraversare su barconi fatiscenti e zavorrati al massimo, ben sapendo di mettere a rischio la propria vita. Parlo del mare che li ha offesi, umiliati, decimati. Parlo di quel mare che, comunque, li ha accompagnati sulle rive della cosiddetta “terra promessa”. Ecco perché invece di temerlo quasi lo amano; ed ora eccoli felici, finalmente spensierati, su un pattino in mare nella zona di Lido Lago (Eboli). Sono i migranti giovani e forti che abbiamo visto arrivare nel Porto di Salerno, presto definito “l’approdo della speranza”, in uno stato di debilitazione fisica e di degrado psichico. La foto è stata scattata qualche giorno fa sulla spiaggia di Lido Lago, meta abbastanza ambita dalla cosiddetta “popolazione stanziale” e, sotto certi aspetti, non facilmente raggiungibile per tutti. Alludo ai costi che una giornata di mare trascorsa a Lido Lago può evidenziare per chi arriva dalla Città ma anche dai luoghi del comprensorio circostante; costi che non tutti possono permettersi, figurarsi poi il fitto di un pattino che con i tempi che corrono è già un fatto riservato a pochi eletti. Beati, quindi, questi giovani e forti migranti di colore che, finalmente, se la possono spassare sulle chiare acque del litorale ebolitano; segno inequivocabile della nostra grande civiltà nell’espressione dell’accoglienza che è la più alta solidarietà possibile per degli sventurati che fuggono dalle guerre e dalla fame. Solo per la cronaca ricordo a me stesso che a Lido Lago, nel corso della mia vita, ci sono andato soltanto due volte: da ragazzo e da adulto. Per una serie infinita di ragioni, tra le quali non trascurabile quelle economica, non sono riuscito a frequentare più spesso quello che, ripeto, è un approdo (per rimanere in tema di migrazione) abbastanza ambito per tutti i salernitani che non possono concedersi vacanze da sogno o viaggi tra le Isole della Grecia con particolare riguardo alla splendida Mykonos (la mitica isola dell’amore) che io, purtroppo, ho visto soltanto in cartolina. Ma voglio ritornare al pattino immortalato nella foto tratta da Il Mattino del 20 luglio scorso, perché è il pattino che ha stimolato la mia immaginazione (anche i giornalisti hanno un’immaginazione !!) per questo approfondimento. Nei primissimi anni ’60, da giovincello, frequentavo insieme ad altri ragazzi la spiaggia di Torrione, quella adiacente al chiavicone (fogna a cielo aperto), allora pienamente funzionante e meta di migliaia di persone che dai paesi limitrofi scendevano a Salerno per fare il bagno a mare. Non era il “lido mappatella” (che oggi ritornano di moda a Napoli e Salerno per esigenze economiche), era il lido ufficiale per i migranti di allora (cioè quelli che si trasferivano dai paesi dell’avellinese e del potentino a Salerno), per i salernitani doc (pochissimi !!) c’erano i quasi esclusivi lidi sistemati dove oggi c’è il porto commerciale fin sotto la Baia. In quel carnaio umano il mio gruppo di ragazzi, per fare colpo su alcune ragazzine provenienti sicuramente dall’avellinese, decise di mettere insieme una colletta per fittare un pattino (merce molto rara allora) oppure una scappavia (una barca con due remi) al fine di ospitare le due-tre ragazzine che avevano colpito la nostra fantasia. Ovviamente non fu possibile sul momento, nessuno di noi aveva la benché minima disponibilità economica, e ci impegnammo nei giorni successivi per raggranellare le “poche centinaia di lire” utili alla bisogna. Ci riuscimmo dopo qualche giorno di impegno assoluto di ognuno di noi, frugando nelle tasche dei nostri genitori che non avrebbero mai sborsato neppure una lira per una cosa del genere. Ma quando avemmo la somma a disposizione, con nostra grande sorpresa e delusione le tre ragazzine non vennero più; ma non demordemmo e fittammo il famoso pattino. Non eravamo esperti ed al largo di Torrione ci impantanammo in maniera tale che il barcaiolo dovette soccorrerci. Quella fu l’unica occasione in cui ho avuto modo di andare in pattino; da allora non c’è mai stata più occasione per riassaporare la gioia di andare nel mare pulito, la stessa gioia che ho letto sui visi dei tre migranti di colore che hanno avuto la fortuna di andare in pattino sul mare di Lido Lago. Certo da anziano invece del pattino ho avuto modo di andare in barca, ma la gioventù è la gioventù, superfluo girarci intorno. Naturalmente, inutile precisare, nelle mie parole non c’è alcun elemento che possa far pensare ad una bieca forma di razzismo; non lo sono mai stato e non lo sono tuttora. Ho scritto questo pensiero per esprimere un mio ricordo diretto di quell’epoca, anni ’60, che da più parti viene indicata come “il miracolo economico”; un miracolo che, forse, era sostanziato da un consumismo ancora sconosciuto e comunque non esasperato, e da un’autoregolamentazione rigidissima che consentiva all’Italia del dopoguerra di uscire da una crisi profonda; cosa che i popoli dell’Africa non sono riusciti a fare o non hanno voluto fare dando vita ad uno dei fenomeni di migrazione più acuti della storia dell’umanità. Capisco che il ghanese David (al centro della foto) sogni di guidare un carrello elevatore, ma deve capire che il suo sogno è già molto più avanti del mio sogno e di quello dei tanti miei coetanei, presi dalla voglia (quasi mai soddisfatta) di guidare un semplice pattino.

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