PER LA RIFORMA DELLE BANCHE DI CREDITO COOPERATIVO E’ OPPORTUNO IL DECRETO –LEGGE?

RUBRICA DI INFORMAZIONE GIURIDICA

 a cura di  PIETRO CUSATI

Il Consiglio dei Ministri del 10 febbraio 2016, dopo mesi di attesa, ha  varato con un decreto-legge ,la riforma delle banche di credito cooperativo ,con l’obiettivo di cambiare le banche di comunità, tra  non meno di 18 mesi, gli assetti di un sistema bancario che oggi  raggruppa oltre 300 istituti in tutta Italia. Il decreto-legge n.18 del 14 febbraio 2016 è stato pubblicato nella gazzetta ufficiale n.37 ,del 15 febbraio 2016,ed è entrato in vigore il giorno successivo. La prima domanda che sorge spontanea  si ravvisa,nel caso in esame, la straordinaria necessità ed urgenza di ricorrere al decreto-legge?C’era proprio bisogno di ricorrere alla decretazione di urgenza? E’ arcinoto a tutti che gli effetti del  decreto legge  sono provvisori perché  perdono efficacia sin dall’inizio se il Parlamento non li converte in legge entro 60 giorni dalla loro pubblicazione. Vi sono alcune perplessità anche di natura tecnica su alcuni profili del provvedimento  che  ci auguriamo possa essere migliorato  in sede di conversione del decreto in legge. Lo scopo fondamentale della riforma consiste nell’introduzione di un obbligo per le Banche di credito cooperativo di  entrare a far parte di un gruppo bancario cooperativo che abbia come capofila una società per azioni. Chi non aderisce a un nuovo gruppo più grande perde l’autorizzazione a esercitare l’attività in forma istituto di credito cooperativo, cioè perde lo status di banca di credito cooperativo. Il governo vuole spingere le banche di credito cooperativo  ad aggregarsi e, in particolare, preme affinché si crei una holding unica nazionale che raggruppa quasi tutte le banche di credito cooperativo. La holding che controlla le Bcc eserciterà poteri di controllo e coordinamento sulle attività delle singole banche, attraverso dei contratti di coesione. Si tratta di accordi che disciplinano appunto le funzioni della capogruppo su ogni singola banca, con poteri che potranno variare per ciascun istituto, a seconda del suo grado di rischiosità, misurato in base a parametri oggettivi. L’adesione alla nuova holding sarà in teoria su base volontaria. Non tutte le banche di credito cooperativo  saranno obbligate a farne parte ma, per rifiutarsi, dovranno rispettare comunque una condizione: avere delle riserve pari ad almeno 200 milioni di euro e versare, su quest’ultime, un’imposta straordinaria del 20 per cento. Sono circa dieci le banche che possono rispettare tale requisito ma , alla fine, saranno pochissime quelle che non entreranno nella holding unica. In ogni caso, chi si rifiuterà di aderire alla holding e avrà riserve sopra i 200 milioni non potrà continuare ad operare come banca di credito cooperativo e dovrà trasformarsi in una società per azioni.

pietrocusati@tiscali.it

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