Fonderie Pisano: l’ultimo viaggio di Mario senior

 

 

 

 

 

 

 

 

Aldo Bianchini

 

SALERNO – L’ultimo viaggio per una persona normale è facile da ipotizzare: casa – chiesa – cimitero. Per Mario Pisano non è stato così; semplicemente perché era un uomo speciale, un grande imprenditore, un padre di famiglia, un sicuro approdo per tutti.

            Ed ecco che, come d’incanto, il suo ultimo viaggio è radicalmente cambiato; è cominciato dalla fabbrica, la sua fabbrica, la fabbrica che aveva coccolato per tutta la vita, la fabbrica che ha amato con tutto se stesso.

            Un lungo corteo (vedi foto) di maestranze (dirigenti, dipendenti, collaboratori a vario titolo) lo ha portato in giro, a spalla, lungo tutto il perimetro dello stabilimento industriale ed anche nei posti a lui più cari, per onorarlo – ricordarlo e ricordare a tutti che ha amato profondamente la sua fabbrica mangiando fin da bambino “pane e fabbrica”.

            Osservando quel corteo fatto di uomini in carne ed ossa non ho potuto fare a meno di pensare al Patrono di Salerno ed alla sua storica esclamazione “Salerno è mia e io la difendo” che nel caso specifico è traducibile facilmente in “la fabbrica è nostra e noi la difenderemo”, quasi come a spiegare a tutti di aver cinto d’assedio la fabbrica che qualcuno vuole chiudere a tutti i costi e che loro, fedeli compagni di vita di Mario, si batteranno fino alla fine, anche nello straziante ricordo del loro leader, per non far calare il sipario su una delle realtà produttive quantomeno del dopoguerra.

            Gli stessi visi commossi della fabbrica lo hanno atteso sul sagrato della Chiesa di San Paolo (rione Petrosino) per la celebrazione ufficiale dei solenni funerali. Mario Pisano ha lasciato il fratello Gigino (detto ingegnere), la sorella Amalia residente a Bologna, ed ha raggiunto in cielo l’adorata sorella Gina. Ha lasciato, però, due figli Annamaria e Gigi (Luigi); spetterà a quest’ultimo condurre la battaglia finale per resistere con tutte le sue forze alla definitiva chiusura delle fonderie; il compito è sicuramente arduo e ingrato, ma deve farlo perché il padre lo merita, un padre che dall’alto certamente lo assisterà e lo guiderà.

            Il silenzio ovattato della Chiesa mi ha commosso; ma mi ha soprattutto commosso la gestualità del sacerdote officiante; una gestualità ben definita in ogni minimo dettaglio e molto lontana dalla stanca ripetitività. Anche i movimenti del sacerdote mi sono apparsi conformi alle necessità del momento che si appalesava, mano a mano, in tutta la sua drammaticità. Quando muore un uomo è sempre un momento drammatico, semplicemente perché scompare e non c’è più, e niente e nessuno può riportarlo all’affetto dei suoi cari. Un momento drammatico che porta dietro di se speranze perdute, rimpianti irrisolvibili e incertezze sul futuro da brividi. Ho osservato a lungo anche le movenze somatiche di Luigi Pisano che è rimasto impietrito nel suo dolore di figlio e ne ho ricavato la sensazione che saprà ereditare la ricchezza morale e imprenditoriale lasciatagli improvvisamente dal padre, quella materiale non conta, vale molto di più la ricchezza di una pattuglia di collaboratori-dipendenti che hanno voluto onorare “il capo” fino all’ultimo perché del capo aveva soltanto il titolo che cozzava tremendamente con la sua grande umanità e comprensione delle problematiche che un lavoratore trascina con se per tutta la vita.

            Mi ha fatto venire i brividi la gestualità composta e quasi sacrale con cui il sacerdote officiante ha richiuso molto lentamente su se stessa la bianca tovaglia della celebrazione; mi è parso che stesse chiudendo con molta umanità la vita di un uomo, Mario Pisano, quell’uomo che era di fronte a lui, disteso nella bara per sempre.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *