San Matteo 2017: ultimo atto della congiura di palazzo !!

 

Aldo Bianchini

 

SALERNO – E’ calato il sipario. La sceneggiata è finita. L’ultimo atto è andato in scena. Gli applausi tanto attesi non sono arrivati. Il venticello freddo e sferzante ha tenuto lontano la grande folla, eccezion fatta per Largo Campo che era, è e rimane il vero “momento cult” della lunga festa di San Matteo che si snoda su un percorso sempre più corto per le vie della città. La gente c’era dovunque, naturalmente, ma lungo il percorso non c’è stata più la folla traboccante di qualche anno fa e la festa si concentra sempre di più nel cuore pulsante del centro storico che da sempre è rappresentato da Piazza Largo Campo, una piazza che anche l’altra sera era stracolma di gente festante e festaiola, al di là di ogni sacralità.

         La sacralità, è questo il punto dolente della processione di San Matteo; una sacralità che anno dopo anno, almeno dal 2010, è andata sempre più scemando dietro la cortina fumogena, ma non giustificativa, del lungo rapporto relazionale e gestionale tra l’arcivescovo emerito mons. Gerardo Pierro e l’allora astro nascente del sindaco Vincenzo De Luca.

         E’ questo il punto dolente della discussione sull’unica festa popolare e popolosa che Salerno ha riconosciuto come sua da sempre; questo è il frutto della “congiura di palazzo” scoppiata nel 2005 con il blitz della Procura nel Villaggio San Giuseppe e conclusa con l’arrivo del nuovo arcivescovo mons. Luigi Moretti.

         Il grave errore di Moretti è stato proprio questo in quanto non è riuscito a svincolarsi dalle spire velenose dei protagonisti della congiura (i curiali !!) che sono stati capaci di convincerlo che tra Pierro e De Luca c’erano stati e c’erano chissà quali tremendi segreti ed interessi soltanto perché durante il mandato ecclesiale di mons. Pierro la statua di San Matteo avanzava qualche centimetro in più ogni anno all’interno del Palazzo Guerra (il Comune !!). Niente di più falso, tra Pierro e De Luca c’è stato soltanto il “sentire” in maniera diversa l’esigenza, anche se mai chiaramente esposta, del popolo di fedeli di vedere il suo Santo toccare quasi con mano l’interno del palazzo di città. Un palazzo che era ed è il nostro palazzo, mica l’alcova segreta di qualche camorrista; la Procura e la Curia si sarebbero dovute preoccupare degli inchini che da sempre gli avventati e scorretti portatori hanno consumato per anni dinanzi alle abitazioni di veri camorristi nel centro storico. Hanno preferito, invece, la via più breve dell’attacco al sistema conciliante e pacificatore (anche se finalizzato all’acquisizione di maggior potere) messo in piedi da De Luca e Pierro perché era quello più semplice da smantellare. Io stesso, in passato, ho attaccato più volte detto sistema, ma l’ho fatto democraticamente e sempre senza eccessi. E al contempo ho sempre attaccato, forse anche violentemente, lo strapotere dei paranzieri che mi era subito apparso, come appare a molti, ai limiti tra il lecito e l’illecito, tra il paganesimo e la religione, tra la violenza e la strafottenza di tutto e di tutti. Ma anche questo mons. Pierro, con l’aiuto sapiente e conciliante di don Comincio Lanzara, era riuscito a smussare fino al punto che non c’era mai stata discussione alcuna sulla sacralità da dare alla processione e da offrire alla folla osannante; e i portatori ubbidivano sempre e comunque.

         Sulla base di quanto visto l’altra sera è il caso di dire che era molto meglio prima, quando le paranze e i rispettivi portatori pur sbagliando pesantemente con gli inchini non davano segnali di sbandamento e rispettavano totalmente la sacralità delle regole imposte dalla Curia. L’altra sera, difatti, è stato toccato il punto più basso della storia secolare della processione; ogni paranza andava per i fatti suoi in relazione agli ordini dei rispettivi capi. Nell’ordine San Caio, San Fortunato, Sant’Ante, San Gregorio e San Giuseppe hanno sostato dinanzi al portone del Comune o sono passati dritto, hanno fatto la giravolta o hanno fatto finta di niente, sono finanche rimasti immobili mentre i capi-paranza elargivano saluti, abbracci e baci verso i loro conoscenti (stessa identica classe !!). Addirittura la banda musicale non ha seguito un canovaccio ben stabilito e stabilizzato ed inquadrato nel contesto di una sacralità religiosa che è andata ormai persa, forse per sempre.

         Naturalmente non c’era neppure l’Arcivescovo, ma il fatto era stato più o meno annunciato anche se nelle ultime ore sembrava potesse essere scongiurata la sua assenza; al suo posto il vicario don Biagio Napolitano anche se non è la stessa cosa; non c’era il sindaco Enzo Napoli, ma questo ormai è un clichè ampiamente collaudato, c’era però una quasi invisibile vice sindaco Eva Avossa con tanto di fascia tricolore che camminava qualche centimetro dietro Roberto De Luca al seguito della statua più amata dai salernitani.

         Insomma, praticamente fallita la “mission impossible” tentata dal non titolato Piero De Luca che, comunque, ha sottomesso ai voleri della sua casta, cioè la dinastia deluchiana, il rapporto chiesa-comune in maniera definitiva.

         In sette anni mons. Moretti è stato capace di smantellare una delle tradizioni più amate dal popolo dei salernitani e non soltanto dai fedeli e di far vincere il potere laico su quello ecclesiale; fa specie, però, assistere ancora a trasmissioni televisive ed a paginate di giornali che fanno quasi finta di niente e, come se nulla fosse accaduto, continuano a riproporre le stesse interviste, le stesse foto e le stesse immagini; capisco che la speranza di vendere qualche copia in più (almeno a chi è ritratto o ripreso) ma il degrado ormai ha avvolto proprio tutti.

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