SCAFATI: il prete presunto amante e il ruolo dell’informazione

Aldo Bianchini

SALERNO – Mi rendo conto che ciò che sto per scrivere esce dai canoni del giornalismo classico che è molto paludato, ma lo scrivo comunque. “Facendo riferimento e seguito” al contenuto dell’articolo che è stato pubblicato ieri, a mia firma, su questo stesso giornale mi corre l’obbligo di aggiungere alcuni elementi di riflessione sul mondo dell’informazione che è giunto sulla soglia della tracimazione dai paletti idealmente fissati dall’etica professionale in nome e per conto della notizia finalizzata soltanto all’esame dello schare e dell’auditel (dati di ascolto) quali unici punti di riferimento per la produzione della pubblicità. Insomma, in nome e per conto della pubblicità, non si può e non si deve (a mio opinabile avviso) sacrificare tutto quanto di positivo il giornalismo ha rappresentato nel nostro Paese e nel mondo, almeno negli ultimi due secoli. Quando seguo le trasmissioni televisive e/o i grandi talk-show mi sembra di assistere ad uno spettacolo di un grande circo equense che ha la finalità di catturare il pubblico presente e pagante attraverso un gioco (condito dai pagliacci e dai trapezisti, così come dai domatori) che sicuramente affascina ma che nasconde le numerose problematiche animaliste, la pericolosità degli esercizi che spesso violano ogni norma di sicurezza, e la finta insipienza ostentata dai pagliacci. Il mondo dell’informazione non è questo, almeno non dovrebbe essere questo, anche se mi rendo conto che è difficile combattere l’esigenza degli editori e l’ondata ingombrante della cronaca nera-giudiziaria che sembra aver invaso ogni momento libero della nostra esistenza. Più di un anno fa ho presenziato a Lagonegro ad un convegno sul rapporto tra giustizia e informazione; sulla tribuna c’erano il procuratore della repubblica di Lagonegro Vittorio Russo, la criminologa Roberta Bruzzone e le giornaliste Rai Vittoriana Abate e Ilenia Pietracalvina; le tre donne chiamate a parlare di giudiziaria finirono col dire che la loro teoria (cioè che la cronaca nera è diventata inevitabile in un Paese assetato di giustizia e/o giustizialismo seguiti e commentati dal comodo divano di casa) era ed è l’unica perseguibile e vincente. Fortunatamente il procuratore Russo gelò le tre affermando che quasi mai nei fascicoli giudiziari entrano i processi show recitati in tv. Quel “quasi” però è inquietante. Ecco allora che il mio discorso diventa un poco più credibile: siamo di fronte ad uno spettacolo continuo e ad una spettacolarizzazione forzata della notizia ai fini dell’interesse dell’ascolto e della convenienza commerciale, punto. E se siamo di fronte ad uno show quotidiano dell’informazione dobbiamo anche accettare i rischi, che uno show porta in se, come tanti virus pronti ad aggredire lo stesso show che ha perso la sua originalità lasciando spazio di accesso anche ad episodi di intolleranza. E’ inutile, quindi, che la Barbara D’Urso si rizeli mentre parla con il sindaco di Scafati quasi come a pretendere le scuse di un sindaco senza tener minimamente conto degli eccessi che la sua giornalista ha probabilmente commesso nell’approcciarsi alla ghiotta notizia senza tener conto delle sensibilità, anche umane, che ogni notizia porta con se. Ed ecco venir fuori le aggressioni verbali (quando va bene) ma anche le tentate violenze fisiche messe in atto proditoriamente ma inevitabilmente da chi sente e ritiene di poter stare sulla scena e di dover partecipare a sua volta allo show; e nulla lo ferma nella sua ansia di partecipazione, fino al punto di superare con un balzo le barriere che gli impediscono da sempre di accedere ai mezzi di informazione. Certo il modo in cui lo fanno è nel migliore dei casi di cattivo gusto, ma dobbiamo renderci conto che molti giornalisti quelle reazioni sconsiderate se lo vanno a cercare da soli, quasi come se non potessero ritornare in redazione senza aver violato un luogo privato o prevaricato la privacy del presunto oggetto della notizia. Se accettiamo l’informazione show, dobbiamo anche essere preparati al fatto che su quel palcoscenico vorranno salire anche coloro i quali si muovono e si comportano maldestramente, per non dire delinquenzialmente. Molti anni fa nel palazzetto dello sport di Napoli andai a vedere un incontro amichevole tra Adriano Panatta e Bjorn Borg, i due più grandi tennisti di quel momento. Era un incontro amichevole, quasi uno show-spettacolo, in un palazzetto gremito in ogni ordine di posti. Ad un certo punto uno spettatore, sicuramente non tennista e non a conoscenza delle regole di quello sport, mentre i tennisti giocavano, a voce altissima rivolse all’arbitro di sedia (un uomo di colore vestito di bianco) dopo una decisione sbagliata questo epiteto: “Mi sembri Gennaro il pizzaiolo”, un epiteto che a Napoli non è affatto offensivo e che al contrario è colorato e divertente. Risate a crepapelle per le varie migliaia di spettatori, un caos incredibile ma pur sempre comprensibili. Ma l’arbitro non la prese nella giusta maniera e fermò l’incontro minacciando la sua sospensione se il pubblico non avesse fatto silenzio; ovviamente tutto il pubblico reagì sonoramente e si placò soltanto quando Adriano Panatta prese il microfono in mano e disse: “Questo è uno spettacolo, e se vogliamo gli spettacoli dobbiamo anche accettare che qualcuno con le sue battute possa violare la regola del silenzio che nel tennis è fondamentale”. Applausi a scena aperta e la partita riprese tra la soddisfazione della gente che aveva pagato e pretendeva che lo show dovesse andare ben oltre le regole fondanti del tennis. Peccato che durante “Pomeriggio/5” la brava D’Urso non abbia trovato la verve giusta per dare a Cesare, cioè all’altro attore dello show, quello che è di Cesare e che abbia troncato l’attenta e accurata difesa della sua città da parte del sindaco Aliberti. Ma il discorso, ovviamente, continua.

 

 

 

 

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