Università: la morte di Francesca e … il terminal bus

Aldo Bianchini

SALERNO – E’ sempre molto difficile arrivare alla verità attraverso le sentenze giudiziarie. C’è sempre qualcosa di inesplorato che rimanda la soluzione a tempi di là da venire. E non è sempre colpa dei giudici che, in realtà, analizzano ciò che loro viene offerto in termini di analisi investigativa. Il caso di Francesca Bilotti, la giovane studentessa, che perse la vita il 24 novembre 2014 in seguito all’investimento da parte di un autobus che si trovava in manovra tra i marciapiedi del terminal. Ho scritto diverse volte sulla vicenda, e spesso ho anche cercato di prendere le difese del malcapitato autista cercando di non addebitare tutta la responsabilità alla ragazza. L’ho fatto sulla base delle mie conoscenze, in materia di infortunistica sui luoghi di lavoro, che non sono poche; ho anche regolarmente fatto pervenire in Procura, a Nocera Inferiore, i miei scritti al fine di contribuire al raggiungimento della verità. In pratica sostenevo che il piazzale del terminal bus non era assolutamente adeguato alla bisogna e che bisognava andare alla ricerca anche delle responsabilità dei preposti alla sicurezza in servizio all’interno dell’università; lo prevede la legge e non vedo perché non lo si è fatto anche in questa circostanza. Non scrivo al condizionale, come prudenza imporrebbe, perché dalla mia parte ci son due dati oggettivi: una sentenza di condanna in primo grado a 4 anni e 8 mesi per l’autista Pietro Bottiglieri e la ristrutturazione dell’intera area del terminal. Dunque l’autista è stato condannato perché le indagini hanno evidenziato il fatto che la ragazza al momento dell’investimento era ferma (non si è ben capito se era sul marciapiedi o sulla corsia stradale !!); da qui la responsabilità tutta intera sull’autista anche se all’inizio delle indagini sembrava dover essere riconosciuta una corresponsabilità della ragazza. Nessuna traccia della situazione relativa alla sicurezza che in quel punto dovrebbe essere ai massimi livelli perché concentra migliaia di studenti ogni mattina e la distrazione è nascosta dietro l’angolo. Nel corso del processo che ha portato alla condanna di primo grado ecco, però, la novità: l’intera area del terminal bus è stata sottoposta ad un attento restyling finalizzato esclusivamente alla sicurezza del piazzale e di chi lo frequenta. Mi chiedo: “Se è stato ed è necessario il restyling vuol dire che prima l’area terminal non era sicura ? e se non era sicura di chi era la colpa ?”. Credo che le risposte non arriveranno mai, anche perché a questo punto se c’era una qualche carenza sulla sicurezza non conta più nulla, ormai abbiamo un unico responsabile che è stato anche condannato in primo grado. Punto. Io molto modestamente suggerirei agli avvocati difensori del Bottiglieri di inserire questo tema nella discussione di appello perché la Corte, come ormai è di prassi, non si ferma più solo e soltanto agli atti esistenti ma spesso procede alla rinnovazione del dibattimento; e questo è uno dei casi più illuminanti in tal senso. Del resto è stato lo stesso rettore ad evidenziare la grande novità organizzativa sulla sicurezza del piazzale terminal bus: “L’obiettivo fondamentale, per il nuovo terminal, è evitare qualsiasi interferenza tra il flusso veicolare in movimento e i pedoni”; proprio quello che al momento del tragico investimento mancava totalmente e la giovane e brava Francesca ci rimise la vita.

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