Camorra & Politica: l’utilizzo dei social … da Corona ad Aliberti

 

 

Aldo Bianchini

 

SALERNO – La cronaca, locale e nazionale, offre di continuo spunti utili per approfondimenti di carattere generale in materie, spesso, molto particolari.

E’ il caso dei social, o meglio del loro utilizzo quando una persona ufficialmente libera e non  destinataria di particolari prescrizioni giudiziarie viene impedita all’utilizzo dei social nell’esercizio di un imprescindibile diritto inerente la libertà di pensiero e di comunicazione.

Ho preso in esame due vicende che solo apparentemente sono lontanissime tra loro, semplicemente perché destinatarie di due diversi provvedimenti giudiziari: Fabrizio Corona a Milano e Pasquale Aliberti a Scafati. Nella loro recente storia umana e giudiziaria  si sono scontrati, anche violentemente, entrambi con provvedimenti giudiziari preclusivi per l’utilizzo dei social; provvedimenti che scoprono un mondo finora sconosciuto e cresciuto in maniera disordinata ed a volte illegale.

Nel caso del noto “fotografo dei vip” Fabrizio Corona il giudice di sorveglianza (Fabrizio è da poco uscito dal carcere e subito affidato ai servizi sociali) ha bloccato la pagina web dopo che lo stesso Corona, da uomo libero a condizione (e nelle condizioni non c’era l’inutilizzabilità dei social), si era affacciato sui social che in effetti hanno costituito il suo modo di vivere e la sua fonte principale di guadagno.

Nel caso dell’ex sindaco di Scafati, Pasquale Aliberti, l’intervento del giudice a sanzionare l’utilizzo dei social è ancora più grave in quanto Aliberti è stato colpito da provvedimento restrittivo quando era ancora un uomo assolutamente libero e, quindi, pienamente titolare del suo sacrosanto diritto di pensiero e di parola. Da notare che oggi l’ex sindaco di Scafati è ancora trattenuto agli arresti domiciliari in una casa di famiglia a Roccaraso.

La vicenda di Aliberti appare ancora più sconcertante di quella di Corona; perché mentre Corona è andato dietro le sbarre dopo un paio di sentenze passate in giudicato e dopo che, liberato una prima volta, aveva eluso le prescrizioni afflittive impostegli dalla magistratura, e soltanto dopo sono arrivati i provvedimenti di diniego dell’utilizzo dei social;  per Pasquale Aliberti dette restrizioni sono intervenute addirittura prima un qualsiasi provvedimento di carcerazione fosse divenuto effettivo. E pensare che entrambi hanno fatto uso dei social in maniera aperta, trasparente ed alla luce del sole, senza nascondere dietro squallidi anonimati come fa la maggior parte dei navigatori del web.

Come spesso accade la magistratura recita un ruolo improprio e sostitutivo di quello che dovrebbe essere esclusivo appannaggio della politica. Mi spiego meglio; da tempo si discute della Regolarizzazione dell’uso indiscriminato dei social, la politica però perde tempo ed ecco arrivare i primi provvedimenti della magistratura che, a macchia d’olio, stanno interessando tutto il territorio nazionale. Gli esempi che ho ricordato sono soltanto due casi abbastanza esplicativi di una marea di provvedimenti che vengono adottati, a volte anche ingiustamente e con arroganza, con leggerezza per colpire fatti simbolici.

L’avvocato di Corona, Ivano Chiesa, ai microfoni di TgCom24 dell’8 marzo 2018 ha giustamente stigmatizzato: “Mi auspicavo che Fabrizio non facesse nulla ma quando ho visto la richiesta della Procura ho pensato che fosse esagerata in un Paese in cui tutti dicono ciò che vogliono, l’unico a cui è stata tolta la parola è Fabrizio. Non difendo un pluriomicida o un narcotrafficante internazionale, difendo un bravo ragazzo solo un po’ scapestrato. Tutto ciò che avviene intorno a lui è un po’ esagerato”.

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