Just in time: assenteismo in ospedale, le responsabilità di tanti e … l’esempio di Di Benedetto


Aldo Bianchini

SALERNO – “Il pesce puzza dalla testa”; facevo questa riflessione mentre mi trovavo ricoverato nella Torre del Cuore dell’Azienda Ospedaliera Universitaria (AOU) “San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona” in Via San Leonardo di Salerno. Dal davanzale della finestra del quarto piano della torre guardavo, dall’alto, i numerosi edifici che costituiscono il grosso complesso ospedaliero che, sebbene appannato da tante distorsioni, è tuttora da ritenere una eccellenza tutta salernitana. Mentre guardavo mi chiedevo perché la Torre del Cuore funziona alla perfezione (o quasi !!) e il resto dell’ospedale sta precipitando nell’oblio, tra assenteismo, arroganze, inefficienza e guerre intestine tra dirigenti e funzionari, tra impiegati e personale parasanitario, tra interessi di bottega e spartizioni politiche. La risposta la trovai subito, anche perché la conoscevo già, nella persona di Giuseppe Di Benedetto, cardiochirurgo, promotore (se non proprio inventore !!) della cardiochirurgia a Salerno tra mille difficoltà e ostracismi politici e giudiziari; prima della Torre il reparto del prof. Di Benedetto (situato all’ultimo piano di uno degli edifici) appariva come un giardino pensile di Babilonia, un fiore all’occhiello dell’intera sanità pubblica salernitana. Di Benedetto, oltre venti anni fa, riuscì a creare intorno a se una poderosa attenzione che trascinò tantissimi bravi operatori sanitari (medici e infermieri) in un progetto di grandissima operatività umana e professionale. Quasi, per dirla in termini calcistici, come il Napoli di Maradona, quando all’ombra del Vesuvio correvano tutti i migliori campioni del firmamento calcistico nazionale ed internazionale. Ancora oggi, con Di Benedetto ormai in pensione, la sua creatura funziona alla perfezione, a cominciare dalla osservanza delle regole per finire all’attenzione con cui anche gli addetti alle pulizie si muovono all’interno dei reparti. Un gioiello mai tanto apprezzato e che come un disegno superiore tutti accettano di rispettare osservandone le regole interne, soprattutto da quando il mitico cardiochirurgo è riuscito ad unificare nella Torre tutte le specializzazioni del cuore. “La magistratura in casi come quello emerso in queste ultime ore deve procedere con il pugno di ferro” ha detto dalle pagine de Il Mattino il professore Di Benedetto, che ha aggiunto: “Nel mio reparto ogni anomalia mi sarebbe stata segnalata”, tirando in ballo la dirigenza, cioè la testa del pesce, il vero problema del problema. Ma per essere dirigenti rispettati bisogna essere portatori di un’autorevolezza che non si acquista sui banchi del mercato, ma si matura negli anni con grande sacrificio personale e professionale. Quella mattina in cui ero affacciato alla finestra della Torre non era ancora scoppiato lo scandalo dell’assenteismo e neppure quello della neurochirurgia (il caso di Fukuschima e Brigante) ma c’erano già state le varie inchieste su tutte le storture presenti nell’ospedale e viaggiando con il pensiero pensai che di lì a qualche mese Di Benedetto sarebbe andato via da una struttura che aveva amato con tutto se stesso lasciando una Città che, in fondo in fondo, non lo aveva mai ricambiato il suo amore e non gli aveva mai riconosciuto il suo valore, la sua professionalità e il suo grande servizio reso all’intera comunità. Per la vicenda in corso sono perfettamente d’accordo con Franco Tavella (segr. gen. CGIL Campania) sul fatto che bisogna individuare con sicurezza i responsabili e licenziarli su due piedi “ovviamente nel rispetto delle garanzie previste dal nostro ordinamento”. Ed è proprio qui, caro Franco, che casca l’asino e che alla fine il pesce puzza dalla testa. Per colpa delle “garanzie previste dal nostro ordinamento” alla fine la fanno franca tutti; lo aveva denunciato con chiarezza Pietro Ichino nel suo libro “I nullafacenti”, ed aveva attaccato pesantemente anche i sindacati che non sempre e non dovunque si erano attivati per smascherare i traditori ed avevano pensato solo a maltrattare quei pochi cosiddetti “crumiri” che non avevano condiviso il loro modi di fare che si lanciavano alla disperata verso l’annullamento della meritocrazia per l’affermazione della famigerata perequazione. Un groviglio di leggi e leggine che, se la vogliamo dire tutta, impediscono a quei pochi dirigenti degni di questo modo di procedere alla scelta del personale più meritevole rispetto ai nullafacenti; il solo tentare di farlo scaraventa spesso gli interessati nel tritacarne delle accuse di mobbing e quant’altra diavoleria che i sindacati hanno ideato e sponsorizzato a tutela di interessi di parte. Ora siamo di fronte alla perdita di fiducia dei pazienti rispetto al sistema sanitario perché non si sentono sufficientemente tutelati, e questo è un aspetto molto grave dell’intera vicenda.

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