Cardiochirurgia: la nomina di Coscioni … e le manchevolezze di Cantone !!

Aldo Bianchini

SALERNO – Quando si parla di sanità pubblica campana, e soprattutto salernitana, bisogna partire da una considerazione di fondo legata al fatto che la politica ha da sempre messo le mani, e non solo, sugli appalti, sulle manutenzioni, sulle forniture, sulle assunzioni e sulle nomine che hanno determinato disfunzioni, saccheggi, mancanza di professionalità, arroganze varie, favori, taglieggiamenti, prebende, mazzette, ma anche ottimi e fulgidi esempi di un mondo che ci appartiene intimamente e del quale abbiamo, prima o poi, bisogno tutti. Per questo la politica lo ha potuto gestire a suo piacimento perché ha sempre fatto leva sul fatto che ognuno di noi, davvero tutti, ha sempre e impenitentemente cercato ogni via possibile per essere trattato meglio, per arrivare prima degli altri e per risolvere subito i propri problemi; tutto questo è stata manna dal cielo per gli uomini della politica.
Per correttezza, prima di andare avanti, è giusto ricordare che dal secondo dopoguerra al 1993 la sanità pubblica campana è stata quasi esclusivamente terra di conquista della DC, del PSI, del PRI, del PSDI e del PLI (il famoso pentapartito); con lo scioglimento dei partiti classici la conquista è passata al PPI, alla Vela di Casini, al Campanile di Mastella per arrivare rapidamente al PD che non era e non è l’ex PCI ma l’accozzaglia di tutti i rimasugli della sinistra, del centro e della vecchia DC e tante altre sigle ormai dimenticate.
Negli ultimi vent’anni, prima del 2015, il ras assoluto della sanità pubblica salernitana è stato l’on. Antonio Valiante che non ha mai consentito (con l’appoggio di Bassolino prima e di Caldoro dopo) all’onnipotente Vincenzo De Luca di mettere le mani sulla tanto agognata sanità pubblica.
Soltanto dal giugno 2015 in poi abbiamo avuto il nuovo corso, quello deluchiano che io giudico devastante, ai vertici regionali e provinciali della sanità pubblica.
E’ necessario tenere conto di quanto fin qui riportato per meglio capire i vari aspetti del problema che sembra assillare e ritardare uno dei gangli più importanti dell’assistenza sanitaria: la cardiochirurgia di Salerno, onore e vanto in tutta Italia e, forse, in Europa; una cardiochirurgia che sembra essersi bloccata (almeno ai vertici organizzativi) dal momento in cui l’autore del miracolo salernitano, Giuseppe Di Benedetto, è stato costretto ad andare in pensione per raggiunti limiti di età nel maggio del 2015.
Da quel momento si è aperta la battaglia per la successione e in molti continuano a dire menzogne, anche la stampa, sullo sdoppiamento della cardiochirurgia che i “nemici” di Coscioni imputano alla cattiva gestione deluchiana della sanità e delle nomine, quando invece tutti sanno che la cardiochirurgia fu sdoppiata, con atto aziendale autoctono (nel senso di essere stato partorito dallo stesso unico primario) forse non perfettamente legittimo ma giustificabile, dallo stesso Di Benedetto per evitare che andasse via il dr. Severino Iesu considerato uno dei migliori cardiochirurghi del mezzogiorno.
Quando Di Benedetto, che aveva diviso la cardiochirurgia in “urgenza” ed “elezione”, andò via, un gruppo di circa cento persone tra medici e infermieri incominciò la battaglia per la riunificazione delle due divisioni con lo scopo, non tanto nascosto, di impedire che il governatore nominasse primario della “elezione” il suo consigliere personale dr. Enrico Coscioni. La battaglia è andata avanti, per mesi, nonostante che ai vertici dell’AOU (azienda ospedaliera universitaria di Salerno) era stato nominato da De Luca (su consiglio dello stesso Coscioni) il super manager casertano Nicola Cantone (che non è neppure lontano parente di quel Raffaele Cantone, presidente dell’ANAC) e tutto lasciava presupporre che il manager, di fronte all’esistenza di due cardiochirurgie e di un aspirante primario con tutti i titoli (contrariamente a lui, Cantone, che forse non ne aveva per fare il manager !!), senza por tempo in mezzo avrebbe sottoscritto la nomina di Coscioni che, ripeto, aveva tutti i requisiti per ottenerla.
Ma qui viene fuori il problema che, probabilmente, nasconde verità assolutamente non confessate e non confessabili e porta ad uno strano balletto di attese e di rinvii della nomina di Coscioni mentre tante altre nomine vengono effettuate, tutte su ispirazione coscioniana e deluchiana; ma quella dell’aspirante primario della cardiochirurgia d’elezione si arena molto stranamente.
Addirittura in un pomeriggio di nomine serrate, per le quali oggi i nominati fanno finta di non sapere da dove erano state calate, va in tilt anche l’ufficio stampa dell’AOU che balbettando non riesce a spiegare perché in quel lungo elenco di premiati (molti sicuramente per meriti specifici, qualcuno per meriti politici, e qualche altro per grazia ricevuta !!) non c’è il nome di Enrico Coscioni che nel frattempo si attesta al primo posto nella classifica per titoli e per meriti tra gli aspiranti al primariato di cardiochirurgia.
Incomincia a prendere quota la possibilità di uno scontro tra De Luca e Cantone con la vicenda dei titoli non conformi alla nomina dello stesso Cantone, fino a qualche settimana fa quando si fa largo l’irruzione dell’ufficio legale della Regione per chiedere la revoca del mandato affidato al direttore generale, che annuncia subito ricorso al TAR. Vedremo !! perché nel frattempo De Luca, dalle sue frequenze tv, annuncia che l’esperienza e la professionalità di Cantone servirà in altri distretti regionali. Sarà !!
Morale finale. Per quanto mi riguarda Vincenzo De Luca in questa vicenda non ha sbagliato una sola mossa e si è comportato esattamente come tutti i suoi predecessori alla presidenza della Regione. Certo avrebbe potuto anche sollecitare Cantone a riunificare, con atto aziendale, le due cardiochirurgie ma perché doveva farlo se lo stesso Cantone, avendone tutta l’autorità, non lo ha fatto ed ha, invece, nominato un altro primario con la scusa che Coscioni avrebbe potuto dedicare al reparto soltanto due giorni alla settimana in coincidenza con gli eventuali interventi.
Insomma c’è stata una battaglia senza esclusione di colpi e la peggiore figura è rappresentata proprio da Cantone che di fronte all’ormai insanabile rottura con coloro che lo avevano nominato doveva fare le valige e silenziosamente andarsene a passeggiare, avanti e indietro, nei corridoi di Palazzo Santa Lucia nell’attesa che il suo nome venga ripescato dalle affollate liste di attesa per qualche altro incarico di prestigio; senza bisogno di ricorrere al Tar che ormai è diventato un peso per la pubblica amministrazione.
Ma, infine, se la nomina di Coscioni fosse stata talmente illegittima da indurre Cantone a bocciarla e/o se per assurdo qualcuno lo avesse indotto (in cambio della nomina a direttore generale !!) a sottoscrivere cose non riferibili (appalti, forniture, convenzioni) il direttore generale Nicola Cantone aveva un solo obbligo: andare in Procura invece di minacciare di ricorrere al Tar.
I messaggi trasversali non sono mai piaciuti e non piacciono tuttora a nessuno; ma l’atteggiamento di Cantone induce ad una domanda: “Il direttore generale pensava davvero di poter fare di testa sua arrivando fino a non convalidare una nomina già scritta o ha avuto paura della reazione immotivata dei dipendenti per motivi a noi sconosciuti ?”; nell’uno e nell’altro caso un manager si comporta in maniera chiaramente diversa.

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