Camorra & Politica/22: quando i complotti non riescono e le Procure non smascherano gli Aliberti !!

 

 

Aldo Bianchini

SALERNO – Una volta tanto mi soffermo anche io a dare un piccolo contributo alla cronaca dell’avvenimento che nella mattinata di ieri 17 novembre 2016 ha caratterizzato l’udienza dinanzi al Tribunale del Riesame per l’inchiesta giudiziaria a carico di Pasquale Aliberti + altri. L’udienza è durata esattamente tre ore, dalle ore 9.30 alle ore 12.30=. Pochissime per poter seriamente e serenamente capire tutte le numerose sfaccettature della intricata inchiesta, pochissime per poter decidere il destino di un uomo, della sua immagine, dei suoi affetti e della sua azione politica con la quale (nel bene o nel male, questo è ancora tutto da vedere !!) sta guidando la sua città, Scafati, sull’onda di un consenso elettorale senza precedenti. Moltissime se consideriamo che nella stessa giornata di ieri i giudici del Riesame avrebbero dovuto esaminare complessivamente 20 ricorsi pendenti dinanzi al tribunale della libertà con tutte le tragedie che ogni faldone contiene e nasconde dentro migliaia di fogli di carta. Sicuramente molti dei casi da giudicare ieri mattina saranno stati rinviati per ristrettezza dei tempi, ma non ci possiamo nascondere dietro un dito e tutti dobbiamo prendere coscienza che così non si potrà mai fare una buona giustizia;

non intendo stigmatizzare il caso specifico di Aliberti, anzi degli Aliberti, ma il mio discorso è di carattere generale in cui è ricompreso anche il caso “camorra & politica” di Scafati. Tavoli sommersi dalle carte in maniera tale che non si sa nemmeno da dove cominciare a mettere mano; un pubblico ministero che cerca affannosamente di fare il suo dovere tra mille difficoltà organizzative, un collegio difensivo alle prese con l’improbabile intelligente scelta degli argomenti e delle carte da discutere, un imputato che sente di essere innocente e non può dire la sua con forza e veemenza per non rischiare di far rizelare questo o quell’attore della complicata udienza, gli accusatori che spesso non sanno neppure di che cosa devono parlare per via della loro palese-ondivaga posizione sempre collocata a metà strada tra la verità e l’interesse specifico personale; ed infine la verità, quella vera ed irraggiungibile, che viene sballottata di qua e di la a secondo  delle necessità divise in parti uguali tra la pubblica accusa e la difesa. Se poi a tutto questo ci aggiungete che in un’aula di riesame vengono trascinati in manette due presunti noti camorristi (Ridosso Gennaro e Luigi) per non dire niente all’auditorio che si aspettava di tutto, anzi uno dice che non ha mai conosciuto l’imputato e l’altro dice di averlo visto alle partite della locale squadra di basket, verrebbe da dire a che gioco stiamo giocando, tutti, compresi noi giornalisti che non sappiamo più di quale presunta verità abbiamo l’obbligo deontologico di scrivere. Con la prospettiva, non tanto rassicurante, né per la pubblica accusa e né per la difesa, che i giudici del riesame non potranno mai avere il tempo necessario per esaminare e confrontare tutti gli atti depositati assolutamente in buona fede sia dalla difesa che dall’accusa. Questo è quanto accaduto ieri mattina nell’aula di udienza del Tribunale del Riesame di Salerno i cui giudici, a mio parere, avranno un compito difficilissimo nel decidere se devono addossare ad un incensurato la colpa di “associazione politico-mafiosa per scambio di voti elettorali” oppure quella di semplice (si fa per dire !!) “corruzione elettorale”; tenendo presente che se passa la prima accusa si finisce dritti in cella, mentre se passa la seconda si va comunque a processo ma senza la spada di damocle sul capo della misura restrittiva della libertà personale, come sarebbe più giusto in questo caso che già appare come uno stillicidio senza fine. A che gioco giochiamo e in nome di che cosa ? mi chiedo e vi chiedo; ad un giudice, ad un pm, ad un avvocato, ad un giornalista, anche ad un pentito (per assurdo !!), dovrebbe interessare soltanto il raggiungimento della possibile verità; insomma se Aliberti è colpevole deve pagare senza sconti, se chi lo accusa mente deve pagare senza sconti, se il complotto politico è reale devono essere individuati i cospiratori e severamente puniti. Tutto qui, è semplice ma tremendamente complicato al tempo stesso; e quando non si riesce a raggiungere una verità che possa essere dignitosamente al di sopra di ogni ragionevole dubbio, deve scattare immediatamente l’assoluzione con formula piena. Il caso giudiziario in danno degli Aliberti è cominciato un anno e mezzo fa, diciotto mesi in cui la vita di persone innocenti fino a sentenza passata in giudicato è stata passata al setaccio con blitz ed attività investigative impressionanti; tutti fatti obbligatori, suggerirà qualcuno, certo, ma incominciamo tutti ad essere più sereni anche nello scrivere senza arrivare a condizioni di evidente invivibilità tra inquirenti e giornalisti, tra giornalisti e indagati, tra indagati e pubblica accusa, tra pubblica accusa e pentiti di vario genere. Ho letto l’altro giorno un titolo di Cronache del Salernitano che mi ha lasciato perplesso:

Il consigliere Cucurachi minaccia il nostro cronista – Montemurro faccia vera pulizia” (solo il titolo con tanto di occhiello ma senza articolo esplicativo); un titolo fatto forse senza tener conto che Montemurro non fa piazza pulita, che non l’ha mai fatta perché non è nel suo costume anche perché la piazza pulita siamo abituati a registrarla solo nei titoli delle trasmissioni televisive; Montemurro è chiamato a fare giustizia andando alla ricerca anche degli elementi di non colpevolezza (e in questo caso credo che lui lo abbia già fatto). Così come ho letto, giovedì 10 novembre, su MetropolisLa Procura sconfessa gli Aliberti” con tanto di pubblicazione della foto del certificato che la Procura della Repubblica di Nocera Inferiore ha rilasciato con l’annotazione che “non risultano iscrizioni suscettibili di comunicazioni”; un titolo ed una pubblicazione senza che nessuno si sia prima chiesto cosa vuol dire l’art. 335 del c.p.p. (ai sensi del quale il certificato è stato reso alla parte interessata); un certificato che non attesta assolutamente nulla e che non esclude l’esistenza di una inchiesta per la quale non è possibile fornire comunicazioni nel merito delle telefonate anonime giunte sull’utenza casalinga del padre di Aliberti e presumibilmente accreditate all’utenza telefonica cellulare di tizio, un’utenza che potrebbe essere stata utilizzata anche da caio in un mix di interessi e di complotti più o meno palpabili. I complotti politici, perché è di questo che stiamo parlando, le confessioni dei pentiti, le ammissioni di un imprenditore sono tutte cose che bisogna portare utilmente e scientificamente all’ammasso del castello di accuse, altrimenti finiscono per favorire e irrobustire lo stesso indagato. Ma è vera anche un’altra realtà, quando le inchieste diventano “pendoli sul capo” finiscono inevitabilmente per ingessare la vita di intere comunità e per devastare la vita personale e professionale degli indagati e indirettamente delle loro famiglie. Aspettando il giudizio sul sindaco la comunità di Scafati sembra precipitare sempre più in un gorgo infinito di veleni, di messaggi trasversali, di ricatti, di ritorsioni, di minacce più o meno aperte anche contro gli stessi giornalisti che non riescono a tenere alla giusta altezza ed equidistanza il pendolo della notizia letta ed attentamente studiata. In queste ultime settimane nell’attesa del fatidico “count down” del 17 novembre ho letto di tutto e di più, anche cose che non stanno né in cielo e né in terra e senza alcun sereno ed obiettivo esame degli atti senza preconcetti. Nella fattispecie, al netto delle dichiarazioni dei pentiti (uno dei quali avrebbe fatto addirittura campagna elettorale ed avrebbe consegnato volantini per la Paolino mentre si trovava in carcere) da prendere sempre con il beneficio dell’inventario, esiste soltanto un preciso disegno di fondo che la pubblica accusa conosce benissimo in ogni suo dettaglio; c’è un imprenditore scafatese che con le sue dichiarazioni afferma l’esistenza di una connessione tra se stesso, i clan Ridosso e Loreto, e l’amministrazione comunale di Scafati con in testa il sindaco Aliberti, suo fratello ed altri. Un imprenditore che per il momento la Procura ritiene un personaggio “vessato” cioè sottoposto ad imposizione e/o ricatto da parte dei clan e che per questo ha fatto da tramite con il potere politico. E’ stata sottile ed intelligente l’attività investigativa della DDA di Salerno che si è spesa alla ricerca dell’unico corposo indizio (insieme alla dichiarazione dell’amministratore Coppola) che potrebbe assurgere a dignità di prova; ancora più significativa la collocazione, come una cornice, della collaborazione offerta dai pentiti in un quadro di credibilità (quella dei pentiti) molto debole e quasi improduttiva. Difatti come è possibile credere ad un pentito che dice di aver distribuito volantini elettorali in favore di Monica Paolino per le regionali del 2015, di averli distribuiti in paesi fuori circoscrizione e per di più quando si trovava ristretto dentro le patrie galere. Solo se passa questo principio, che al momento non sembra trovare la prova della famosa pistola fumante, potrà essere addossata a Pasquale Aliberti la colpa di aver messo in piedi una “associazione politico-mafiosa” in funzione della scambio di voti elettorali e potrà decretare, giustamente o erroneamente, la fine almeno politica di uno dei personaggi più in vista del mondo politico provinciale e regionale di questi ultimi dieci anni. E’ vero che i pentiti riescono in qualche caso a far condannare la gente (leggasi condanna di Nicola Cosentino, già viceministro, a nove anni di carcere), ma nella maggior parte dei casi non riescono a portare avanti con serena credibilità le loro confessioni che spesso sono per “de relato” e non per avvenimenti vissuti in diretta. Poco innanzi parlavo di “complotto politico” che definirei meglio chiamandolo “complotto politico mafioso”, e proprio di complotto politico mafioso potrebbe trattarsi. Difatti c’è un’altra ipotesi sulla genesi dell’inchiesta e dello stesso complotto; l’ipotesi riguarda la vicenda che ha visto lo scontro, nel 2008, tra Pasquale Aliberti (neo sindaco) e Vincenzo Nappo; in pratica la famiglia Nappo che aveva acquistato sottoprezzo un’area vasta per una speculazione edilizia dovette fare i conti con Aliberti che appena divenuto sindaco, per pubblica utilità, requisì l’area per edificare un centro sociale.

In una intercettazione telefonica tra due personaggi si arriva addirittura ad augurarsi che tutti quelli che hanno sequestrato l’area (sindaco compreso, quindi !!) sarebbero dovuti morire uccisi; anzi nel corso della stessa intercettazione uno dei due dice esplicitamente: “Fatto tanto per buttarla a terra, proprio lui ha calcato la mano dai Giudici, ha fatto cambiare i giudici, cose … perché ho avuto la sospensiva tre volte”. Insomma il telefonista di maggior peso arriva addirittura ad insinuare che il Sindaco sia stato capace di condizionare i giudici contro di lui che è in odore di camorra, gli stessi giudici che gli avevano già concesso per ben tre volte una sospensiva. E se questa potrebbe essere la parte mafiosa del complotto, non è da meno quella politica che ho già ampiamente descritto nel precedente articolo “Camorra & Politica/21: il quadro politico-giudiziario mafioso di Scafati” con tutte le sue derive e serissimi rischi che molto bene descrive lo stesso Aliberti, quasi come una premonizione, nel suo libro “Passione e Tradimenti” edito nel novembre 2014 quando l’inchiesta non era stata neppure avviata così come non concepita: “… E a forza di sentirmelo dire, ho cominciato a rifletterci su: avere un’idea fissa e cullarla giorno e notte, fin da piccoli; smaniare per farla crescere, vendere l’anima al diavolo per realizzarla; trascurare con facilità ogni cosa o persona che si frappone tra quell’idea e la sua realizzazione, ridurre al minimo il lavoro, marginalizzare l’affetto … E’ una malattia ? A me piace chiamarla passione, a volte insana ma pur sempre passione”. E per sapere almeno la verità giudiziaria ? bisogna aspettare, poi ne sapremo di più.

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