GIUSTIZIA: il protocollo del processo penale

Aldo Bianchini

LAURIA (PZ) – Qualcuno, credendo di fare facile polemica discreditante, conoscendomi come giornalista di cronaca giudiziaria di lungo corso, mi ha chiesto cosa mai fosse “il protocollo” quando si parla di un processo penale. Ho semplicemente risposto che l’idea di accoppiare la parola “protocollo” a quella di “processo penale” mi è parsa geniale, perché se è vero che il processo penale non può essere ristretto e ingabbiato in uno sterile protocollo è pur vero che nella vita associativa di oggi “il protocollo” è ormai divenuto un riferimento assolutamente necessario in qualsiasi branca lavorativa; in effetti disciplina, o meglio mette in ordine, tante procedure diverse in modo da tracciare una linea positiva che dovrebbero, poi, seguire tutti.

Il titolo del convegno tenutosi a Lauria (PZ) il 24 settembre 2016 è stato pensato, elaborato e poi pubblicato dall’avv. Giovanni Leonasi (figlio d’arte) che con “Il protocollo del processo penale” ha inteso ricondurre le mille sfaccettature di un processo penale in un alveo più o meno comprensibile ai più ed anche al pubblico/popolo nel nome del quale la giustizia dovrebbe essere amministrata. Sicuramente l’avv. Leonasi non aveva alcuna intenzione di limitare la bellezza, per certi versi imprevedibile, del processo penale in un unicum, ma almeno con la sua iniziativa ha lanciato un messaggio preciso su quella che dovrebbe essere la riorganizzazione dell’intero processo penale partendo dai suoi tre punti cardini: l’imputazione, la prova e la sentenza/motivazione. Ed a mio modo di vedere non c’era migliore soluzione che dare al convegno proprio il titolo che ha dato “Il protocollo del processo penale”. Il resto, poi, lo ha fatto, e con grande abilità, chiamando a dibattere sul complesso argomento alcuni “pezzi storici” del diritto processuale a livello locale, regionale e nazionale. Essere riuscito a mettere insieme l’avv. Giovanni Falci e il Procuratore della Repubblica di Lagonegro dr. Vittorio Russo a discutere dell’imputazione, e il magistrato di Corte di Appello dr.  Gianluigi Bochicchio con il presidente di sezione penale del Tribunale di Lagonegro dr. Claudio Scorza sulla formazione della prova, così come il prof. Sergio Perongini, professore ordinario di diritto amministrativo presso l’Unisa, insieme al presidente del Tribunale di Lagonegro dr. Claudio Zarrella per disquisire sulla sentenza e le sue motivazioni, è un fatto assolutamente di assoluta grandezza per le qualità organizzative dell’avv. Giovanni Leonasi. Avere affidato, infine, le conclusioni al Consigliere della III Sezione Penale della Corte di Cassazione dr. Vito Di Nicola è stato come mettere la classica ciliegina sulla torta già di per se appetibilmente interessante. Per quanto mi riguarda, in un processo penale ho sempre seguito con molta attenzione la formulazione dell’imputazione e l’acquisizione della prova, perché sono gli elementi assolutamente necessari e probanti affinchè il pubblico dibattimento possa svolgersi nel migliore dei modi e con tutte le garanzie possibili per gli indagati prima e imputati dopo. Dico questo perché ritengo il pubblico dibattimento un po’ scaduto, cioè sceso di tono, rispetto ai dibattimenti di un passato non tanto remoto e conclusosi con l’avvento del nuovo codice di procedura penale (nel novembre del 1989) che ha sancito il passaggio dal “processo inquisitorio” che faceva capo al cosiddetto “codice Rocco” dell’era fascista al “processo accusatorio” a partire dal 1989 in poi. Se prima la battaglia processuale avveniva in aula dove si celebravano arringhe e requisitorie passate alla storia del diritto penale, ora la battaglia avviene (o dovrebbe avvenire) per gran parte dinanzi al pubblico ministero in sede di indagini preliminari e per la parte residuale dinanzi al Gip/Gup. Ecco perché la formulazione dell’imputazione e la costruzione della prova (che deve comunque essere comprovata, se non proprio formata, in sede dibattimentale !!) sono i due momenti più importanti del processo penale. Insomma se un tempo il massimo del potere inquisitorio era nella mani del G.I. (Giudice Istruttore) oggi è in quelle del P.M. (Pubblico Ministero) in quanto si sono rovesciate le parti e il PM che prima era succube del GI ora è prevalente sul Gip/Gup che forzatamente si è appiattito (così sostiene una forte corrente di pensiero) sulle posizioni del PM e spesso abbandona la sua posizione di terzietà rispetto alla pubblica accusa ed alla difesa che rimane la parte più sfavorita anche se, rispetto a prima, può godere di nuove ed interessanti garanzie di carattere generale; ma non può ovviamente disporre di tutti i mezzi e gli strumenti d’indagine che sono esclusivo appannaggio del PM.

In questa ottica mi è piaciuta molto l’arringa dell’avv. Giovanni Falci quando nel descrivere minuziosamente ed a lungo i vari modi di formulare una imputazione ha provocatoriamente svelato che spesso i capi di accusa sono incomprensibili anche perché scritti male e non danno ai difensori tutte le possibilità di una difesa concreta e legittima. A Falci, autore/protagonista di un vero e proprio show,

ha risposto immediatamente, con una requisitoria puntuale e stringente, il Procuratore della Repubblica di Lagonegro dr. Vittorio Russo, non tanto in difesa preventiva dei “sostituti procuratori” chiamati al difficile compito della formulazione dell’imputazione, ma soprattutto per evidenziare l’enorme carico di lavoro e la carenza di risorse umane che spesso inducono alla fretta e, quindi, all’errore. Sono lontanissimo dalla spicciola piaggeria ma devo ammettere che il procuratore Russo è uno dei pochi magistrati requirenti dotato di una dialettica forbita, pacata, analitica e convincente; ce ne dovrebbero essere di più di magistrati come lui, ma questa è altra storia. Con la discussione sulla prova c’è stata poi la sublimazione del convegno, ripeto molto interessante anche se un po’ lungo nel suo sviluppo temporale, con il magistrato della Corte di Appello di Salerno, dr. Gianluigi Bochicchio, che con parole e lessico assolutamente comprensibili ha descritto le fasi di acquisizione della prova fino al punto di rendere quelle delicate fasi processuali molto attraenti ed anche accettabili e quasi invocabili da parte dell’indagato. Sulla stessa linea si è mosso il presidente di sezione penale del Tribunale di Lagonegro,

dr. Claudio Scorza, il quale non solo ha in parte sposato la tesi di Falci ma ha anche sostenuto l’azione formatrice portata avanti dal procuratore Russo in un tribunale che funziona molto meglio di tante altre strutture giudiziarie del Paese.

Infine il prof. Sergio Perongini e il presidente del Tribunale di Lagonegro dr. Claudio Zarrella hanno splendidamente e con dovizia di particolari illustrato quella che, in definitiva, è forse la parte meno nota al grande pubblico del processo penale, cioè la sentenza e la motivazione della stessa, atti che decidono il futuro e la vita delle persone. E questo anche per responsabilità della stampa che, in genere e per puro interesse commerciale, preferisce eclatare la fase accusatoria rispetto al pubblico dibattimento ed alla sentenza, ivi compresa la motivazione della stessa. Le conclusioni, come dicevo, sono state affidate al consigliere della III sezione penale della Corte di Cassazione, dr. Vito Di Nicola, un magistrato di lungo corso che dall’alto della sua esperienza è riuscito ad esprimere il suo pensiero super-partes ed assolutamente condivisibile.

Il dr. Di Nicola è un magistrato che ha praticato, in vari momenti successivi, tutte le fasi del processo iniziando a fare pratica in uno studio legale, vincendo il concorso in magistratura ed avviandosi al ruolo di PM, poi di GIP, successivamente di giudice di appello, per passare al CSM ed infine alla Corte di Cassazione. Ma è anche il pubblico ministero che di fatto, insieme a Luigi D’Alessio, diede il via alla tangentopoli salernitana con i clamorosi arresti di imprenditori, tecnici e politici nel lontano 23 luglio 1992. Ho ritenuto di dover rivelare qualche passaggio della lunga carriera del consigliere di Cassazione perché sempre Lui (con D’Alessio) in quel lontano giorno del 1992 cercò di incanalare e regolamentare il giusto rapporto tra magistratura-avvocatura e stampa; quel giorno difatti convocò in Procura tutte le testate giornalistiche locali per fornire a tutti, e nello stesso momento, le notizie sugli arresti che erano necessarie per una giusta, corretta e doverosa pubblicazione. Quella strada non è stata mai più seguita, almeno per quanto di mia memoria nel distretto giudiziario di Salerno; una strada che dovrebbe essere ripresa e rilanciata oggi più di ieri. Il mio racconto, se volete, è anche un consiglio per l’intraprendente avv. Giovanni Leonasi affinchè possa quanto prima organizzare un nuovo convegno in tale direzione.

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