Cardiochirurgia: etica e successione … non è solo questione di cuore !!

Aldo Bianchini

SALERNO – “Non è solo questione di cuore”, con questo titolo a tutta pagina su diversi giornali fu salutato, il 1° aprile 1993, l’insediamento del primario di cardiochirurgia prof. dott. Giuseppe Di Benedetto alla guida di un frammento di eccellenza nell’ambito della sanità pubblica. Lo si capì subito e lo capirono soprattutto i 51 uomini e donne d’oro che si affiancarono al capo con grande spirito di abnegazione riconoscendone i meriti e le alte capacità professionali. E’ questo il punto che bisogna capire per poter andare avanti nel ragionamento finalizzato a capire se è giusto o meno confermare lo sdoppiamento (attuato dallo stesso Di Benedetto) della cardiochirurgia. Da quel lontano 1° aprile 1993 sono passati più di ventitre anni, e tanta acqua è passata sotto i ponti; finanche alcuni che avevano prima accettato le qualità del capo sono andati via nel momento in cui non hanno più condiviso le sue scelte; l’unico che è rimasto al suo posto, nonostante le molteplici sollecitazioni e richieste ad andare via per le sue qualità professionali è stato Severino Iesu che ha da sempre svolto il ruolo di “aiuto” condividendo ed accettando, quasi supinamente, sempre e comunque le scelte del capo che occupava la scena in maniera preponderante, e non soltanto dall’alto della sua stazza fisica. Addirittura Iesu seppe anche condividere il ruolo di aiuto con Franco Triumbari, almeno all’inizio. Questa concezione, quasi antica, del rapporto subalterno è molto cambiata in questi ultimi anni e di questo bisogna farsene una ragione, altrimenti non si va da nessuna parte; soprattutto quando si parla di attività altamente professionali che possono e devono dare la possibilità di ampie e congrue carriere, anche dal punto di vista economico tenendo sempre conto che uno stipendio, quanto alto che sia, non vale mai niente di fronte al “reddito psicologico” che solo il potere può dare. Sembra riduttivo ma è giusto rifarci al calcio per portare, intermini di paragone, comprensibili esempi. Nella squadra di calcio c’è l’allenatore e poi ci sono i giocatori; tra questi ultimi ci sono alcuni campioni che l’allenatore, se vuole il successo, deve saper bene organizzare nell’assegnare le fette di campo di loro pertinenza per non farli scontrare; soprattutto quando l’allenatore rimane in sella per diversi anni e per ragioni di tempo è costretto a mettere insieme e/o sostituire i vecchi campioni con i nuovi. Tutto questo nella cardiochirurgia di Salerno, attese anche le eccellenti qualità calcistiche del suo capo storico, ha funzionato alla perfezione fino a quando il capo è rimasto in sella e nonostante i mugugni, le lotte intestine, i calcetti sotto il tavolo operatorio; dal momento in cui il capo è andato via, per ragioni di pensionamento, il giocattolo purtroppo (come scrivevo in un articolo dell’aprile 2015 sempre su questo stesso giornale) si è rotto. Questo è il mio pensiero e su questo avrei tanto desiderato il commento di quei 51 uomini e donne d’oro che con grande umiltà, ma con grandissimo senso etico, decisero di affiancare il capo in un percorso che sembrava soltanto un sogno. Purtroppo di quei 51 ne sono rimasti ben pochi, mentre la squadra si è ingigantita oltre ogni più rosea previsione; sono quindi costretto a rifarmi al commento postato da tale “Enzo” che il 25 novembre scorso ha così commentato il mio precedente articolo: “”Severino è un bravissimo cardiochirurgo e valido sostituto del prof. Peppino Di Benedetto, al Ruggi esiste una equipe abbastanza valida e rappresentativa, professionalmente. Altri invece hanno scelto la strada, continuassero a fare quello che fanno, la Cardiochirurgia è una cosa seria, non è una campagna elettorale”. Il commento è soltanto in parte condivisibile, e lo è in particolare per l’aspetto dell’equipe; mentre non lo è per gli aspetti critici nei confronti di chi (l’allusione al dr. Coscioni è chiara !!) ha scelto legittimamente di dare alla sua vita professionale anche un risvolto di natura politica generalista, probabilmente per accrescere le sue qualità organizzative al servizio della sua passione di sempre, cioè la cardiochirurgia; qualità organizzative che mai devono essere considerate seconde a quelle professionali. Del resto Enrico Coscioni ha saputo da sempre che il suo allenatore non lo aveva scelto tra le punte da mettere in campo per vincere la partita dell’eccellenza, ma non si può neppure dire che Coscioni non fosse (e non sia) all’altezza del compito di andare in rete. E neppure è immaginabile e/o condivisile l’affermazione secondo cui “Iesu faceva tutto lui” come se gli altri  non avessero fatto nulla; certo Severino Iesu ha indubbiamente giocato un “ruolo primario” nell’organizzazione debenedettiana e per questo va premiato e ringraziato, ma deve anche lui ricordare che, alla fine, la coppa la alza il capitano ma lo fa insieme a tutta la squadra che solleva in aria l’allenatore. Del resto questo antico concetto dell’appartenenza ad una squadra sembra che entrambi ce l’abbiano rispettivamente nel proprio dna; ma questo cercherò di chiarirlo nel prossimo approfondimento, con la speranza che nel frattempo tutti (dal governatore ai 91 sottoscrittori della protesta contro Coscioni) facciano un passo indietro finalizzato al salvataggio dell’eccellenza cardiochirurgia salernitana che rimane l’unica cosa che veramente ci interessa.

 

 

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