Casamonica: la realtà persa sulle poltrone del talk show

Aldo Bianchini

SALERNO – Un ottimo approfondimento di Massimo Adinolfi (filosofo, docente universitario a Cassino e editorialista de L’Unità e de Il Mattino) è sceso in campo sull’argomento del giorno che investe il mondo dell’informazione in genere e della tv in particolare dopo il “caso Casamonica” e dei funerali show celebrati a Roma il 20 agosto scorso per la morte di Vittorio il capostipite. “Un bello scandalo è proprio quello che ci voleva” dicono speranzosi tutti i conduttori degli odierni talk show, un pensiero dal quale non si distacca neppure il mitico Bruno Vespa, purtroppo. Tutto avviene in funzione ed in nome degli ascolti e tutti corrono e lottano per fare gli ospiti con la speranza, non tanto celata, di non farsi mai schiodare dalle poltrone e dai divanetti dei talk show che sia la Rai che Mediaset, e da un po’ anche Sky, fanno a gara ad organizzare. Condivido perfettamente tutto quanto scritto da Massimo Adinolfi che passa in rassegna, con grande padronanza linguistica, tutto il mondo della tv di intrattenimento e scrive: “Tutti si siedono sulle stesse poltroncine, tutti sono incorniciati dalle stesse telecamere. Tutti sono nello stesso spazio, in studio. Così, per quanto ficcanti siano le domande o energico il contraddittorio, tutto si muove dentro lo stesso acquario, e su tutto prevale quell’unica logica di rappresentazione”. Ineccepibile il pensiero di Adinolfi, con poche parole ha dipinto lo scenario che da telespettatori siamo costretti a subire ogni giorno della nostra vita, e non è uno scenario qualificato e neppure qualificante, tutt’altro; sembra quasi di assistere ad ogni ora del giorno e della notte ad una battaglia all’ultimo sangue con annuncio di esclusive che naturalmente possiedono tutti i net work. Massimo Adinolfi è stato, comunque, fin troppo tenero con il mondo dell’informazione di cui anche Egli fa parte; ma è stato tenero non perché intenda rispettare quell’ormai inesistente “senso di appartenenza”, ma perché il suo livello culturale non gli consente di affondare la lama del coltello nella profonda ed insanabile ferita. Qualcosa, quindi, l’aggiungo io. Possibile che un programma come Porta a Porta e gli altri talk show della Rai non siano capaci di ospitare altri esperti oltre la Bruzzone, la Matone, Gulotta o Biavardi quando si parla di “cronaca giudiziaria” (tranne la Matone gli altri sono lì per interessi di bottega !!) quasi come se in quelle trasmissioni si siano installati, in un colpo solo, i tribunali, le corti di appello e perfino la Cassazione. E la stessa cosa accade per Mediaset, con Quarto Grado ed altri situazioni similari. Una vergogna assoluta se si pensa che mentre si parla di “pluralità” dell’informazione e nell’informazione, un intero Paese con circa sessanta milioni di cittadini deve sorbirsi le chiacchiere e le fesserie sparate come sentenze passate in giudicato da quattro o cinque personaggi che non cambiano mai: il magistrato Simonetta Matone, la criminologa Roberta Bruzzone, il direttore di Giallo Andrea Biavardi e il docente di psicopatologia forense Guglielmo Gulotta. Possibile che in un intero Paese non ci siano altri esperti capaci di discutere sui problemi della giustizia ? Per non parlare poi di altri ambiti sociali come, ad esempio, la politica dove la follia è giunta a livelli parossistici. Nonostante diverse utili novità siano venute dai processi per Roberta Ragusa e Yara Gambirasio, con espliciti segnali di avvertimento per un cambiamento nel modo di fare informazione, questo mondo patinato non riesce a spostare il suo obiettivo e il suo interesse per passare decisamente “dall’oggettivazione alla osservazione” (parole di Adinolfi) per produrre un servizio, un’inchiesta, un reportage che ci aiutasse a capire meglio il mondo che ci circonda e del quale facciamo tutti parte. Poi è ovvio, ed ha di nuovo ragione Massimo Adinolfi, che a tutto deve seguire la riflessione per vedere, sapere, raccontare su come i tanti aspetti della vita quotidiana vengono rappresentati e preparati. Nel mondo della tv di oggi c’è soltanto un primario interesse: “la corsa”. Costi quel che costi bisogna arrivare primi per dare la notizia per primi, per essere primi nella prima fila, per aggredire per primi il personaggio di turno; sempre e soltanto per lo sfizio di essere primi anche se la notizia è insulsa e non viene mai preventivamente approfondita. Del resto basta guardare le immagini, sporche (in gergo !!), che Rai, Mediaset e Sky mandano in onda senza pudore alcuno; si vedono giornalisti (soprattutto femmine scatenate !!) perfino correre appresso alle persone, meglio se indagati, per porre sempre le stesse domande che potrebbe porre anche un bambino delle elementari. Se questa è professione, se questo accontenta, se questo vogliono i direttori di testata, abbiamo raggiunto un livello molto basso rispetto al giornalismo storico, quello in cui “le grandi firme” dicevano ai giovani che bisognava consumare le suole delle scarpe per imparare, vedere, pubblicare e commentare. Il necessario, purtroppo, oggi come oggi è correre facendo leva sui grandi temi della società (politica, cronaca, giudiziaria, gossip) per battere l’avversario che non è la ricerca della verità ma semplicemente il collega dell’altra redazione. E’ vero siamo di fronte ad una continua esibizione ed è altrettanto vero, come dice Adinolfi, che “questa esibizione è in sé spudorata, ed è infatti la televisione il regno della più assoluta spudoratezza”.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *