CONSIP: l’incolpazione dei magistrati … da Esposito a Woodcock

 

Aldo Bianchini

 

SALERNO – Che i magistrati inquirenti abbiano il vizietto di svelare passaggi importanti delle proprie inchieste ai giornalisti (passaggi che si trasformano in “confidenze” quando il giornalista è femmina) è ormai un fatto assodato. Che i giornalisti, pur di fare lo scoop, pubblicano anche le notizie (spesso artatamente registrate di nascosto) che dovrebbero rimanere “confidenze” è altrettanto vero. Questo modo di fare dei giornalisti è sempre più frequente e potrebbe, presto, portare ad un essiccamento delle confidenze e, quindi, ad una ricaduta negativa nel rapporto magistratura-stampa anche a costo di sacrificare quell’esigenza quasi istituzionale che il magistrato inquirente ha di confidare per raggiungere specifici obiettivi attraverso le piccole e mirate rivelazioni. Sono, ovviamente, sensazioni molto personali anche perché constato che la vicenda clamorosa tra il giornalista Antonio Manzo (Il Mattino) e Antonio Esposito (presidente sezione Cassazione) non ha insegnato niente a nessuno. Nel caso di specie il magistrato di Cassazione aveva denunciato il giornalista accusandolo di aver “pubblicato delle confidenze telefoniche personali” che Manzo aveva, comunque, provveduto a registrare e poi a pubblicare dando la stura allo scandalo che a lungo aveva coinvolto Esposito per aver espresso opinioni su Berlusconi prima che la sentenza della Cassazione (che produsse la sua cacciata dal Senato) venisse pubblicata. Ebbene quel processo si è concluso purtroppo nel silenzio generale; e si è concluso in maniera assolutamente favorevole al giornalista che i giudici hanno mandato assolto perché le “notizie confidenziali” possono avere sempre un interesse pubblico e da qui l’esigenza della loro pubblicizzazione; interesse che copre anche le modalità scorrette utilizzate per la loro acquisizione. Adesso il caso si ripropone per la Consip, uno scandalo clamoroso gestito a metà strada tra Napoli e Roma con uno scontro non riconosciuto dal CSM ma che è vivo e palpitante. Ebbene la giornalista Liana Milella di “La Repubblica” ha pubblicato sulle pagine nazionali un colloquio “riservato” con Henry John Woodcock (titolare dell’inchiesta Consip nella sua prima fase) e grande sponsor del capitano dei Carabinieri del NOE Gianpaolo Scafarto. Il noto pm avrebbe rivelato alla giornalista alcuni aspetti poco edificanti sulla condotta tenuta dai PM romani nella tranche dell’inchiesta che sta riguardano proprio “il capitano della discordia”. Da qui l’irruzione sulla scena di Pasquale Ciccolo (procuratore generale della Cassazione) che ha ravvisato gli estremi per incolpare Woodcock fino al punto che: “Il magistrato napoletano, adesso, dovrà difendersi in sede disciplinare dall’accusa di aver violato la consegna del silenzio che gli viene imposta dall’ordinamento giudiziario, poi ribadita in una recente nota del procuratore reggente di Napoli Nunzio Fragliasso” (fonte ilmattino.it del 9 maggio 2017). La vicenda va sempre più complicandosi anche alla luce del fatto che “”Napoli ha confermato invece la fiducia a Scafarto e ai suoi uomini, con un comunicato stampa dello scorso 12 aprile a firma del procuratore facente funzioni Fragliasso””. Da Esposito a Woodcock ho scritto nel titolo per significare che la storia continua, sempre e comunque; e forse è bene così perché in definitiva è la stessa democrazia che si difende. Difatti se è vero come è vero che una “notizia confidenziale” deve essere considerata con la stessa dignità di una “notizia ufficiale” è altrettanto vero che così facendo la “fiducia interessata” che molti PM ripongono in alcuni giornalisti (soprattutto se femmine) andrà mano a mano disperdendosi fino a bloccarsi; e così la democrazia avrà raggiunto il suo obiettivo anche al di là delle leggi sulla violazione del segreto istruttorio che nessuno vuole fare e che in realtà nessuno vuole.

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