Porto: da Panama a Portopia … passando per i fondali di Salerno

Aldo Bianchini

SALERNO – La buona notizia è che per la propagandata fusione/accorpamento ci vorranno almeno 36 mesi, ma visto come vanno le cose in Italia sicuramente non saranno sufficienti i tre anni programmati; insomma ci vorranno almeno cinque-sei anni. La notizia cattiva è che bisognerà provvedere in questo lungo lasso di tempo a scavare i fondali del nostro porto, necessità questa imprescindibile se la politica e l’imprenditoria del settore vorranno assicurare se non l’ulteriore crescita almeno il mantenimento delle prestigiose posizioni su scala mondiale che Salerno ha conquistato in questi ultimi anni, grazie all’azione dell’Autorità Portuale e del suo presidente Annunziata. Ho scritto che quella relativa ai fondali è una notizia cattiva perché di questo problema si sta discutendo da alcuni anni anche se non è stato fatto ancora niente o quasi; eppure i soldi sembra che ci siano, altrimenti il governatore De Luca non avrebbe annunciato editticamente che nei prossimi tre anni ben 240milioni di euro (una buona parte da impegnare per lo sterramento dei fondali) sono già disponibili per portare a termine il grande progetto di rivalutazione e potenziamento dello scalo salernitano in modo da presentarlo nel migliore assetto al tavolo della fusione con quello di Napoli. E allora il problema qual è ?, il problema è che i soldi non vengono quasi mai spesi o vengono spesi male; tutto qui il nodo scorsoio del problema che, intendiamoci, è nazionale e non soltanto salernitano. Ma questo annoso problema si apre a più considerazioni piuttosto rabbiose perché se andiamo alla scoperta dei grandi lavori pubblici a livello planetario scopriamo che gli autori di queste immense ed importantissime opere strutturali sono in gran parte delle imprese italiane. L’ultimo caso è quello della ricostruzione del Canale di Panama (Panama 2) che qualcuno ha già definito “il canale italiano”; difatti il Canale è stato inaugurato pochi giorni fa con il passaggio della nave Cosco Shipping (un gigante marittimo lungo 300 metri con 10mila container a bordo) attraverso le chiuse dell’Atlantico. Qui stiamo parlando di un’opera colossale per la cui realizzazione ci sono voluti soltanto sette anni, in Italia avremmo discusso per almeno venti anni prima di approvare soltanto il progetto. Laconica la dichiarazione di Pietro Salini, responsabile della Salini-Impregilo: “Sette anni fa iniziava per noi un lungo viaggio tra sogno e sfida che ogni imprenditore vorrebbe vivere una volta nella vita: realizzare l’opera capace di cambiare il commercio mondiale“. Ma allora perché le grandi imprese italiane all’estero fanno furore e in patria battono la fiacca ? Semplice la risposta, all’estero la burocrazia è stata sburocratizzata da tempo e soprattutto non ci sono Procure che sembrano attente soltanto ad ipotizzare tangenti e truffe quando vedono lavori pubblici; accuse che inevitabilmente si trascinano negli anni per poi dissolversi quasi sempre nel nulla. E intanto i lavori si bloccano !!. Che tristezza, tutto ciò che all’estero fila liscio ed arriva a conclusione, qui da noi si insabbia inevitabilmente tra inchieste giudiziarie e inquietanti interessi intrecciati tra politica – affari e malavita. Non conosco la Salini, mi è più nota la Impregilo; ebbene da tempo immemore con una tempistica sconvolgente la Impregilo entra nel mirino della magistratura fin dai tempi di tangentopoli; mi sono sempre chiesto come mai era possibile che in Italia facevano mazzette e all’estero rigavano sempre dritti, a Panama non ha beccato neppure un avviso di garanzia. La risposta è che qui, oltre ad una eccessiva prevalenza della burocrazia, c’è una sorta di caccia alle streghe per tutti i lavori pubblici. E per quanto riguarda il nostro porto abbiamo tutti assistito alla sconfortante sceneggiata del sequestro dei due trafori di Porta Ovest solo perché qualche burocrate aveva scritto di un imminente pericolo di crollo; per questa vicenda ai limiti del ridicolo abbiamo perso più di un anno di tempo con gravi rischi sulla stessa erogazione dei fondi europei che dovrebbero consentire la conclusione dei lavori di un progetto fondamentale per la stessa sopravvivenza del porto. Meno male che (si fa per dire !!) adesso, sullo sfondo, si intravede “Portopia”, un progetto per la realizzazione di una piattaforma informatica che conterrà i dati economici e statistici dei porti europei e che rappresenta un passo in avanti rispetto a EPO (European Ports Observatory) di vecchia memoria; ma tutti fermi c’è anche ESPO (European Sea Ports Organisation). Peccato, però, che anche qui un dedalo di sigle, amore ancestrale degli italiani, è pronto a complicare sempre di più le cose ed a rendere impenetrabile la burocrazia. Se poi si pensa alla quindicina di sigle che marcheranno la riforma portuale non c’è da stare molto tranquilli per la salvaguardia dei nostri porti contro l’assalto di quelli del resto del Mediterraneo e del Nord Europa. E’ stato, comunque, importante che sabato 9 luglio scorso, nell’Arena del Mare si sia parlato di tutte queste problematiche alla presenza del governatore Vincenzo De Luca, del presidente Andrea Prete della CCIAA, del presidente Andrea Annunziata dell’Autorità Portuale, del sindaco Enzo Napoli e del senatore Marco Filippi della commissione trasporti; il problema di Salerno e le sue esigenze sono noti, dovranno tutti impegnarsi nei prossimi tre anni per presentare in sede nazionale un porto degno di questo nome.
 

 

 

 

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