MORO: una inquietante storia lunga quarant’anni

 

Aldo Bianchini

SALERNO – Quarant’anni fa, alle ore 9.20 del mattino di giovedì 16 marzo 1978, mi trovavo nel bar di fronte al vecchio tribunale di Vallo della Lucania ed ero in compagnia del magistrato Alfredo Greco con il quale avrei dovuto celebrare alcune “inchieste pretorili” per infortuni sul lavoro (io ero ispettore di vigilanza dell’Inail).

Intorno alle ore 9.30 mentre centellinavamo un caffè ecco che la radio del bar interrompe la musica per dare, sul Gr/1, la tremenda notizia del rapimento del presidente della D.C. Aldo Moro e dell’uccisione dei cinque uomini della scorta. Rimanemmo attoniti e muti in una sala bar che d’improvviso sembrava essere entrata in un gelo glaciale. Con la sua solita serafica fermezza il dr. Greco mi disse: “Caro Bianchini, da oggi cambierà tutto”; e mai parole furono più profetiche.

Oggi a quarant’anni di distanza sono venute alla luce tante presunte verità e tante dubbiose e inquietanti supposizioni.

Per quanto mi riguarda la cosa più sensata e credibile l’ha dichiarata l’on. Gero Grassi, scrittore e studioso del cosiddetto caso Moro, quando afferma che: “In Via Fani c’erano anche le Brigate Rosse ma le BR non lo uccisero”. Un’affermazione emblematica e illuminante sulla via della ricerca della verità vera e conclusiva del rapimento e dell’uccisione di Moro che dopo quarant’anni meriterebbe, per davvero, una chiarificazione definitiva. La tenacia di Gero Grassi e la sua professionalità giornalistica, minuziosa – efficace e penetrante, è stata premiata dal Partito Democratico che dopo tre legislature non ha più candidato il deputato uscente che ha fatto parte della Commissione Parlamentare d’Inchiesta partorita dal Parlamento su iniziativa dello stesso Grassi che era riuscito a raccogliere centinaia di firme da parte dei parlamentari di tutti i colori sulla sua proposta di legge istitutiva della medesima commissione.

Nel corso degli anni i misteri si sono accavallati ai misteri del “caso Moro”; uno di quelli più strani ma inquietanti è quello relativo all’Agente Segreto ”G-71” (alias Antonino Arconte) che il 16 marzo 2015 a New York svela al giornalista di “America Oggi” Stefano Vaccara che: “…Ma questa nuova commissione, di cui l’On. Grassi appare una personalità determinata ad andare fino in fondo, è veramente pronta a scoperchiare la storia d’Italia? Oppure si tratterebbe ancora una volta di una “mossa” propagandistica, sulla scia della dichiarazione di Renzi di togliere il segreto di stato, ma pronta a fermarsi in tempo? Frasi ad effetto buone per dei titoli sui giornali, ma poi al momento di illuminare il buco più nero della Repubblica, la cosiddetta “ragione di stato” farà ragionare che è meglio continuare a non ragionare…Quando da New York leggiamo dell’On. Grassi che in giro per l’Italia racconta dei servizi segreti che sanno, prima che accadesse, del rapimento di Moro, sorridiamo di rabbia. La prova di ciò fummo proprio noi da qui, da New York,  a pubblicarla, ma tanti, troppi anni fa. I lettori più affezionati, ricorderanno forse una prima pagina di Oggi7, il settimanale di America Oggi, intitolata: “Italia, spiega questo documento!” Si trattava di un ordine della Marina italiana, in cui si istruiva l’agente di Gladio G71, sigla che apparteneva ad Antonino Arconte,  a recarsi in Libano con una nave commerciale per consegnare un documento top secret per il colonnello Stefano Giavannone. In quel documento, si chiedeva a Giovannone di adoperarsi con i suoi contatti in Libano con i gruppi di terroristi mediorientali per attivare canali utili alla liberazione del Presidente della DC Aldo Moro. La bomba in quel documento? La data: 2 marzo 1978. 14 giorni prima della strage di via Fani…”.

La mattina del 16 marzo 1978 in Via Fani a Roma furono trucidati i cinque uomini della scorta: due carabinieri Domenico Ricci e Oreste Leonardi e tre poliziotti Raffaele Iozzino, Giulio Rivera, Francesco Zizzi.

Anche sulla loro morte ancora oggi ci sono molti dubbi, non sulla morte fisica ma su quanti erano realmente i brigatisti, e altri, impegnati nell’assalto. Da quarant’anni non è possibile conoscere la verità

Per raggiungerla, una soluzione possibile e praticabile l’ha suggerita Giovanni Ricci (scrittore e figlio del carabiniere Domenico Ricci, autista della Fiat 130 con a bordo l’on. Moro) dopo aver incontrato qualche settimana fa alcuni  tra i principali terroristi che effettuarono l’assalto; la sua idea consiste nella concessione, a tutti i terroristi delle BR, di una sorta di condono giudiziario per indurli, finalmente, a raccontare tutti quei momenti che ancora non sono stati mai svelati.

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