La verità dei social

Angelo Giubileo

I nuovi strumenti social hanno un enorme potenzialità, che è quella di com-prendere più facilmente la logica dei movimenti che accadono negli spazi di rappresentazione simmetrica, centrale o assiale.

In parole più semplici, si tratta delle dinamiche sociali che originano e seguono due diversi punti di vista. Nell’esempio forse più celebre, di cui alla prima figura a sinistra del lettore, ogni spazio di simmetria assiale rappresenta una parte di spazio perfettamente uguale all’altra/e e pertanto si dice che la simmetria assiale è un’isometria; viceversa, nell’altra figura, lo spazio di simmetria centrale ruota intorno al punto (di vista) posizionato all’esatto centro dell’area e pertanto origina da questo stesso punto.

I social sono strumenti e spazi virtuali in cui possono svilupparsi entrambi i punti di vista e non costituiscono affatto una diversa proiezione del reale. Essi, infatti, sviluppano solo una maggiore potenza, in qualità di strumento, e quindi denotano una maggiore capacità.

In genere, viviamo nell’ambito di società, ovvero soltanto un “fenomeno”, niente di meno o di più, un accadimento quindi a cui attribuiamo il nome di società di massa. Ovvero: uno spazio o ambito comune di potere – sub specie di comunità, città, stato, ecc. – in cui una “massa” (concetto generalizzato e astratto) d’individui, e non viceversa ciascuno per se stesso, svolga un ruolo e una funzione da un punto di vista organizzativo (che presiede). In proposito, e condivido, la Thatcher viceversa sosteneva che “la società non esiste, esistono solo gli individui”.

In generale, il processo – anche cosiddetto di urbanizzazione – risale all’antichità e senz’altro origina da un “bisogno” o “desiderio” d’im-porre o com-porre o entrambi ad o con altro/i l’esercizio di un potere (inteso in senso ampio, come possibilità o capacità di essere e agire) proprio e quindi individuale, poi si è detto “personale”. Attraverso una logica (ovvero, un discorso rappresentativo) di dominio o condivisione (in entrambi i casi, di potere così come appena specificato).

In Occidente, il fenomeno politico dell’urbanizzazione ha portato alla polarizzazione dei movimenti e delle dinamiche sociali in due più ampi spazi di categoria (da Aristotele): “destra” e “sinistra”. Mediante un tipo di logica, aristotelica, cosiddetta identitaria, e a un punto di vista astratto dello stesso filosofo di Stagira, che intende l’“uomo (come un) animale sociale”. Sulla scorta di una ragione identitaria, va detto che il filosofo tuttavia usò l’espressione “è” e non “come” e quindi, per Aristotele, l’uomo è un animale sociale. A ora, non c’è dubbio che una tale logica di base risponde a una visione simmetrica dello spazio, ma centrale. Nel mondo aristotelico esiste sempre un punto di vista dominante, che orienta tra uno spazio di destra e uno di sinistra, attribuisce significato e distribuisce diverso peso e valore alle cose, nell’amb-(i)-to di uno spazio viceversa comune e quindi di reciproca appartenenza tra io e l’altro.

Il fenomeno più recente della globalizzazione ha quindi determinato innanzitutto la crisi, effettiva, di un modello siffatto; e quindi la crisi di un sistema che veniva oltrepassato, nello sviluppo degli accadimenti e quindi della dinamica dei fatti storici, da un altro modello e quindi sistema che viceversa rompeva e rompe gli spazi di ogni confine identitario (muri e barriere) e li sostituisce con uno spazio più ampio in cui essere e agire con maggiore capacità, e quindi maggiore potere.

Oggi, questo stesso sistema appare in crisi. Potremmo dire, semplificando, che non regga più alla prova del multiculturalismo; movimento che, se pur assume una logica identitaria e una visione altrettanto simmetrica dello spazio, tuttavia adotta un modello di simmetria viceversa assiale. Un sistema, in definitiva, non più con-diviso politicamente dalla parte che, almeno finora, ha mantenuto e spera ancora di mantenere il dominio non solo dello spazio dell’Occidente ma, simmetricamente, anche del mondo intero, globale.

Intervistato da Lalettura, Francois Jullien – “riconosciuto internazionalmente come uno dei più importanti filosofi francesi” – ha, tra molte cose, sottolineato: “… I pensatori cinesi raccomandano di non prendere posizione. Ma non è proprio questa necessità – la necessità di prendere posizione, facendo giocare insieme il piano del reale e quello dell’ideale (n.d.r.: vale anche per il piano del reale e virtuale) ciò che caratterizza il politico? Preoccupandosi solo della politica, vale a dire della gestione dei rapporti di forza, la Cina si è rivelata incapace di pensare il politico, che è anche un pensiero dell’emancipazione, un tentativo di trovare alternative al dominio della forza …”. E in effetti è stato questo, ovvero la costruzione di una società di massa, essa stessa identitaria, oltre che un unico indistinto spazio di potere politico, avulso da polarizzazioni e distinzioni della politica, ma senz’altra/e possibilità e quindi capacità di vita o esistenza alternativa.

E quindi, un’altra forma di reductio ad unum; che pure deve farci riflettere sul fatto che oltre la politica e il politico esiste la natura delle cose e anche la via separata di ogni individuo, a cui anche la Thatcher guardava.

 
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