ALLUVIONI: 4 novembre 1966 l’alluvione dimenticata

 

Aldo Bianchini

SALERNO – Domani 4 novembre ricorre il 50° anniversario della seconda (per ordine di grandezza di danni e devastazioni) alluvione di Salerno, dodici anni dopo quella sicuramente più tragica del 25/26 ottobre 1954. Ma domani ricorre, per dovere di cronaca, il cinquantesimo anniversario delle numerose alluvioni che colpirono il nostro Paese nella tragica sera del 4 novembre 1966 in una sequenza impressionante da nord a sud che culminò nell’apocalisse di Firenze; un’apocalisse che impressionò tutto il mondo in una gara di solidarietà senza precedenti e di aiuti materiali per il recupero e il restauro di tantissime opere d’arte. Proprio domani, 4 novembre, la comunità degli ingegneri idraulici iscritti all’ordine degli ingegneri di Salerno ha invitato, nella sede dell’ordine in Via Traversa Marano n.15, esperti, tecnici, decisori e popolazione a discutere di prevenzione delle alluvioni e dei rischi ambientali, per coniugare memoria e progettualità per il futuro. Una sorta di tavola rotonda (aperta ai contributi costruttivi di tutti, anche della popolazione) che si svilupperà fin dalle ore 9.30 del mattino senza un limite temporale per le conclusioni previste per fine giornata.

Una serie di seminari promossi dal Consorzio Interuniversitario per l’Idrologia (CINID), dal Gruppo Italiano di Idraulica (GII), e dal Comitato Firenze 2016, con la collaborazione degli Ordini provinciali degli Ingegneri. Un’iniziativa assolutamente lodevole da parte dell’ordine degli ingegneri che si pone, forse, per la prima volta alla guida di una corrente di pensiero e di proposizione; il tutto organizzato di concerto tra il CUGRI (consorzio nato tra le Università di Salerno e di Napoli Federico II per la mitigazione dei grandi rischi ambientali) e l’Ordine degli Ingegneri provinciale ed ha il patrocinio e prevede la partecipazione di diversi altri Ordini Professionali (agronomi, architetti, geologi, ingegneri) nonché di diversi organi istituzionali. Un avvenimento da non perdere in quanto dopo le tante discussioni politiche sulla gravità del dissesto idrogeologico del territorio cittadino bisognerebbe passare decisamente alle azioni scientifiche e coordinate al fine di evitare che le tragedie già accadute possano ripetersi anche in futuro. Cosa accadde la sera del 4 novembre 1966 a Salerno; in breve racconto quello che ebbi modo di vivere in prima persona. Sulla città, come su tutto il Paese, dalle prime luci del giorno 3 novembre e fino alla sera del 5 novembre ci fu una precipitazione continua; l’apice si ebbe nel tardo pomeriggio del 4 novembre (venerdì) e il fiume Irno non resse alla furia degli elementi. Molti alberi caduti per via del fortissimo vento, trascinati dalla corrente tumultuosa, bloccarono come un tappo la foce del fiume (che all’epoca era molto più stretta di quella che si osserva oggi) e andando a ritroso mano a mano i residui degli alberi e degli scarichi industriali abusivi bloccarono anche gli altri viadotti, soprattutto quello che consente il collegamento di Via Nizza con Via Irno e che oggi evidenzia una grande rotonda. La città fu in pochi minuti tagliata letteralmente in due e a monte verso Baronissi era ancora peggio; fortunatamente le varie aste torrentizie (Fusandola, Principati, Torrione, Pastena, Mercatello, ecc.) ressero e pur provocando inondazioni non esplosero come nella notte del 1954 (erano state ripulite da pochi anni, e non so se da allora siano mai state più ripulite). L’acqua della foce dell’Irno si riversò sulla strada e la invase fino a Piazza Ferrovia da un lato, e fino ad oltre il cementificio dall’altro. Il viadotto sul lungomare fu chiuso subito al traffico per paura che potesse esplodere da un momento all’altro. La stessa cosa accadde alla confluenza tra Via Nizza e Via Irno con Via Eugenio Caterina assolutamente impraticabile. Io mi trovavo in ufficio all’INAIL che allora aveva la sua sede in Via Due Principati; possedevo una Fiat/500 e con quella cercai di capire come fare per rientrare in casa a Torrione; niente da fare e insieme a mio fratello (dipendente INPS) che prima di me era stato costretto ad abbandonare il suo ufficio aspettammo in macchina diverse ore prima che il ponte vecchio di Via Irno diventasse di nuovo percorribile. Un’avventura finita molto bene per tutti i salernitani, probabilmente perché le aste torrentizie ressero al diluvio di acqua che cadde dal cielo; per questa ragione l’alluvione del 1966 è entrata a far parte dei ricordi meno drammatici della popolazione; non c’erano stati né morti e nè feriti e la Città ritorno ai suoi ritmi in buona parte già nella mattinata del 5 novembre anche se la pioggia battente, ma meno intensa, continuò fino a sera.

Nei mesi successivi partì la grande progettazione per il risanamento dell’intero corso del fiume Irno e vennero costruiti potenti muraglioni a protezione dei tanti insediamenti commerciali ed artigianali che in quegli anni erano sorti e caratterizzavano tutta la dorsale del fiume, dal mare verso i monti. Opere importanti che vediamo ancora oggi; insomma soltanto dopo il ’66 si capì quello che era stato dimenticato anche dopo i morti e le devastazioni del ’54, a Salerno c’era un altro killer e si chiamava “Irno”.

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