YEMEN, LA GUERRA RIMASTA NELL’OMBRA

 di Rosa Romano

SALERNO – Continua a suscitare poco interesse l’escalation di morte e distruzione che sta avendo luogo in Yemen a causa dei bombardamenti dell’Arabia Saudita. Quest’ultima nel marzo del 2015 si inserisce, con l’operazione panaraba “decisive storm”, in un conflitto precipuamente domestico. Dall’autunno del 2014 difatti lo Yemen sta vivendo una crisi politica che ha portato alla destituzione dal trono del Presidente Hadi, fiduciario di Riyad, ad opera degli insorti Houthi. E’ dunque una guerra civile ma con numerosi attori coinvolti. Si scontrano infatti su quel terreno i vari movimenti secessionisti così come il blocco di potere dell’ex presidente Saleh e quello del partito Islah, ognuno di questi protagonisti di volta in volta dà vita ad alleanze di comodo che si contrappongono agli insorti senza necessariamente appoggiare le forze governative. Non mancano in quel contesto gli attentati terroristici di Aqpa e dell’Isis. In quella spirale di belligeranza ad un certo punto vengono attratti i giganti dell’area: l’Iran arma i ribelli mentre l’Arabia Saudita appoggia il governo. Il loro intervento acuisce il conflitto che diventa anche un testa a testa tra sauditi e iraniani e di riflesso tra sunniti e sciiti.

La conseguenza di tutto ciò è che ormai da quasi due anni bombe, fame e colera stanno stremando la popolazione yemenita: oltre 10mila i morti, 3milioni gli sfollati e un tasso di malnutrizione arrivato al 200 per cento. E’ stato messo in ginocchio un paese che era già considerato uno dei più poveri al mondo, anche in termini di risorse. Da un punto di vista energetico infatti lo Yemen non ha nulla da offrire ma gli interessi che si giocano lì non sono da sottovalutare e lo sanno le petromonarchie che hanno deciso di assecondare Riyad in questo progetto sanguinario. Tutte sono attratte non dalle potenzialità economiche del paese ma innanzitutto dalla sua posizione strategica, lo Yemen controlla difatti mezzo stretto di Bab el Mandeb, una via di commercio importante per il passaggio di portacontainer e petroliere che dall’Asia arrivano nel Mediterraneo. Inoltre, proprio perché è considerato uno Stato fallito, è terreno conteso tra i paesi del Medio Oriente, primo fa tutti proprio l’Arabia Saudita che vorrebbe farne la pietra angolare della sua egemonia nella regione. A ciò va aggiunto che l’accordo sul nucleare ha “riabilitato” l’Iran la cui immagine nell’area ne è uscita rafforzata e il rischio che Teheran potesse estendere la sua influenza sul debole Yemen ha fatto mobilitare in massa le potenze arabo-sunnite. 

Quella yemenita però resta una tragedia che non indigna l’opinione pubblica occidentale probabilmente perché il conflitto non ha prodotto quei flussi di rifugiati che destabilizzano la nostra quotidianità o forse perché tv e giornali non ne parlano con la stessa enfasi che usano per la crisi siriana. Ci si chiede se l’afonia dei media e l’inefficienza dei decisori politici, di fronte a quel massacro, sia dovuta ad una sottovalutazione della situazione o la drammaticità invece sia volutamente taciuta perché imbarazzante ma allo stesso tempo redditizia per qualcuno anche da queste parti. Gli affari economici che quella crisi muove sono di grande portata, dalla vendita di armi all’Arabia Saudita si stanno ottenendo ricavi inimmaginabili. Gli USA, ma anche UK, Francia e Italia, stanno fornendo armi, assistenza logistica, supporto militare e informazioni di intelligence. La situazione però adesso è ingestibile e scomoda, sono diventati imbarazzanti anche per gli USA le violazioni dei diritti umani e i crimini di guerra di cui i sauditi si stanno macchiando. Temendo di dover rispondere prima o poi di corresponsabilità, gli americani vorrebbero tirarsi fuori. Obama e Kerry stanno tentando, già da prima delle elezioni, una “exit strategy” che consenta di concludere il mandato con un risultato positivo. Ogni mossa però continua a naufragare miseramente perché per ognuna delle parti coinvolte quella partita, condizionando gli equilibri geopolitici della regione, sembra vitale. Ad aver bisogno di vincere è soprattutto l’Arabia Saudita stretta com’è tra le difficoltà in cui si trova in Siria, l’indebolimento dovuto al calo del prezzo del petrolio e infastidita per il riavvicinamento tra Teheran e Washington.

In questi giorni intanto si susseguono appelli da più parti: Human Rights Watch ha chiesto ad Obama di sospendere la vendita di armi a Riyad. Il movimento civico yemenita “Alleanza di progresso e sviluppo” invece ha rivolto il suo appello direttamente alla Russia perché intervenga in Yemen così come ha fatto in Siria.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *