il Quotidiano di Salerno

direttore: Aldo Bianchini

Don Antonio Barbieri: un uomo, un sacerdote !!

Aldo Bianchini

MURO LUCANO – Le esequie erano previste per mercoledì 17 maggio 2017 alle ore 16.00 nella Chiesa di San Marco Evangelista di Muro Lucano in provincia di Potenza. Con la puntualità che di solito mi contraddistingue (la puntualità è, forse, l’unica cosa positiva che possiedo !!) sono giunto in quella piazza (che conosco fin da bambino e verso la quale ho sempre avuto un certo timore reverenziale quasi come una forma di rispetto per un qualcosa che era abbastanza lontano dal mio immaginario adolescenziale) qualche minuto prima dell’inizio delle esequie dopo un rapido viaggio da Salerno a Muro in auto con mio nipote Cristian alla guida. La piazza vuota e la Chiesa altrettanto mi hanno indotto subito a pensare che un uomo, o meglio un sacerdote, come “don Antonio Barbieri” molto riservato, forse anche un po’ schivo, sicuramente estremamente religioso e devoto a San Marco Evangelista come a San Gerardo Maiella non poteva colpire l’immaginario collettivo per richiamare le folle giuste e doverose per il funerale di un uomo che la Chiesa in generale dovrebbe apprezzare, valorizzare e ricordare come uno dei suoi più illustri rappresentanti. Le folle amano il potere e Lui, don Antonio, non è stato sicuramente un uomo di potere.

Perplesso mi sono spostato da un lato all’altro della piazza e nell’attesa del corteo funebre ho incrociato uno dei pochi compagni delle scuole elementari di cui abbia tuttora un chiaro ricordo: Vito Claps. E mentre discutevo con lui del più e del meno ecco arrivare il corteo proveniente dalla direzione di Piazza Don Minzoni; alla vista del corteo le mie perplessità sono aumentate; poco affollato e piuttosto striminzito è sfilato dinanzi ai miei occhi e non nascondo un mio intimo risentimento verso una comunità che stava dando pessima prova di se nel dimostrarsi molto distaccata da un avvenimento che, invece, avrebbe dovuto coinvolgerla senza se e senza ma. Anche il clima, con una leggera e insistente pioggerellina e con una temperatura piuttosto rigida, stava manifestando (almeno nei miei pensieri) una sorta di strana ostilità per un grande sacerdote ed un riconosciuto uomo di cultura che stava iniziando il suo estremo viaggio verso i prati celesti.

Sempre con Vito e con mio nipote mi sono allontanato per fare due passi, anche se il mio pensiero era sempre fisso sulla strana reazione di un popolo che avrebbe dovuto idolatrare e non schivare una sicura eccellenza della Chiesa cattolica quale era stato per tutta la vita “don Antonio Barbieri” e sicuramente fin da quando, moltissimi anni prima, era ritornato nel suo paese nativo per assumere, dopo regolare concorso, la titolarità della parrocchia della chiesa di San Marco Evangelista che, in quei minuti, stava accogliendo le sue spoglie mortali per onorarle in presenza degli arcivescovi Salvatore Ligorio e Agostino Superbo, del Capitolo Concattedrale, delle parrocchie di Muro Lucano, e del clero dell’Arcidiocesi di Potenza, Muro Lucano e Marsico Nuovo. Mentre ritornavamo sui nostri passi ho continuato col pensare che quello a cui stavo assistendo era, forse, la giusta conclusione di un percorso di vita umana e religiosa improntata sempre e solo alla carità ed alla disponibilità verso gli altri, senza mai una minima dimostrazione di potere temporale o, peggio ancora, di ambizione che comunque hanno caratterizzato e caratterizzano tantissimi altri sacerdoti. Incupito dai miei pensieri siamo ritornati in piazza per trovarla, come d’incanto, quasi stracolma di gente in attesa dinanzi al sagrato ed alla stessa Chiesa gremita fino all’inverosimile; mi sono sentito subito più sereno nel prendere atto che, al di là dei miei pensieri, la gente di Muro aveva risposto in massa e che, almeno una volta, non si era lasciata abbagliare dai miraggi del potere ed aveva, più semplicemente e più cristianamente, voluto rendere l’ultimo omaggio ad un uomo sereno, pacato, riflessivo e profondamente religioso come “don Antonio Barbieri” che io, i miei fratelli, tutti i cugini eravamo soliti chiamare “zio Tonnuccio” per un intreccio familiare a dir poco sorprendente per l’epoca di fine ‘800 e inizio ‘900 quando la piccola comunità murese si svegliò alla notizia che tre sorelle Barbieri andavano in spose a tre fratelli Bianchini per dare origine ad una stirpe che per certi versi, per molti versi, avrebbe segnato in positivo la vita associativa e culturale dell’intera comunità. Quella strana congiunzione, quasi astrale, tra le due famiglie aveva da sempre stuzzicato la mia effervescente fantasia giovanile e spesso la paragonavo a quella sicuramente più nota, anche cinematograficamente, delle “sette sorelle” che nel 1850 sulle montagne dell’Oregon (USA) andarono in spose a “sette fratelli” che fino a quel momento erano più preoccupati di spaccar legna e menar le mani che non di trovar moglie. Ma queste erano e sono soltanto divagazioni giornalistiche e niente più. La sostanza che, invece, mi ha sempre colpito dell’uomo-sacerdote don Antonio Barbieri è stata quella sua straordinaria sicurezza nel rappresentare la Chiesa presso il popolo, o meglio di portare il messaggio cuilturale-religioso tra la gente comune andando incontro alle esigenze di tutti. Ecco, da bambino prima e da adolescente poi, ho sempre visto in “zio Tonnuccio” un uomo lontano mille miglia dall’esercizio del potere temporale (senza alcuna allusione al potere che la Chiesa ha esercitato nei secoli) ma profondamente devoto alla sua missione di pastore di anime. Non voglio correre il rischio di apparire irriverente ma nel mio immaginario di adolescente mi colpivano le due figure sacerdotali che hanno contraddistinto la vita religiosa murese; da un lato “don Antonio Mennonna” con tutta la sua cultura, il suo innato carisma, la sua autorevolezza ma anche le sue mai celate ambizioni; e dall’altro l’immagine di un sacerdote-sacerdote, don Antonio Barbieri, con il suo profilo probabilmente austero ma certamente ammantato di una umiltà e di una serenità fuori dal comune. Questi erano, per me, i due volti della Chiesa cattolica; e questa è una convinzione che porto ancora fermamente dentro di me. Ed è proprio da questo contrasto palese che viene fuori la più bella immagine di “zio Tonnuccio” quale prete umile, servizievole e ubbidiente (proprio come la Chiesa impone al suo clero !!) quando nel libro “noi siamo creati per il cielo” (una raccolta post mortem di testimonianze in ricordo di mons. Rosario Antonio Mennonna curata dai nipoti Antonio e Mario) così testualmente scrive: “… Caro mons. Mennonna, tra i miei Vescovi siete il più conosciuto, stimato e amato … Voi siete cittadino illustre di Muro Lucano, quindi concittadino di S. Gerardo Maiella, il Santo dell’ubbidienza alla volontà di Dio … Caro Monsignore, mi ero abituato alla Vostra paterna, familiare presenza. Ora mi mancate …”; parole profonde che mi scuotono e mi fanno capire (come spero facciano capire a tutti) come l’altra faccia della Chiesa, quella umile e sacerdotale, riesca, senza remore o rancori, a rapportarsi serenamente con quella intrisa di potere e di ambizioni. Il mistero e la grandezza della Chiesa potrebbe essere racchiusa esattamente nella diversità delle due vite descritte ove entrambe hanno lavorato in funzione dell’affermazione del verbo e della religiosità della loro azione.

Da alcuni anni non ho avuto modo di incontrare “zio Tonnuccio”, l’ultima volta che ci siamo sfiorati è stata quando per caso ci ritrovammo l’uno di fronte all’altro nel piazzale antistante il santuario di San Gerardo a Materdomini; io ero lì con la mia troupe televisiva per un reportage e “don Antonio”, invece, per un ritiro spirituale. Approfittai subito dell’occasione per realizzare una lunga e penetrante intervista, lui umile e schivo si aprì e volontariamente si sottopose al fuoco di fila delle mie domande; dalle sue parole capii velocemente che non era soltanto umile, schivo e di grande cultura ma anche serenamente ed intimamente felice per il fatto di aver vissuto la sua vita così come l’aveva voluta fin dal primo giorno in cui era entrato (molti decenni prima) nel seminario per incominciare il suo percorso di uomo di fede.

Da quel momento non l’ho più visto e mentre la sua bara passa davanti ai miei occhi e viene deposta sul carro funebre per l’ultimo viaggio terreno mi ritorna in mente il suo studio stracolmo di libri contenuti in diverse scaffalature che a me apparivano gigantesche, il suo camminare avanti e indietro nella sua grande camera sempre con un libro aperto tra le mani, la sua assenza quasi ascetica e lontana dal fastidio che io e mio cugino Salvatore Barbieri forse gli procuravamo con il nostro andirivieni, la sua solennità nelle discussioni familiari, la sua grande apertura anche verso mio zio Antonio Bianchini dichiaratamente ateo, e la sua grande disponibilità verso tutti, soprattutto quelli più bisognosi e meno abbienti.

Vedo il carro allontanarsi e mi accorgo dell’applauso sentito e commosso della gente che sicuramente lo stava raggiungendo e colpendo; poi di nuovo il silenzio e la piazza che rapidamente si era svuotata nel segno del ritorno brutale alla vita, quella di tutti i giorni, con una certezza in più; per circa novantasette anni su questa terra si è affacciato un uomo, un sacerdote che ha dato tutto se stesso per il bene degli altri. Dopo aver vissuto una vita di pace e serenità adesso gli tocca il privilegio di riposare per sempre avvolto nella sua fede in Dio.

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