FALVELLA: è l’ora della pacificazione !!

 

Aldo Bianchini

SALERNO – Finalmente ce l’hanno fatta a sedersi tutti e tre intorno allo stesso tavolo. Carlo Falvella, Francesco Mastrogiovanni e Giovanni Marini da 45 anni sono i protagonisti assoluti della stessa drammatica storia anche se con tre facce diverse. Le facce dei protagonisti si mescolano e si intersecano tra veleni ancora non sopiti, rimpianti che aumentano giorno dopo giorno, certezze confuse nelle pieghe del tempo, condivisione dello stesso identico destino crudele e la pacificazione finalmente in arrivo.

Oggi sono tutti e tre seduti intorno ad un tavolo su una delle nuvole del paradiso; è la prima volta che accade e ci son voluti ben 45 anni di lavoro assiduo, continuo, quasi quotidiano.

Nei primi lunghi anni di solitudine Carlo Falvella si aggirava furioso in cielo e scavalcava le nuvole a dispetto di tutti e lanciando invettive verso la terra proprio in direzione di Via Velia a Salerno dove ogni anno, tutti gli anni, è stato sempre celebrato il suo ricordo. In quegli anni bui della solitudine Carlo non era riuscito a tessere amicizie, la sua rabbia era ancora troppo forte. Poi sette anni dopo, il 24 gennaio 1979 arrivò in paradiso Guido Rossa (il sindacalista genovese ucciso dalla Brigate Rosse al culmine di quelle lotte intestine nella destra così come nella sinistra). E fu proprio lui il primo a cominciare quel lavorio ai fianchi di Carlo, giovane imponente nel fisico come nelle idee, per convincerlo ad avere un rapporto meno conflittuale con la storia che gli era capitato di vivere. Del resto lo stesso Guido Rossa si era trovato, per le sue idee, in una storia che sicuramente non voleva e non  aveva cercato.

Due anni dopo, il 12 febbraio 1980, arrivò anche Vittorio Bachelet, giurista e noto docente universitario nonché vice presidente del CSM (Consiglio Superiore della Magistratura), brutalmente ucciso dai brigatisti Annalaura Braghetti e Bruno Seghetti sempre le sue idee e per la sua capacità di convincimento dei giovani; ed anche Vittorio si uni a Guido per dare conforto a Carlo, che non si piegava, voleva davanti a lui i suoi assassini.

Il primo ad arrivare fu Giovanni Marini, nella giornata del 23 dicembre 2001, l’antivigilia di Natale, in un silenzio assordante e tra l’indifferenza di tutti. Del resto lui, almeno per la giustizia terrena, aveva vibrato con forza quel colpo di pugnale nel fianco di Carlo spedendolo nell’aldilà. Giovanni arrivò quasi trent’anni dopo il suo avversario politico divenuto la sua vittima sacrificale. Ma anche l’arrivo di Marini, soggetto solitario che amava stare in disparte, poeta e disperato, non fece registrare un avvicinamento di fatto con la sua vittima. Giovanni amava spesso aggirarsi intorno al luogo dove si incontravano Carlo, Guido e Vittorio, ma non aveva né il coraggio e né la voglia di avvicinarsi; anche lui stava soffrendo la sua condizione di carnefice quasi dimenticato.

Il secondo fu Francesco Mastrogiovanni, la mattina del 4 agosto 2009, legato e torturato su un lettino di contenzione dell’ospedale di Vallo della Lucania in seguito ad un TSO ordinato dall’allora sindaco di Acciaroli Angelo Vassallo. Traumatico l’arrivo di Francesco, personaggio complesso e fuori del contesto della presunta normalità; appena arrivato aveva già battibeccato con San Pietro che secondo Mastrogiovanni aveva ritardato qualche secondo a tirare fuori le chiavi dell’imponente portone.. Lui, Francesco, più di Giovanni, con il supporto degli altri si era mosso fin dal 2009 per ricucire il rapporto con Carlo.

E con l’aiuto di Nino Colucci che lo aveva preceduto il 12 novembre 2008 e con la giusta forzatura di Tommaso Biamonte (l’ultimo comunista di Salerno) che li aveva raggiunti il 28 agosto 2010 ecco che la situazione sembrava essersi avviata alla pacificazione e tre anni fa, esattamente il 7 luglio 2014, si erano tutti ritrovati più o meno intorno al tavolo fondato da Guido, Vittorio e Carlo. Ma la situazione era rimasta quasi inalterata e i tre non erano ancora riusciti a comprendersi vicendevolmente. Giovanni Marini gironzolava ancora per le strade del paradiso a lamentarsi come nessuno del gruppo ricordava o recitava le sue poesie scritte in carcere ma anche da uomo libero fino al punto di essere indicato come il “poeta rosso” dalle truppe della sinistra più estrema. Francesco Mastrogiovanni era ancora incazzato per il processo legato alla sua morte che non era andato come voleva lui e sulla Terra avevano registrato la condanna soltanto dei medici e non anche degli infermieri che, forse, erano stati i principali artefici di quei maltrattamenti subiti.

Dal 7 luglio 2014 non si erano più visti, anzi la tensione tra i tre era rapidamente aumentata con l’arrivo di Pippo (fratello adorato di Carlo) che con la sua innata irruenza e con la sua perfetta conoscenza della legge non ci aveva messo più di tanto a sconvolgere i piani della pacificazione ed a buttare sulla Terra il tavolo sospeso tra le nuvole. Poi lentamente con l’opera di tessitura di Tommaso Biamonte (l’ultimo comunista), sostenuto da Nino Colucci (missino di vecchia data), Pippo si è calmato, il progetto ha ricominciato a prendere forma concreta e il tavolo è stato ripescato e rimesso al suo poto.

Questa mattina, 7 luglio 2017, a quarantacinque anni di distanza dall’esecrabile fatto di sangue e dopo tre anni di silenzi assordanti, ecco che il tavolo si è rianimato, sempre lì tra le nuvole. Intorno al tavolo tre sedie con poggia mani, un po’ più indietro cinque sedie semplici che piano piano, quasi alla spicciolata, vengono occupate da Guido Rossa, Vittorio Bachelet, Nino Colucci, Tommaso Biamonte e Pippo Falvella. Non è stato, purtroppo, invitato Angelo Vassallo l’ex sindaco di Acciaroli che Francesco Mastrogiovanni non riesce ancora a perdonare per quel frettoloso TSO che gli risultò fatale. “O io o lui” aveva gridato all’indirizzo di Biamonte quando gli aveva chiesto se poteva invitare il sindaco pescatore. Ma ormai ogni pensiero è superfluo, dal velo delle nubi, sono ormai le 10 del mattino, ecco apparire Francesco Mastrogiovanni seguito a debita distanza da Giovanni Marini; si siedono e si guardano quasi come a dirsi che sono arrivati inutilmente in quanto di Carlo Falvella neppure l’ombra. Febbrili le trattative tra i cinque (Guido, Vittorio, Nino, Tommaso e Pippo), poi si siedono e sembrano essersi rasserenati. Il telefono cellulare di Pippo si è fatto di fuoco a causa delle numerose telefonate fatte e ricevute nel giro di pochi minuti.

Sono le ore 11.30 e proprio quando i due (Francesco e Giovanni) stanno per alzarsi ed andare via ecco che in lontananza si scorge la grossa sagoma del giovane Carlo che, nonostante i quarantacinque anni trascorsi, è riuscito a mantenere sempre la stessa baldanza. Carlo si avvicina al tavolo e prima di sedersi, mentre tutti gli altri zittiscono, spiega il suo ritardo: “Visto che l’avvenimento è importante ed anche se non è domenica ma è l’anniversario della mia morte ho ritenuto necessario andare in chiesa a San Francesco per portare una rosa rossa alla mia mamma come facevo sempre, ogni domenica, quando ero in vita. Scusate il ritardo e ben ritrovati a tutti”. Si siede lentamente e guarda verso il fratello Pippo che ha gli occhi lucidi per l’emozione al ricordo della mamma. Tocca, quindi, a Tommaso Biamonte, il più anziano di tutti, aprire il discorso atteso da decenni ed assolutamente non convenzionale; rapidi i saluti e subito l’invito a Carlo di parlare.

Parla soltanto Carlo, prima lentamente, poi con sempre maggiore potenza vocale e finissima dialettica. “Grazie a quelli che ci stanno intorno finalmente siamo qui, riuniti intorno allo stesso tavolo dopo quarantacinque anni. Ce n’è voluto di tempo ma le cose sembrano avviate verso una giusta, meditata e duratura pacificazione. Del resto tante cose sono cambiate laggiù; guardate anche voi se vi spostate leggermente con le sedie. Il corteo sta svoltano da Via Roma verso Via Velia e fra pochi minuti tutti quelli che mi ricordano saranno lì davanti al piccolo manufatto eretto dove sono stato accoltellato. Oggi in quel corteo c’è di tutto, c’è anche gente che con le nostre lotte e con i nostri ideali non ha niente a che fare. Pazienza, ho imparato da Vittorio che è meglio e, forse, giusto così. Giovanni e Francesco io sono qui da molto più tempo di voi e, quindi, sono molto esperto delle cose del paradiso; per stare qui bisogna convincersi che anche il nemico più odiato può e deve diventare amico. Per noi tre c’è ancora un lungo percorso da fare, se lo facciamo insieme forse sarà più semplice; anche perché siamo sostenuti dai nostri cinque amici. E poi cosa dire, per te Giovanni non è che sia andata proprio tanto bene; si è vero che hai fatto il poeta ma per vivere ti sei adattato a fare il giardiniere del comune sul lungomare, poi sei rientrato negli uffici ed alla fine sei morto in ospedale, praticamente da solo e nell’antivigilia di un Natale qualsiasi che per te non rappresentava più nulla. Per te, invece, Francesco è andata ancora peggio; per lunghi anni non sei stato più in te dopo quell’orribile serata e di quel terribile momento in cui fui attinto da una pugnalata, la tua versione è stata sempre quella che eri accorso in mio aiuto e non per dare man forte a Giovanni. Io, in verità, non ci ho mai creduto ma dopo quarantacinque anni sono anche disposto a credere nella tua versione dei fatti, e non solo per il tragico destino che ti ha travolto e portato qui in mezzo a noi. Oltretutto hai anche avuto la soddisfazione di vedere incriminati anche gli infermieri; ricordi che tre anni fa ti lamentavi molto di questa disattenzione dei giudici. Ma adesso basta, è giunto il momento di un brindisi, venite anche voi intorno al tavolo che gli Angeli stanno arrivando con il loro omaggio. Poi sempre tutti insieme rivolgeremo il nostro sguardo verso la Terra dove, guardate !!, in Via Velia stanno per iniziare i discorsi di rituale e ripetitiva ricorrenza. Alzate i calici, alla salute di tutti”.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *