Sanità: sull’assenteismo del Ruggi la risposta del sindacalista De Chiaro

Aldo Bianchini

SALERNO – Nel corso della mia lunga attività di giornalista ho sempre cercato di raccontare la verità attraverso la ricostruzione dei fatti, la concertazione di più voci e la nascita-crescita di un dibattito. Non sempre è stato possibile mettere in pratica questo mio sincero intendimento che non nasconde alcun obiettivo segreto né tantomeno dei traguardi personali. Insomma, come dire, ho raggiunto l’età giusta per spianare la strada ai fatti ed alle considerazioni di carattere generale senza intimorire e senza intimorirmi. Non sempre la ricerca della verità viene vista nella maniera giusta e molto spesso chi si sente al centro della ricerca della verità si indigna e passa decisamente al contrattacco con specifiche denunce di carattere giudiziario. Non è questo il caso (del presunto assenteismo nell’ospedale San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona di Salerno) che ho trattato, navigando nel mio pensiero (anche il giornalista deve avere un pensiero !!), citando situazioni di carattere generale senza rinunciare a qualche stilettata diretta ai protagonisti (dirigenti, sindacalisti, medici, infermieri, inservienti) del “caso Ruggi” che da alcuni mesi tiene banco anche in sede nazionale. Non è questo il caso, dicevo, perché il maggiore “protagonista sindacale in negativo” (almeno così dicono gli inquirenti) di questa vicenda alla carta bollata ha preferito il “fioretto delle parole” per partecipare anche lui, a suo modo, al dibattito che comunque appare giusto e doveroso su una vicenda dai contorni inquietanti che i mass-media fanno passare per squallido assenteismo da parte dei “furbetti del cartellino”. Parlo del sindacalista Carmine De Chiaro che, rispetto a tutti gli altri, ha avuto comunque la capacità di riflettere e di partecipare al dibattito ritenendo, forse, che un argomento così importante abbia bisogno di una discussione pacata anche sulle pagine di un giornale come questo. Non è facile, oggi, che un qualsiasi personaggio riconosca la primogenitura di un passato ad un giornalista, ancora più difficile quando il personaggio risponde al nome e cognome di un sindacalista d’attacco come quello di De Chiaro che, bisogna riconoscere, si è mosso sempre sulla stessa lunghezza d’onda riuscendo a mettersi contro anche gli altri sindacalisti perché, probabilmente, il suo modo scomposto e fuori delle righe ha messo, e mette, in difficoltà quello che ho definito “l’orticello di potere” che nella pubblica amministrazione, volenti o nolenti, è pratica quotidiana quasi inconsapevole per tutti quelli che possiedono e utilizzano uno strumento di potere; anche il più piccolo degli strumenti consente di coltivare il proprio orticello. Se fosse il contrario di quello che scrivo sarebbe come dire che i quarant’anni passati nella pubblica amministrazione non mi hanno insegnato proprio nulla. Purtroppo questi ragionamenti è possibile farli soltanto per vie generiche anche per non personalizzarne le cause e gli effetti; e non per timore, ripeto, ma solo per il dovuto rispetto delle identità personali e della privacy che molto spesso viene calpestata maldestramente. Del resto anche le immagini della capo-sala, sulla spiaggia abbracciata ad un uomo, sono state diffuse dalla Guardia di Finanza in forma visiva criptata e poco chiara; e non credo che la G. di F. avesse paura di qualche ripercussione giudiziaria. Quando ho scritto, e lo riaffermo convintamente, che la longevità nelle cariche è deleteria soprattutto nella pubblica amministrazione, non l’ho scritto a caso ed ognuno ne tragga le sue conclusioni; se poi qualcuno mi convince del contrario sono pronto a rivedere la mia posizione che non è assolutamente né populista e né giustizialista; da qui, si capisce da se che è sicuramente superfluo fare nomi e cognomi in quanto chi occupa la stessa carica da decenni deve sentirsi gioco forza chiamato in causa. Non a caso ho scritto, in uno dei miei precedenti articoli, di quel collega che per quarant’anni aveva messo lo stesso timbro sulle stesse carte per le quali cambiava soltanto l’intestazione; ebbene anche lui si era costruito il suo orticello di potere visibile e palpabile e sul quale nessuno (alludo ai dirigenti !!) era mai intervenuto anche perché sarebbe poi stato difficile trovare un altro che avesse l’abnegazione di timbrare fogli di carta per altri decenni. E non venitemi a dire, dunque, che i dirigenti, i sindacalisti, i primari, i medici, gli infermieri e gli inservienti del Ruggi sono tutti dei soggetti portatori di un candore come quello dei neonati, perché anche quelli stanno via via perdendo il proprio. Non bisogna, infine, mai confondere l’attacco con il racconto della verità ed in proposito ringrazio il sindacalista De Chiaro quando nel suo commento scrive: “Essere attaccato da lei significa che colpisco e faccio notizia e le porto invidia mediatica …”; non condivido, però l’accenno alla presunta invidia mediatica ribadendo, invece, che fu proprio questo suo muoversi scomposto e fuori le righe (ma che appartiene a lui, ed io non mi permetto di contestare ma lo commento) che mi indusse a non trattare più mediaticamente i casi, che mano a mano De Chiaro mi sottoponeva, in quanto molti di essi risultavano privi di qualsivoglia prova provata ed avevano il sapore dell’attacco sviscerato e senza remore contro il potere per il gusto di andare contro il potere costituito. E forse anche questo gusto, innato in gran parte del sindacato, ha portato gli stessi sindacati ad una deriva almeno numerica anche perché il mondo è cambiato e si evolve molto rapidamente rispetto sia alla pubblica amministrazione che ai soggetti che in essa si muovono. Un dibattito è sempre costruttivo, quale che sia la forma del suo contenuto, e spero che a questo dibattito partecipino anche altri soggetti per esprimere il loro pensiero.

3 thoughts on “Sanità: sull’assenteismo del Ruggi la risposta del sindacalista De Chiaro

  1. Non entro assolutamente nel merito della “cherrelle” , tra il Direttore e il Sindacalista , Carmine De Chiaro. Non la conosco e quindi non mi consento di esprimere pareri nel merito,ma, con il massimo rispetto per una parte e per l’altra mi colloco a una doverosa distanza, cercando di introdurre una questione più generale : la crisi della rappresentanza sindacale.
    Nonostante le migliaia di ricerche sulle relazioni sindacali, molto spesso inutili e ripetitive, noi conosciamo poco , cosa davvero conti il sindacato oggi, nei luoghi di lavoro e fuori dai luoghi di lavoro.
    il “sindacato di oggi”, ovunque , deve fare i conti con le contromosse ai successi del “sindacato di ieri”. Tale reazione,secondo me, è sicuramente guidata dal pensiero neoliberista, da chi sta in alto nella scala sociale.Da chi comanda.
    Probabilmente è ingeneroso chiedere ai sindacalisti di farsi carico di questi dilemmi. Ma allora bisogna accettare l’idea che il sindacalismo debba essere tenuto a bada, frenato, limitato, perché, come qualsiasi altro monopolio, quando è troppo forte( e lo è stato) ha tutelato troppo una parte di interessi a scapito di un’altra parte di interessi che pur convivono all’interno degli stessi individui:…….Diritti……Doveri.
    La reazione agli eccessi sindacali a partire dagli anni ottanta ha preso il nome di “svolta neoliberista”, pour cause, quasi a mettere in chiaro il fastidio popolare verso un eccesso di azione collettiva di tipo disciplinatorio che aveva dominato gli anni del “contropotere sindacale” e che forse spiega la non reazione a politiche oggettivamente divisive (leggi cancellazione Art.18, Statuto dei lavoratori). Sotto sotto è quanto sembra pensare in modo implicito la stragrande maggioranza della gente, compreso il Direttore, visto che, al momento, non sembra esserci alcuna speranza in una rinascita del “Sindacato”, capace di risolvere i problemi dei lavoratori attuali, nonostante riguardino il cuore stesso dell’azione sindacale e cioè : la redistribuzione dei redditi e il livello di vita delle classi meno abbienti.
    Si tratta di parole e orizzonti inattuali nella babele democratico-populista della contemporaneità italiana. La siderale distanza che separa la composta discussione sul significato del “Sindacato oggi” dalla caciara nostrana segnala da ultimo la ragione del cul de sac in cui si sono infilate le organizzazioni sindacali stesse, il loro evidente declino, ma, insieme, l’inevitabile tramonto di un sindacato incapace di fare i conti con i propri reali compiti .Forse troppo persi a curare i “propri orticelli” personali? Forse. Una ipotesi,comunque, da tenere sicuramente presente.

  2. Cercare giustificazioni ai “furbetti del cartellino”, in tempi in cui il “lavoro” in generale non c’è, e quello a tempo “indeterminato” è un miraggio è una battaglia indifendibile. Una offesa a chi lavora senza fare il “furbo” e a chi il lavoro lo cerca.
    Certo, non ci si dovrebbe,lasciar prendere dagli “eccessi” ( due giorni per licenziare), ma queste storie devono anche trovare la parola “fine”?
    Parlare male del sindacato,un tempo, era come parlare male di Garibaldi. “Nessuno osava definire le ‘tre sorelle’ confederali una casta o una lobby molto potente”. In passato chi criticava il ruolo, l’organizzazione, le politiche e le finanze del sindacato, automaticamente significava stare dalla parte dei padroni. “Chi osava trasgredire questa regola non scritta veniva immediatamente etichettato dai militanti di sinistra come un ‘nemico della classe operaia’”.
    Il sindacato era un mito, un idolo, intoccabile. Ma le cose ora sono cambiate, perfino all’interno dello stesso schieramento politico di riferimento arrivano critiche abbastanza serrate (era ora). Solo per chi ha la memoria corta o ha fatto finta di non leggere o non voler leggere , in tempi non sospetti come oggi, un certo Livadiotti aveva pubblicato un libro coraggioso, “L’Altra casta”, Bompiani, (2008) mettendo a nudo lo strapotere e l’invadenza delle tre grandi centrali sindacali e gli aspetti di una realtà burocratica e costosa, che ha perso via via il contatto con il Paese reale, quello delle buste paga sempre più leggere e delle fabbriche dove si muore troppo e sempre più spesso”.
    Non tocchiamo poi il tema delle “sigle sindacali autonome, fai da te”,tutti sindacalisti “improvvisati” alla ricerca dell’”orticello perduto”.Una inverecondia tutta italiana , permessa da un eccesso di democrazia e come si sà, il “troppo” guasta sempre………anche in democrazia.
    “Un dipendente pubblico che dice che va a lavorare e poi non ci va deve essere licenziato”. Bum! L’affermazione del ministro della Funzione pubblica ( la Botticcelania Madia, come l’ha definita il Direttore) rimbalza nel panorama mediatico come se fosse una dichiarazione di guerra contro l’assenteismo degli statali. In realtà suona più come uno slogan che come un intento programmatico. Anche perché, come ha fatto notare l’ex ministro Renato Brunetta, la legge per punire chi timbra e poi va a fare la spesa o a giocare a tennis c’è già, il decreto legislativo 150 del 27 ottobre 2009, che peraltro attua la legge 15 del 4 marzo 2009, la cosiddetta legge Brunetta. Non c’era bisogno di annunciare niente. E allora? E allora si tratta semplicemente di una nota di folclore ministeriale, di una battuta politica d’effetto…….niente di più.Una nota di “colore” ,Botticcelliana.

  3. La vicenda dei dipendenti del “Ruggi” fa sicuramente inorridire chi di lavoro dipendente vive e si sente sfruttato e sottopagato. Non può che esprimersi un giudizio severo e senza attenuanti nei confronti di chi, con il proprio comportamento irresponsabile, da forza alle strumentalizzazioni ormai quotidiane che si concentrano sul lavoro pubblico”.

    Però è evidente che i media ci inzuppano il biscotto nella vicenda per criminalizzare l’intero settore e giustificare, quindi, licenziamenti, blocchi salariali e del turnover, spostamenti arbitrari e annullamento delle tutele legali.
    Gentile Direttore, io ritengo che ci penserà la Magistratura,come già sta facendo, a far luce sulle colpe e sulle responsabilità su quella che dai racconti di stampa e televisioni sembra assumere la forma della ‘consuetudine’, del disprezzo totale verso il lavoro e nei confronti di quell’etica che dovrebbe essere alla base del lavoro pubblico. Certo, però, ci sembra un po’ strano che questa notizia, affiori proprio ora che l’attacco al pubblico si è fatto più feroce, con 3 milioni di lavoratori che non rinnovano i contratti da 6 anni ed ai quali la manovra del governo Renzi offre la fantastica cifra di aumento pari a 5 euro lordi al mese e con un blocco quasi totale del turn-over che prevede una nuova assunzione ogni quattro pensionamenti. Ma a prescindere dalle ‘coincidenze’ e dai tempi sospetti, questa vicenda è un pugno allo stomaco nei confronti di chi il proprio lavoro, nel pubblico come nel privato, lo svolge quotidianamente e onestamente. E’ un’offesa nei confronti di chi protesta perché vive in condizioni inaccettabili di precarietà o di chi non arriva a fine mese ed è costretto a sacrifici inenarrabili per sostenere la propria famiglia che ormai vede mediamente un disoccupato o un licenziato sotto ogni tetto”.
    Ciò che però mi fa veramente incavolare è l’intensità delle strumentalizzazioni e delle generalizzazioni: la cultura del sospetto, quella che tende a far vedere ogni dipendente pubblico come un nullafacente, un imbroglione: in altre parole il tentativo di estendere la criminalizzazione ad un’intera categoria”.
    Chi fa certe cose, lavoratore semplice o sindacalista (peggio) danneggia proprio chi lavora onestamente, ma non è giusto che si faccia di ogni erba un fascio. Sono sicura che su questo, anche Lei è daccordo.
    Buon lavoro.

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